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Giornalista e scrittore, ora anche co-editore di Rock Hard, Stefano Cerati approda sulle nostre pagine per presentarci il suo nuovo libro in cui analizza a fondo i testi dei Black Sabbath nel periodo Ozzy. Ma non solo di questo si è parlato! A voi la lettura!
Ciao Stefano e benvenuto su EP! Sei nostro ospite principalmente per l’uscita del libro “BLACK SABBATH – MASTERS OF REALITY – Dischi, Musiche e Testi dell’era Ozzy (1969-1978)”, ma non mancheremo di interrogarti su tante altre cose!
Qual è stato lo spunto per questo libro e come mai hai deciso di concentrarti solo sul periodo-Ozzy?
Grazie a te dell’interesse a grazie ovviamente a tutti coloro che leggeranno quest’intervista e spero siano interessati al mio volume. Lo spunto per scrivere questo libro deriva dalla enorme passione e dalla voglia di rendere un tributo ad una belle band più importanti della storia del rock, del rock e non solo dell’heavy metal, che ha formato la mia adolescenza. Inizialmente volevo fare uscire il libro per i 40 anni della band nel 2010, ma poi ho procrastinato il progetto per diversi impegni personali (matrimonio, figli, trasloco) e quindi solo quando è stata annunciata la reunion ed ho concordato una scadenza con l’editore mi sono messo al lavoro più intensamente. Solo il periodo Ozzy perché, senza nulla volere togliere agli album con Dio, Gillan, Hughes e Martin, la formazione storica dei Black Sabbath, quella che ha fatto un lavoro unitario che comprende otto dischi in dieci anni di carriera, è stata fondamentale nel porre degli standard e nel creare davvero un nuovo linguaggio sia sonoro che d’immagine e lirico che avrebbe fatto scuola nel mondo. Non è detto che in futuro non mi cimenti nell’esame dei successivi lavori della band.
Qual è secondo te l’album dove i Black Sabbath adottano dei testi più particolari?
I primi tre album da questo punto di vista sono quelli più significativi e quelli dove si trova la maggior parte di testi veramente interessanti come “War Pigs”, “Electric Funeral”, “Hand Of Doom”, “Children Of The Grave”, “Iron Man”, “Behind The Wall Of Sleep”. In realtà quasi tutti quelli dei primi tre album sono dei piccoli capolavori di narrativa sci-fi horror esoterica, se mi passi la definizione un po’ complessa.
Nel tuo libro ci tieni a rappresentare i Black Sabbath come un gruppo lontano dal Diavolo, una band che ha paura di esso e che cerca di scappare via da lui. Per chi non avesse letto il libro e fosse incuriosito da questa tua analisi, quali sono i punti salienti che esprimi a favore di questa tesi?
Molta parte della presentazione satanica della band è stata creata ad arte dalla casa discografica e dal produttore. E’ stato lui ad inserire l’effetto della pioggia, dei tuoni e delle campane a morto prima di “Black Sabbath”. Inoltre è opera della casa discografica, la Vertigo, la collocazione della croce rovesciata all’interno del primo album. I Black Sabbath più che altro ammonivano dai pericoli di mettersi dalla parte del diavolo. Come il loro messaggio è stato travisato da molti, che hanno visto in loro dei paladini dell’occulto, è capitato che venissero seguiti e molestati da una massa di pazzi esaltati che volevano convincerli a celebrare delle messe nere o a unirsi a sette sataniche. Erano spaventati a tal punto dalla reazione che avevano involontariamente causato da farsi fare delle croci di metallo dal padre di Ozzy (che ancora portano al collo) proprio come amuleti per tenere lontani gli spiriti maligni. In realtà le canzoni che parlano del diavolo sono solo quattro: “Black Sabbath”, “N.I.B”, “War Pigs” e “Lord Of This World”. Dopo il terzo album Satana scompare dai loro testi.
Nel corso della tua carriera giornalistica hai avuto a che fare con Ozzy Osbourne e l’hai intervistato diverse volte dal vivo. Come ti è sembrato? E’ più uno show man, un business man, una rockstar con le sue paranoie, una persona normale o altro ancora?
Ozzy non ha nulla di normale, neanche quando dorme. J A suo modo è una rockstar inconsapevole, perché la sua essenza è quella di un giocherellone, un hooligan da pub del sabato sera a cui piace devastarsi e fare scherzi triviali. Non è comunque uno che se la tira, però, visto tutto quello che si è fatto in vita sua, è evidente che non ha tutti i neuroni al loro posto. Sicuramente è uno showman, un business man proprio no, a quello pensa Sharon: lui non sa neanche quanti soldi ha nel portafoglio. Una rockstar con le sue paranoie certo, forse qualcuna in più delle persone regolari, eheh.
Hai avuto l’opportunità di intervistare anche Geezer Butler, Sharon Osbourne e Tony Iommi. Quale tra queste persone ti ha colpito di più? Hai qualche aneddoto da raccontarci su di loro o su Ozzy?
Sicuramente mi ha colpito maggiormente Tony Iommi, che è quello che ho intervistato di più e poi perché era il mio idolo di gioventù assieme a Jimmy Page. E’ una persona carismatica, ma anche piuttosto insicura. Comunque è molto gentile ed ha il classico senso dell’umorismo inglese. Le interviste con Ozzy sono sempre state un problema. Nel 1998, prima della reunion che li ha portati a suonare anche al Gods Of Metal, gli feci un’intervista per Flash e lui dopo sei minuti di frasi deliranti mi attaccò il telefono in faccia dicendomi: “Interview is over, you know, I’m a madman” (l’intervista è finita, lo sai, sono pazzo). Un’altra volta vado a Londra per l’intervista per la promozione di “Black Rain” e ci sono ben ventisette giornalisti da tutta Europa e lui non si presenta perché, come ci hanno detto, era dovuto tornare a Los Angeles perché il figlio doveva essere operato di appendicite. Abbiamo recuperato poi l’intervista facendo una conference call di un’ora con ben dodici giornalisti che parlavano a turno, una domanda a testa a rotazione. L’ultima intervista che ho fatto, sempre a Londra, gli chiedevo una cosa e lui me ne rispondeva un’altra (e ti assicuro che io parlo bene inglese e mi faccio capire). Il problema è che lui è disconnesso, ha un deficit di attenzione ed è pure dislessico. Comunque non c’è problema, basta cambiare le domande quando si traduce J
Nel 2013 c’è la speranza di un nuovo, grande disco dei Black Sabbath e anche quella di un tour mondiale. Tutto dipende, come il mondo metal sa, dalle condizioni di salute di Tony Iommi, alle prese con un linfoma. Nell’ipotesi che tutto vada per il meglio, come ci auguriamo, cosa ti aspetti dal ritorno dei Black Sabbath nel 2013?
Ad essere onesto non mi aspetto molto, anche se sono molto curioso come tutti, ma più come vecchio fan che come giornalista obiettivo. Non credo che potranno mai tornare all’eccellenza dei primi sei album. Sarò il più contento del mondo ad essere smentito. Dal vivo invece penso che riusciranno ancora a fare dei bei concerti. Tony Iommi e Geezer Butler suonano alla grande ed Ozzy tanto era già scoppiato nel 1978. Ho visto dei concerti di quell’epoca ed era imbarazzante da quanto era stonato e fatto. Però se becchi la giornata giusta può ancora fare una buona esibizione. Spero vivamente che venga riportato nella band Bill Ward. Senza di lui non è una vera e propria reunion. Mi spiacerebbe che non ci fosse. Sarà perché mi fa anche molta tenerezza. Ci ho parlato una volta sola, ma per due ore. E’ una persona di una disponibilità estrema ed ha soddisfatto molte delle mie curiosità da fan (che mi sono state anche utili per il libro). Mi ha anche lasciato la sua mail per contattarlo per ulteriori interviste, ma non ne ho mai voluto approfittare.
La tua attività di giornalista e scrittore pare davvero inarrestabile! Di cosa ti stai occupando ora?
Diciamo che sono una persona molto organizzata che sa come razionalizzare il proprio tempo. Nel 2012 ho scritto tre libri e, se tutto va bene, vorrei mantenere questo passo anche per i prossimi tre/quattro anni, perché ho in cantiere diverse idee per altri libri. Attualmente sto finendo un libro sugli Slayer, che avrà lo stesso taglio di quello sui Black Sabbath: commento agli album, ai testi ed alla musica di ben centosedici canzoni originali scritte in tutta la loro carriera, più le cover ed i demo. Quindi sto pianificando, assieme ad un amico, un libro sulla storia di tutte le riviste hard and heavy mai uscite in Italia. Dopo ho in mente un altro libro sui cento dischi stoner/doom e poi un libro sulla crisi del rock. E con questo arriveremo a fine 2013. Più avanti vedrò.
Hai scritto (a volte da solo, a volte con altri autori come Barbara Francone) i libri sui cento migliori dischi Death Metal, NWOBHM e Thrash Metal: sei un perfetto esempio di come un amante della musica heavy metal non debba per forza di cose essere “settoriale” e ascoltare solo heavy classico, o power o black metal. Come fai a conciliare artisti e musiche così diverse, dato che – diciamocelo chiaramente – i Death non sono gli Iron Maiden e non assomigliano neanche un po’ agli Anthrax, per fare tre esempi ben distinti?
Per farti capire: io sono un amante della musica rock a 360°, dentro cui l’hard and heavy sono i miei generi preferiti. In quasi ogni genere ci sono ottimi interpreti. Basta essere curiosi ed avere apertura mentale. Io poi sono cresciuto negli anni ’70, quando era normale ascoltare prog, country, hard rock, punk o new wave allo stesso modo. Non mi è mai piaciuto essere rinchiuso in un ghetto musicale. Poi ho avuto la fortuna di crescere in un periodo, gli anni ’70 ed ’80, pieno di fermenti musicali, basti pensare all’hard rock, al prog, al punk, all’hardcore, alla new wave, alla NWOBHM, al thrash, al death, al grind, tutte correnti che sono nate in quegli anni. Io ascolto veramente di tutto. I soli generi che detesto nel rock sono il reggae, i new romantic inglesi (tipo Depeche Mode, Soft Cell, Dead Or Alive e compagnia brutta) e l’indie rock. Diciamo che il rock è come un arcobaleno di colori. Perché dipingere solo di nero se hai a disposizione anche il giallo, il rosso, il viola ed un’infinita gamma di tonalità diverse? I Boston sono diversi dai Napalm Death tanto quanto i King Crimson sono diversi dai System Of A Down, ma tutte queste band mi piacciono, anche se per motivi diversi.
Sempre a proposito dei cento dischi migliori in ambito Death, Thrash e NWOBHM: in quale di questi generi è stata dura arrivare a cento e in quale invece ti è dispiaciuto scriverne “solo” cento, se mai ti sei trovato di fronte a queste scelte?
Scelte se ne fanno sempre ovviamente, anzi il bello è proprio la discussione con gli altri autori. “Mettiamo questo o quello, quello è più importante, quello è un disco di culto, quello non appartiene proprio al genere” erano le frasi più ricorrenti. Anzi forse la parte più impegnativa è quella del confronto con gli altri autori (che sono comunque amici e quindi non ci scanniamo) per cercare di proporre la miglior lista possibile. Qualche dubbio rimane sempre, ma è impossibile accontentare tutti. Io ho sempre detto agli altri: “Siccome ci sarà sempre qualcuno che ci criticherà per avere messo o non messo quel determinato disco, pensiamo con la nostra testa. Siamo competenti e sappiamo che cosa vale e che cosa no. L’importante è che ci siano i primi cinquanta, quelli su cui nessuno può dire nulla, sugli altri cinquanta possiamo anche discutere e fare delle scelte. Certo nel thrash e nel death avremmo potuto metterne di più, mentre per la NWOBHM è stata dura ad arrivare a cento dischi davvero significativi, perché copriamo un periodo di tempo molto limitato, non più di cinque anni, diciamo dal 1980 al 1985. All’inizio non pensavo fosse un problema, invece alla fine abbiamo dovuto ripescare anche dei lavori di culto, significativi, ma forse solo nell’underground. Così però magari abbiamo fatto felici i più pignoli.
Hai scritto per anni su giornali cartacei, in un settore che ha attraversato ed attraversa tuttora una grave crisi economica, anche per l’avvento dei giornali on-line (mea culpa, visto che ne dirigo uno). Ci sono secondo te delle “ricette” per far sì che si possa tornare a vedere nelle edicole una scelta più vasta (penso a Flash, Grind Zone, Metal Shock, Power Zone, ecc.) o ritieni che al giorno d’oggi si sia arrivati ad un livello tale per cui solo quelli veramente validi rimangono in piedi?
(N.B. non voglio dire con questa domanda che i giornali citati non siano stati validi, mi riferisco più in generale non solo ai contenuti e alle “penne” che ci scrivevano, ma anche all’editore, alla distribuzione, alla gestione delle spese, ecc.)
La seconda che hai detto. La recessione economica degli ultimi anni e la concorrenza della rete hanno fatto sì che il mercato italiano non fosse più in grado, come negli anni ’90, di sostenere sette o otto riviste. Oggi ce ne sono tre mensili: RockHard, Metal Hammer e Metal Maniac, più due periodiche: Grind Zone e Classix Metal, ma a bassa diffusione e che escono in modo discontinuo. Il problema è che se tutti presentano le stesse interviste e le stesse recensioni non ha senso comprare cinque riviste per leggere sempre le stesse cose. Per questo con RockHard noi cerchiamo di offrire al lettore molte rubriche, articoli a tema ed approfondimenti che non trovi né nelle altre riviste né in rete. Credo che il modello basato solo su news + intervista + recensione sia superato. Bisogna offrire di più al lettore che una semplice intervista. Tornando alla tua domanda, negli anni ’90 le riviste avevano tutte un taglio diverso: Flash era quella più settoriale nelle recensioni, Psycho quella che privilegiava le nuove tendenze, Metal Hammer e Metal Shock quelle più classiche, Hard quella più trendy ed orientata al gossip, Thunder quella che aveva il cd allegato, Metal Force quella gratuita. Insomma ognuno cercava di avere la propria fisionomia e la propria personalità, tanto quanto le band stesse. Oggi però, ripeto, questo non basta per riuscire a stare sul mercato, anche perché le nuove generazioni leggono meno di una volta.
Ok Stefano, l’intervista è finita, ti ringrazio per la tua disponibilità e lascio a te l’ultima parola per un saluto ai nostri lettori!
Grazie a te ed alle domande diverse dal solito che mi hanno permesso di parlare della mia attività di giornalista in modo più ampio ed affrontare anche delle questioni legate all’editoria! L’unica cosa che voglio aggiungere è che sono sempre stato, e sempre sarò, una persona entusiasta della musica e che ha la grande fortuna ed il privilegio di avere fatto della propria passione il suo lavoro. Sono una persona molto curiosa e, penso, di mentalità aperta. Quindi consiglio a tutti di approfondire le cose, non limitarsi alle solite band, di essere curiosi verso il nuovo e rispettosi verso il vecchio, perché se è vero che the song remains the same è altrettanto vero che là fuori in qualche marcia cantina sta per uscire una nuova band che vale la pena ascoltare.
Sito Tsunami Edizioni: http://www.tsunamiedizioni.com/