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Nell’aria cupa del backstage del Velvet ci accoglie il tour manager dei Symphony X con il suo cappellino rosso targato AC/DC e ci chiede di aspettare un paio di minuti perché Russell Allen è occupato al telefono. Lo spiamo mentre passeggia avanti e indietro per la stanza con l’iPhone incollato all’orecchio e ascoltiamo. Anche mentre parla, la sua voce è stupenda. Tono piuttosto basso, non baritonale ma cupo e denso, spiccato accento americano e lunghi respiri prima di iniziare ogni frase. Solo a sentirlo parlare al telefono ci viene la pelle d’oca.
Pochi minuti di attesa e ci troviamo seduti al tavolo con Allen, che rompe subito il ghiaccio con un gentile “chiamatemi Rus”. A vederlo da vicino è enorme, massiccio, con dei pugni grandi quanto una brocca di birra, capelli lunghissimi, liscissimi e sciolti, ben curati, come la barba, una ferramenta di anelli tra le mani, tutti distribuiti in ordine di grandezza fra le dita. Vestito completamente di nero, gli unici colori che gli si vedono addosso sono quelli che escono dal suo iPhone. Non lo molla neanche per un istante, ci gioca anche durante l’intervista, ma glielo perdoniamo, anche perché non ci sembra il caso di essere scortesi davanti ad un colosso di quasi due metri e con una mole che ha poco da invidiare a Schwarzenegger (pancetta a parte). Gironzola attorno a noi anche Michael Romeo, e dopo qualche minuto Jason Rullo si piazza al nostro tavolo sfoggiando il suo portatile Apple, con occhialini da nerd e orecchie attente ai DGM che stanno svolgendo il sound check. Rus sorride e sussurra al collega qualcosa riguardo al volume in sala, poi si rivolge a noi con un secco e deciso “cominciamo”.
Ciao Rus, partiamo dal concerto di ieri sera a Milano: come ti sei trovato nella prima tappa italiana?
Da Dio, è stato bellissimo. Il locale era pazzesco e la folla incredibile. Abbiamo suonato alla grande, con una carica eccezionale. Anche i ragazzi delle altre band hanno suonato davvero bene, è stata una serata memorabile. E oggi sono ancora più carico, ho una voglia matta di salire sul palco.
Anche le altre date del tour europeo sono andate così bene? Sei contento della risposta del pubblico?
Sì, parecchio. Abbiamo azzardato qualcosina nella scelta della scaletta. Solitamente durante nei vecchi tour suonavamo due o tre pezzi dell’ultimo disco e poi passavamo ai cavalli di battaglia, seguendo dunque uno stile standard dei concerti. Questa volta abbiamo deciso di concedere molto più spazio all’ultimo album, “Iconoclast”, e meno ai pezzi storici. È stata una scelta coraggiosa, che forse alcuni non hanno apprezzato, ma a giudicare dagli applausi, dal calore del pubblico, dalle grida e dai tantissimi complimenti possiamo ritenerci soddisfatti.
Parliamo proprio di “Iconoclast”: ci daresti una tua personale descrizione di questo doppio album?
Non è per vantarmi o gonfiare la cosa, ma penso che “Iconoclast” sia il disco più maturo che i Symphony X abbiamo mai registrato, per quanto riguarda sia il songwriting che la produzione. I suoni sono veramente cattivi, siamo riusciti ad ottenere proprio le sonorità che cercavamo, cosa che in passato non sempre è accaduta. Ma in questo lavoro ogni suono è la trasposizione perfetta del nostro pensiero. Le canzoni stesse sono più mature: abbiamo cercato di prendere le distanze dai vecchi lavori per presentare qualcosa di veramente nuovo; avrebbe poco senso ripetere l’album precedente solo perché ha riscosso molto successo. In “Iconoclast” si trova l’essenza della band, una descrizione di come ci sentiamo in questo momento.
Passano sempre diversi anni tra un disco e l’altro. Era successo tra “The Odissey” (2002) e “Paradise Lost” (2007), e ora sono passati ben quattro anni proprio fra quest’ultimo e “Iconoclast”. È una vostra scelta? Quali fattori sono determinanti per i tempi di composizione e incisione?
Fra un disco e l’altro accadono tantissime cose; tra queste ci sono problemi tecnici di ogni genere, da quelli imprevisti a quelli che invece accadono perché capita che non prestiamo attenzione a diverse cose, e questo forse può essere un nostro difetto. Ci sono poi situazioni in cui cambiamo idea sul lavoro svolto, solitamente per quanto riguarda gli arrangiamenti. A volte incidiamo un pezzo, poi lo ascoltiamo con calma e decidiamo di cambiare qualcosa e così lo dobbiamo registrare nuovamente. È un impegno piuttosto faticoso ma è l’unica strada per realizzare un prodotto di alta qualità. Il pubblico è il banco di prova, se vuoi i suoi applausi devi presentargli un lavoro strepitoso da ogni punto di vista, e noi crediamo che se per migliorare un brano serve riarrangiare o modificare, beh, allora bisogna farlo. Ma non è finita qui, perché quando tutto sembra ok poi si deve fare i conti anche con il music biz, e quindi ci sono altre problematiche burocratiche da risolvere che richiedono purtroppo lunghi tempi. Pensa che le voci di “Iconoclast” io le ho registrate nel 2009! Nel tempo che passa noi ascoltiamo, chiediamo consigli, studiamo e cerchiamo sempre di migliorare ogni cosa. Ovvio che si potrebbe fare prima, ma il risultato non sarebbe lo stesso.
Anche “Iconoclast” è uscito per Nuclear Blast e questa collaborazione dura ormai da tanti anni, segno che i vostri rapporti sono ottimali, giusto?
All’interno di Nuclear Blast ci sono persone splendide, gente che ama la musica e non pensa solo al riscontro economico. Certo quello è importante, ma lo è altrettanto il rapporto che si crea tra musicisti e produttori. Loro lavorano veramente bene, e sono anche persone stupende. Riescono sempre a tirare fuori quello che chiediamo a loro, e anche da parte nostra ci impegnamo per ricambiare. È importante questa affinità, sia per la qualità del disco che per il carisma con cui si affronteranno i lavori futuri. In Nuclear Blast c’è una professionalità senza eguali, e i Symphony X devono davvero tanto a questa etichetta.
Parliamo ora della cover del disco, realizzata dall’illustratore Warren Flanagan. Vorresti spendere qualche parola per presentarcelo? Sono curioso di conoscere il segreto del suo talento.
Se davvero c’è un segreto, io non lo conosco. Credo che lui sia un vero maestro nel disegnare quello che ha in testa. Lui pensa una cosa e nella mente crea ogni dettaglio, anche i più sottili: con una semplicità ed una professionalità imbarazzanti riesce a trasferire i suoi pensieri sulle sue mani, che cominciano a disegnare. Noi gli passiamo semplicemente il materiale audio e i testi. Lui li studia, ci riempie di domande e quando il suo disegno mentale è completo prende matita (o qualcuno dei suoi strumenti digitali) e si mette al lavoro. I risultati sono, sempre, favolosi. Noi non gli chiediamo quasi mai modifiche, perché lui ha questa incredibile capacità di tradurre i tuoi pensieri, li cattura, li rielabora e poi li traduce sul foglio bianco. Inoltre lui è un fan della band e quindi conosce bene la nostra mentalità, sia come persone che come musicisti, e riesce sempre a creare un ponte fra le due cose.
Una domandona tradizionalissima: quali sono le band che ti hanno influenzato maggiormente?
Sicuramente le band degli anni ’70 e dei primi ’80. Soprattutto Bad Company e Led Zeppelin. Ovviamente Paul Rogers e Robert Plant hanno influito tantissimo sul mio modo di cantare, ma personalmente credo di aver assorbito maggiormente l’influenza di Ronny J. Dio e Bruce Dickinson. Loro sono i miei eroi, e agli inizi della mia carriera non nego di aver cercato di emularli, soprattutto Dio che per me è una sorta di padre spirituale. Ci sono poi tanti altri che nel corso degli anni hanno inciso particolarmente sul mio modo di stare sul palco: tra questi mi viene in mente David Lee Roth, che negli anni ’80 mi incantava ogni volta. Quindi sono cresciuto con queste cose qui, passando in tutti i locali storici degli States in cui i grandi si erano esibiti, si erano ubriacati e divertiti. Crescendo credo di essere riuscito a distaccarmi parecchio dalle mie prime influenze, soprattutto quando negli anni ’90 è arrivato il grunge che ha fatto un bel casino nella scena musicale. Ho iniziato così ad ascoltare e assorbire altro, e la mia voce diventava sempre più personale. Anche Chris Cornell ha influenzato notevolmente la mia visione della musica.
Che consiglio ti senti di dare ai giovani cantanti che cercano di sfondare nel music business?
Non fatelo! Cercate di fare qualcos’altro! (ride, ndr). Scherzi a parte… Se c’è una chiave per il successo è il credere in sé stessi, perseverare e non smettere mai di provare. Sembra banale ma fondamentalmente è tutto qui. Ovvio che bisogna anche essere obiettivi con sé stessi e capire ogni particolare del proprio talento. Solo così si migliora. Se vuoi sfondare devi avere anche le persone giuste attorno a te, devi suonare in una band tosta, in cui i membri sanno suonare bene. Devi crescere sino al livello dei tuoi idoli, perché lassù dove vuoi arrivare ci sono loro, e per arrivarci devi saper essere un artista, saper comportati come tale. Non badare ai talent show e ai vari X Factor, soprattutto se vuoi cantare rock. Quei programmi non riconoscono i meriti degli artisti, riconoscono semmai possibilità pubblicitarie, di business, cose così. Non bisogna scendere a questi livelli per fare successo. Servono queste cose che ti ho detto, e anche un pizzico di fortuna. Ma anche quella non arriva se non te la meriti davvero.
Come ti trovi a suonare assieme ai DGM e ai Pagan’s Mind per questo tour?
È splendido! Sono tutti bravi ragazzi e andiamo d’accordo, non abbiamo molto tempo per poter fare cavolate insieme ma ci divertiamo un casino. Oltre ad essere simpatici, sono molto preparati tecnicamente e iperprofessionali nel lavoro. Sanno quello che devono fare e suonano davvero forte. Io vado sempre a sentirli in regia, sia perché mi fa piacere farlo che per rendermi conto di come suona l’impianto. I DGM mi piacciono tanto, a inizio concerto scatenano l’inferno e riescono a conquistare qualsiasi pubblico abbiano davanti. Poi sono ragazzi splendidi, e pure bravissimi. Con band come queste tutto lo spettacolo diventa molto più interessante, e sono fiero di aver diviso il palco con loro.
Cosa ti riserva il futuro? Sei al lavoro su di un nuovo album? Sei alla caccia di qualche sogno?
Sono sempre a caccia di sogni! Fino a quando sono in tour ogni progetto è parcheggiato, ma appena torno a casa ricomincio subito a lavorare per un album solista, per il nuovo materiale dei Symphony X e per tanti altri piccoli progetti che ho in cantiere, quelli che devo fare da una vita ma non ho mai il tempo, e quando trovo il tempo capitano sempre mille altre cose che mi distraggono. Ecco quindi che alcuni progetti tornano ad essere sogni, e quindi io cerco di rincorrerli per realizzarli, prima o poi.
Dobbiamo aspettarci qualche altra collaborazione con Jorn Lande?
Non so darti risposta, fosse per me ne farei altre cento. Al momento è tutto fermo. Dopo la buona risposta che abbiamo ottenuto lavorando insieme ci sono tutti i presupposti per continuare. Ci sono solo da risolvere un paio di tonnellate di questioni burocratiche e dobbiamo poi ritagliarci del tempo tra un progetto e l’altro.
Il nostro Davide Bertozzi con il gigante Rus
Cosa ne pensi dello stato del rock ‘n’ roll oggi?
Io penso che questo sia un grande momento per il rock n roll. In America sta vivendo una seconda giovinezza, un po’ per le band storiche che ancora girano sulla piazza e un po’ per quelle nuove che propongono cose originali. Ce ne sono talmente tante che le novità a fatica riescono a distinguersi, ma ti assicuro che ci sono. C’è in giro gente che suona forte, e suona bene, e il rock ha bisogno proprio di queste persone. Rievocare il passato non è una buona medicina e i rocker sembrano averlo capito.
Due anni fa Sebastian Bach mi disse grossomodo la stessa cosa…
Sebastian è fenomenale! Abbiamo trascorso diverse serate insieme e con lui puoi star tranquillo che non ti annoi mai. È brillante e canta da paura, e quando mi ha sentito cantare e ci siamo conosciuti mi ha ricoperto di complimenti. È un vero animale da palco ed è uno che sa quello che dice. Mi piace un sacco.
Proprio in questi giorni è uscito “Kicking & Screaming”, l’hai ascoltato?
Non tutto, sono solo riuscito ad ascoltare un paio di tracce che mi sono piaciute molto: pesanti e cattive, con il suo stile sempre aggressivo. Spero che anche tutto il resto dell’album sia così, anzi, ne sono sicuro.
Ok Rus, l’intervista è finita, ti lascio la parola per salutare il pubblico di Entrate Parallele.
Ragazzi, grazie infinite per il supporto! Siete voi che tenete in piedi il metal. Siete voi che ci date la carica per scrivere nuova musica e fare del sano casino sul palco.
Si ringrazia Simone Mularoni (DGM) per la collaborazione.
Sito ufficiale: www.symphonyx.com
Recensione di “Iconoclast” su EP qui
Live report della serata su EP qui