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Non mi stancherò mai di ripetere che in Italia abbiamo moltissime band che possono competere tranquillamente con i gruppi provenienti da oltre confine, tra nomi storici che tornano in pista e giovani formazioni di grande valore. Tra queste ultime, una delle più belle realtà nel panorama tricolore sono i bresciani Prodigal Sons, autori di “On Our Last Day”, disco che si candida ad essere non solo uno dei migliori debutti ma anche uno dei migliori album di questo 2012. Il successivo e naturale passo è stato quello di preparare una manciata di domande a cui i ragazzi della band hanno risposto ben volentieri: ora spazio alla nostra intervista, buona lettura!
Ciao ragazzi, benvenuti su Entrateparallele.it!! Direi di iniziare questa intervista dalle presentazioni: volete parlare ai nostri lettori della lineup dei Prodigal Sons? Mi sembra, inoltre, che dai tempi del demo ci sia stato un avvicendamento… Dico bene?
Daniele: Ciao! Sì, abbiamo cambiato un chitarrista, al posto di James (che ha dovuto lasciare la band per motivi personali) è subentrato Andrea. Gli altri membri sono rimasti invariati: alla chitarra ci sono io (Daniele), alla voce Gabriele, al basso Massimiliano e alla batteria e alle tastiere Matteo.
Prima di parlare del vostro debut album, volevo sapere quali riscontri state raccogliendo da critica e pubblico. Ve lo chiedo perché il demo del 2009 aveva creato delle belle aspettative nei vostri confronti: per quanto mi riguarda sono state tutte confermate, ma quali sono i commenti – positivi e negativi – che state raccogliendo, sia in Italia che oltre confine?
Daniele: Al momento le recensioni che abbiamo letto sono tutte assolutamente entusiastiche, siamo davvero contenti di constatare che il nostro disco stia piacendo un po’ a tutti, sinceramente non ci aspettavamo un’accoglienza così calorosa.
Parliamo del disco: appena ho avuto tra le mani la copia fisica del vostro CD, la prima cosa che ha colpito la mia attenzione è stato l’artwork. Volete spiegarci cosa rappresenta, qual è il suo significato e chi ne è l’autore?
Andrea: L’artwork è nato da un disegno a mano che ho realizzato proprio per il disco. Non sono un grande fan delle copertine realizzate in computer grafica, inoltre volevo che l’album avesse un qualcosa in più già a partire dall’estetica. A livello stilistico ci sono molti richiami esotici ed orientali, riscontrabili in alcune tematiche del disco, così come alla mitologia norrena, a cui il serpente in primo piano deve parecchio.
Il secondo dettaglio che mi ha colpito è il titolo: “On Our Last Day” è alquanto particolare, volete raccontarci quali sono i motivi per cui avete scelto di intitolare il vostro debutto “Il Nostro Ultimo Giorno”? Inoltre, sfogliando il libretto, si nota per ogni brano una collocazione temporale e geografica: come mai questa scelta?
Andrea: Fondamentalmente per poterci vantare di aver anche noi un “On Our Last Tour”, visto il tempismo modaiolo di annunciare scioglimenti, reunion e tour d’addio con una facilità tragi-econ…comica.
A dire il vero credo che il titolo rispecchi bene o male la scena musicale attuale, fatta di tentativi, passione, sforzi, senza sapere se saranno gli ultimi e se verranno ripagati. Per la cronaca, “On Our Last Day” è anche e soprattutto la titletrack, un brano lento di cui andiamo molto fieri, con arrangiamenti al pianoforte e chitarra acustica con tematiche romantiche. La collocazione spazio-temporale dei brani è più una scelta ad effetto, ma non ricopre un’importanza stilistica vera e propria.
Quello che però, ovviamente, mi ha maggiormente impressionato è la qualità della vostra musica. Nella recensione l’ho indicata come un heavy metal affilato ed incalzante che rimanda all’Inghilterra, in cui confluiscono dosi più o meno intense di un elegante epic metal a stelle e strisce, per un risultato finale vivo, vibrante, ispirato e costantemente coinvolgente. Mi piacerebbe sapere come nascono le vostre canzoni, se seguite un procedimento particolare e quali sono (sempre che ce ne siano) quelle su cui avete speso più sudore prima di essere soddisfatti!
Daniele: Solitamente ogni brano viene partorito inizialmente da una mente singola, preferiamo lavorare da soli per poi rifinire ed arrangiare i vari pezzi tutti insieme. La mente più prolifica è quella di Matteo (che è anche il più giovane dei cinque), ma tutti all’interno del disco hanno dato un supporto molto importante nella stesura e nell’arrangiamento dei pezzi.
La più complicata da arrangiare è stata senza ombra di dubbio la titletrack: scrivere una ballad che non risulti banale è molto più difficile che tirare fuori una canzone che abbia “botta”!
Della tracklist fanno parte tre brani che avete ripreso dal demo, ossia “Banquet To The Gods”, “Zeus” e “The Sacred Land” (sul demo era “Horus”): mi sembrano abbastanza in linea con le vecchie versioni, quali variazioni avete apportato prima di inserirle nel disco?
Daniele: I brani ci piacevano abbastanza così com’erano, quello che non ci aveva mai convinto del demo era la produzione molto ovattata. Quindi anche solo poterli ri-registrare con un sound come si deve per noi è stata una soddisfazione. Per il resto le differenze sono minime e principalmente sono servite per dare ad Andrea la possibilità di mettere del suo in pezzi che erano già pronti e super rodati al suo ingresso nella band!
Su “Banquet To The Gods” compare un bell’assolo di Guido degli Axevyper, mentre su “The Sacred Land” ospitate le vocals di John Falzone degli Steel Assassin: secondo voi, questi due ottimi musicisti cosa donano in più ai brani? Oltre a ciò, vorrei sapere come siete arrivati al contatto con John e che rapporto avete con Guido!
Daniele: Con Guido ormai coltiviamo un’amicizia che dura da diversi anni, ha sempre creduto in noi e fin dall’inizio ci ha sempre motivati molto, perchè riteneva che avessimo tanto da dire. Chiedergli quindi di fare una comparsa all’interno del disco per noi è stata una scelta più che ovvia e il suo lavoro all’interno di “Banquet To The Gods” è davvero magistrale.
John secondo noi era perfetto per “The Sacred Land”, purtroppo al momento delle registrazione è stato colpito da un malanno ed è riuscito a registrare solo le backing vocals dei ritornelli (a noi sarebbe piaciuto molto averlo anche su una o due strofe principali).
Le modalità di contatto hanno davvero poco di interessante: Facebook, ormai si fa tutto così.
Un fascino particolare lo esercitano le nuove composizioni: evidenziano a dovere la netta crescita che avete avuto in questi anni e contribuiscono, insieme agli altri brani, a rendere “On Our Last Day” un disco maturo e privo di cali di tensione: lo so che è come chiedere ad un padre di scegliere uno dei suoi figli, ma dovendo indicare uno ed un solo pezzo come rappresentativo di questa crescita, quale scegliereste e perché? Io dico l’epica “Deception From Heaven”…
Andrea: “On Our Last Day”, per l’organizzazione strumentale, gli arrangiamenti, le armonie vocali e il carattere che siamo riusciti a darle!
Matteo: Direi “Deception From Heaven”, perchè era quella su cui puntavo meno e alla fine invece mi ha colpito molto, e “I Dream Of Hope” perchè le parti non scritte da me hanno un sound nuovo rispetto al nostro stile.
Gabriele: Io dico “On Our Last Day”, perchè è quella in cui tutti siamo riusciti a dare il meglio in espressività e arrangiamento!
Daniele: Direi “On Our Last Day”, perchè è una delle poche che ancora non mi stanca ascoltare, e “Let Us Speak”, la cui parte strumentale è a mio parere la migliore del disco!
Massimiliano: “I Dream Of Hope”, perchè è la più varia all’interno del disco!
Diamo uno sguardo ai testi. Su “1.9.8.4.” e “V” parlate di regimi totalitari ispirandovi al romanzo di George Orwell ed alla serie a fumetti scritta da Alan Moore e disegnata da David Lloyd; trattate temi storici (i crociati su “Deception From Heaven”) e mitologici (“Zeus”, “The Sacred Land”), ma non solo: come scegliete gli argomenti delle canzoni e chi si occupa della stesura dei testi?
Andrea: In genere non scegliamo a priori gli argomenti da trattare nei testi, piuttosto cerchiamo di valutare quali tematiche possano sposarsi meglio con la musica; sono dell’idea che non si debba fare una distinzione tra testo e musica, esiste la canzone nella sua interezza. Personalmente credo che quelli che, in questo ambito musicale, si soffermano troppo sulle parole sforzando o compromettendo le melodie non facciano un buon lavoro: se vuoi fare poesie fai il poeta, non heavy metal!
Domanda che esula dal contesto: “1984” ha ispirato una quantità di reality basati sul costante controllo della vita dei loro partecipanti: qual è il vostro pensiero riguardo a queste “trasmissioni”?
Daniele: Non seguo questo genere di trasmissioni e a dirla tutta ormai non seguo la televisione in generale da diversi anni. Grazie ad Internet finalmente possiamo essere noi a gestire il palinsesto che vogliamo vedere e non siamo costretti ad adattarci alle scelte di altri. Sicuramente il successo che questi programmi hanno avuto e tuttora stanno avendo descrive a pieno la triste situazione della società in cui viviamo: una società dove le persone preferiscono stare a guardare la vita degli altri per paura che la loro riservi troppe delusioni.
Torniamo a noi: in chiusura al disco troviamo una bella versione di “Red Sharks” dei Crimson Glory, pezzo che eseguite live già da tempo e con cui rendete omaggio alla memoria di Midnight. Quanto vi ha influenzato la musica dei Crimson Glory e quali sono gli altri gruppi di cui avete consumato i dischi?
Daniele: A livello di ascolti abbiamo tutti gusti molto diversi, forse è questo che ci permette di dare un’impronta personale ad un genere ormai nato trent’anni fa. I miei ascolti musicali oggi sono molto vari, rispetto chi ama ed ascolta solo un genere (che sia heavy metal o altro), ma penso che la musica sia un universo talmente grande e maestoso che non attingere a piene mani il meglio di esso all’interno dei migliaia di generi esistenti sia uno spreco.
E’ chiaro che band come Virgin Steele, Crimson Glory, Manowar, Iron Maiden etc. etc. sono parte integrante del nostro background musicale.
Andrea: A livello di gruppo, i Crimson Glory sono molto influenti e credo si senta molto, soprattutto in un paio di tracce, escludendo “Red Sharks”.
Personalmente i dischi che ho più consumato, se escludiamo tutti i lavori di Ritchie Blackmore, sono solo un paio: “Bells, Boots And Shambles” degli Spirogyra e “Volontà D’Arte” dei Corde Oblique.
Altro grosso punto a favore di “On Our Last Day” riguarda la produzione, davvero ottima. Volete raccontarci dove e come si sono svolte le lavorazioni del disco?
Daniele: Il disco è stato registrato da Fabio Serra presso i suoi Opal Art Studios. Fabio non si è solo limitato a registrarci, ma ci ha anche fatto da produttore artistico motivandoci a dare il massimo in studio e dispensando consigli su come migliorare alcuni passaggi grazie alla sua esperienza musicale più longeva della nostra. Siamo soddisfattissimi del lavoro che ha svolto: è riuscito a tirare fuori un sound davvero particolare, che difficilmente si può ritrovare in altri album. Il problema di molti studi è che spesso tirano fuori dischi tutti uguali, Fabio riesce a creare un’atmosfera diversa per ogni band che registra. Ci sentiamo di consigliarlo a chiunque, qualsiasi genere faccia!
Cambiamo completamente discorso e spostiamoci in ambito live: avete già diviso il palco con band di una certa caratura, sia italiane che estere. Quali sono i ricordi e gli aneddoti più belli di quelle esperienze? Cosa deve aspettarsi chi viene a vedervi dal vivo per la prima volta?
Daniele: Le emozioni più grandi forse le abbiamo avute suonando assieme agli Omen, che sono una tra le band che più ci hanno influenzato. Ci ha fatto piacere vedere come siano gente alla mano sempre pronta a scherzare e quanto amino la musica che suonano.
Credo però che la data più bella sia stato il Release Party del disco che abbiamo tenuto l’11 febbraio: non sapevamo che accoglienza avremmo ricevuto all’uscita del disco e dire che siamo rimasti a bocca aperta forse è poco!
Ed ora un’occhiata in avanti: quali sono i progetti futuri dei Prodigal Sons?
Andrea: Sicuramente suonare il più possibile dal vivo, magari all’estero. Dopodichè cercare di scrivere pezzi dal sapore ancora più genuino e personale: l’heavy metal duro e puro forse ci va un po’ stretto.
Ultima domanda prima dei saluti. Ho indicato i Prodigal Sons come autori di uno dei debut album più entusiasmanti insieme – tanto per rimanere nell’orbita della My Graveyard Production – a quelli di Asgard e Stonewall. Negli ultimi anni l’Italia sta sfornando una nutrita schiera di giovani e valorose band: che effetto vi fa farne parte e quali altre band tricolori seguite?
Daniele: Innanzitutto ti ringraziamo moltissimo per le parole che hai speso per noi all’interno della recensione che hai pubblicato. L’Italia deve molto alla My Graveyard Productions, che è riuscita ridare vita ad una scena ormai morente, investendo tantissimo sui giovani talenti. Credo che ora il nostro Paese possa vantare la presenza di gruppi che la maggior parte degli altri Stati si sogna: siamo sempre stati snobbati da tutti, ma ora i tempi sono maturi per far vedere che anche noi abbiamo molto da dire.
Le band da citare sarebbero davvero tantissime, non mi sento di nominarne alcune a discapito di altre. Le più sottovalutate sono sicuramente i Dark Quarterer, che nonostante gli anni di militanza ancora devono accontentarsi di suonare nei pub, e i Rosae Crucis, che ci hanno sempre divertito da matti e sembra che attirino più polemiche che fan.
Bene ragazzi, siamo giunti alla fine. Grazie per la disponibilità a rispondere alle mie domande e per aver dato alle stampe “On Our Last Day”! Come di consueto su queste pagine, l’ultimo spazio è a vostra disposizione, chiudete quindi come ritenete più opportuno! Grazie ancora ed in bocca al lupo per tutto!
Grazie a te! Un saluto a tutti i lettori!
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