07/06/2013 : Sweden Rock Festival – Day 3 (Solvesborg, SVE)


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07/06/2013 : Sweden Rock Festival – Day 3  (Solvesborg, SVE)

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Gli svedesi Treat sono una band davvero notevole anche dal vivo ed il loro rock melodico di squisita fattura rappresenta un eccellente modo di aprire le danze in questo terzo giorno di festival. Tra pezzi carichi che sfociano nello sleazy più catchy e materiale più lento ed arioso lo show non contiene un attimo di stanca. Dal nuovo disco “Coup De Grace”, giustamente celebrato da molti siti e riviste di melodic rock sono estratti ben cinque pezzi e mi piacciono particolarmente “Skies Of Mongolia” e “The War Is Over ” che mettono in mostra il meglio del talento vocale del simpatico frontman Robert Ernlund. Lo show si conclude con quello che forse è stato il singolo di maggior successo della carriera della formazione, “World Of Promises” (in passato coverizzato anche dai connazionali In Flames), a suggellare un ottimo inizio di giornata.

La conoscenza approfondita di certi gruppi avresti voluto farla prima, ma quando ti capita di scoprire un tesoro nascosto la sensazione prevalente è sempre quella della gioia nel tastare ogni singola perla e gemma preziosa del forziere appena trovato nel vecchio galeone in fondo al mare. E’ un po’ quello che mi è capitato con gli Hardline, formazione della quale avevo probabilmente ascoltato un paio di pezzi negli anni ’90 ma alla quale non avevo prestato molta attenzione. Ascoltare il nuovo disco “Danger Zone” e alcuni dei pezzi migliori dai tre dischi che lo hanno preceduto durante un recente viaggio in Toscana me li ha fatti apprezzare tanto grazie soprattutto alla straordinaria voce di quella powerhouse che è il frontman Johnny Gioeli, noto anche per il ruolo di vocalist nella Axel Rudy Pell band. La potenza vocale e la passione con le quali Johnny canta non possono lasciare indifferente un amante dell’ heavy rock classico e del rock melodico come il sottoscritto. Nati come una hair metal band quando il genere stava smettendo di tirare, gli Hardline hanno avuto una carriera sfortunata pur avendo sfornato solo dischi qualitativamente notevoli. Nel 2013 un concerto degli Hardline è una rarità e per l’occasione Gioeli si è affidato ad una line-up davvero affidabile completata dal simpatico tastierista italiano Alessandro Del Vecchio (anche coautore di svariati pezzi nuovi), dalla bassista Anna Portalupi, dal chitarrista Josh Ramos e dal poderoso Mike Terrana dietro le pelli. Nonostante la scarsa attività live la band ha un gran bel tiro e non potrebbe essere altimenti con Terrana dietro al drumkit ed un Gioeli scatenato dietro al microfono ed il responso del pubblico è davvero buono. La nuova “Fever Dreams” ha un chorus esaltante ma il brano più cantato è di gran lunga l’hit single “Hot Cherie” dal debutto discografico “Double Eclipse”.

Riesco a vedere il finale dello show dei Firewind ed il primo pensiero è che abbiano trovato in Kelly Sundown Carpenter davvero un nuovo buon vocalist: attitudine positiva, decente stage presence ma soprattutto voce impressionante sulle alte tonalità e dalla rara potenza anche a fine set. Gus G è l’ovvio leader musicale della formazione, ancora di più da quando può sfoggiare la partnership professionale con Ozzy Osbourne che ovviamente ha dato ancora più visibilità alla melodic metal band greca. C’è il tempo anche per una incalzante cover di “Maniac” prima del finale con il singolo “Falling To Pieces”. Una band da tenere d’occhio.

A trent’anni dal primo omonimo disco, gli Asia hanno omaggiato il loro debutto capolavoro con “XXX”, un pregevole nuovo album di studio scritto e registrato dalla formazione originale. A distanza di un anno sono ancora in tour ma la line-up non è più quella originale visto che il chitarrista Steve Howe ha lasciato la formazione per dedicarsi a tempo pieno ai suoi Yes. La band Asia ha trovato nel giovanissimo e talentuoso chitarrista inglese Sam Coulson un elemento tecnicamente ineccepibile ma molto meno carismatico on stage del suo straordinario predecessore. Gli Asia sono a tutti gli effetti una all star band potendo vantare nientemento che Carl Palmer alla batteria (indimenticabile negli ELP), il tastierista Geoff Downes (noto anche per la militanza negli Yes) e lo straordinario talento vocale di John Wetton, una delle più belle voci del rock melodico. Tecnicamente ragguardevoli ma da sempre alla ricerca dell’immediatezza grazie a chorus catchy e a sezioni musicali trascinanti, gli Asia hanno scritto pagine importanti nella storia del rock melodico e dal vivo ci confermano tutta la loro stratosferica classe. Il loro rock ricorda quello dei Toto o il materiale più melodico degli stessi Yes ma l’aver battuto il territorio italiano molto meno delle citate bands ha confinato la formazione ad uno status di cult band all’interno dei nostri confini. In Svezia le cose vanno diversamente e quando partono le note della storica “Heat Of The Moment” il coinvolgimento è totale così come è grandioso sentire dal vivo pezzi da novanta come “Soul Survivor”, “Don’t Cry” e “Wildest Dreams”. C’è anche spazio per sentire ballate e songs dove Wetton ha modo di mostrare il lato più dolce della sua voce grazie a gemme ispirate del calibro della toccante “The Smile Has Left Your Eyes”, della più recente “An Extraordinaire Life” o della nuovissima “Face On The Bridge”. Più che un concerto una cascata di inebrianti melodie.

Vedere l’onestà e la disponibilità con la quale Dorothee Pesch ha risposto alle domande durante la press conference per poi osservarla sfoderare una prestazione fantastica e piena di grinta sul festival stage è stato certamente uno dei tanti highlights da ricordare dell’edizione 2013 del festival. Quando penso alla carica e al carisma di veterani del calibro di Doro, Saxon, U.F.O., Accept, non a caso tutti presenti in questa edizione dello Sweden e autori di alcune delle migliori prestazioni mi viene da pensare agli anni di esperienza, al carisma, alla classe, insomma non si diventa dei personaggi che hanno fatto la storia solo per il fatto di riuscire ad avere una grande longevità. Non si dura tanto ad alto livello senza un po’ di fuoco nelle vene. Il fuoco brucia ancora dentro chi ha la passione di questi colossi, alcuni dei quali hanno anche avuto la loro pausa dalle scene durata diversi anni per ricaricarsi, come la stessa Doro o i citati Accept. L’ex cantante degli Warlock è dotata di un’attitudine e di una fisicità vibrante davvero rare quando è sul palco, alle quali unisce una buona dose di sensibilità che si manifesta chiaramente nei rari momenti più soft. Il modo con cui la bionda vocalist di Düsseldorf presenta la nuovissima “Hero” dal nuovo disco “Raise Your Fist” dedicata a Ronny James Dio è davvero toccante, così come memorabile è la rendition di “Für Immer”. E’ tuttavia con le tante schegge di autentico true metal old school che lo show mantiene sempre un altissimo tasso adrenalinico grazie a brani come “Burning The Witches”, “Metal Racer”, “Earthshaker Rock” e “Metal Tango” senza dimenticare il cantatissimo inno di “All We Are”. Del nuovo album, grintoso come sempre, sono stati suonati quattro estratti tra cui la titletrack e la citata “Hero” ma il titolo chiave, forse quello più consono a descrivere Doro nel 2013, con una voglia di continuare a fare rock ancora esagerata è “Rock Till Death”, che ci fa pensare a lei come ad una Lemmy al femminile, una “woman on a mission” assolutamente inarrestabile quando è sul palco.

Con una top band come gli U.F.O. a cominciare il loro concerto dopo una quindicina di minuti dall’inizio del concerto degli Amaranthe decido di seguire solo un paio di pezzi del gothic modern metal dell’act svedese che ha radunato una platea con i fiocchi davanti al relativamente piccolo Soundstage. Visti e graditi già di supporto agli Stratovarius a Milano, gli Amaranthe dimostrano la loro buona vena live nonostante i volumi insolitamente bassi. Avere ben tre vocalist in formazione di sicuro è molto caratterizzante e la bella Elyse Reed (a Milano in lacrime per uno striscione affettuoso dei suoi fans italiani) è al solito una buona calamita per gli occhi dei molti maschietti presenti ma dopo le iniziali “Invincible”, “Leave Everything Behind” e “1.000.000 Lightyears” il sottoscritto dà l’arrivederci ai simpatici svedesoni perchè la storia del rock chiama.

Sul Rock Stage gli U.F.O. infiammano la numerosa platea con uno dei migliori concerti del festival. La band è in formissima e, al solito, l’istrionico frontman Phil Mogg ha un carisma innegabile ed un modo tutto suo di tenere il palco. Vinnie Moore riesce nel quasi impossibile tentativo di non far rimpiangere l’estro e il tocco dell’immenso Michael Schenker alla sei corde e scusate se è poco! Il recente “Seven Deadly” offre qualche bel pezzo che non sfigura troppo con i classici del passato: “Fright Night”, “Wonderland”, “Burn Your House Down” vantano nell’ugola di Mogg una delle voci meglio conservate e più peculiari dell’intero panorama rock ed è un piacere lasciarsi andare durante la proposizione di classici immortali che rispondono ai titoli di “Lights Out”, “Only You Can Rock Me”, della sempre meravigliosa “Love To Love” e delle immancabili “Rock Bottom” (in una versione straripante), “Doctor Doctor” (chiedere a Steve Harris quanto questo brano l’abbia influenzato sarebbe interessante) e “Shoot, Shoot”. L’eccellenza dell’hard rock.

Il tempo di un pasto caldo e una bibita, una domanda del sottoscritto agli Europe durante la press conference (con tanto di simpatico siparietto), e mi dirigo sotto il Festival Stage per seguire buona parte della performance degli svizzeri Krokus. Da sempre definiti come una sorta di piccoli AC/DC, i nostri hanno venduto milioni di dischi nella loro lunghissima carriera discografica e sono ancora sulla breccia ed in gran forma. Adoro “Screaming In The Dark” con il suo cantato più pulito e le schitarrate melodiche, una power ballad che dimostra chiaramente come la formazione sia molto più che una mera clone band del gruppo di Angus Young. Il suono compatto e la precisione della band rendono lo show impeccabile anche se inferiore al coinvolgimento totale suscitato dagli U.F.O.. Il frontman Marc Storace fornisce una prova di assoluto valore così come tutta la band peraltro aiutata da una setlist che è disseminata di pezzi heavy straordinariamente efficaci come “Headstrokes”, “Eat The Rich” e la recente “Halleluja Rock’n’Roll” dal nuovo “Dirty Dynamite”. Li rivedrei volentieri.

Quando la “renna d’oro” per la migliore esibizione della giornata in terra svedese sembrava già saldamente in mano agli U.F.O. ci pensano gli inossidabili alfieri del british metal più puro a rimettere in discussione tutto: i Saxon sono semplicemente la miglior classic metal band dal vivo. Non esiste altra formazione storica in grado di inanellare performances fantastiche una dietro l’altra e ai ritmi delle bands più giovani (con i day off ridotti al lumicino per intenderci). Il livello qualitativo del nuovo “Sacrifice” ed il suo flavour “old school” di certo aiutano, ed è solo durante la non irresistibile “Wheels Of Terror” che lo show vive il suo unico momento di stanca. Essermi vissuto lo show facendomi largo tra i rispettosi fans svedesi in compagnia di tre amici italiani scatenati come il sottoscritto di certo aiuta a ricordarsi lo show con un occhio di favore ma l’esecuzione perfetta di classici come “Crusader”, “Dallas 1 P.M.” e “747 Strangers In The Night” sarebbe valsa una recensione strapositiva a prescindere. La particolarità dello show è quella di vantare effetti speciali e numeri pirotecnici degni quasi di uno show dei Kiss, con tanto di batteria che si solleva durante il solo di Nigel Glockler (con un gioco di luci ad evidenziarne il nome in modo piuttosto pacchiano), esplosioni e ovviamente anche la presenza di un’aquila gigante esaltata da un tripudio di luci. Altro finale dedicato ai classici con grande coinvolgimento del pubblico e Biff a dividere la numerosissima platea in “bastards” e “motherfuckers” per stabilire la metà più loud. Per gli Europe sarà dura suonare dopo l’apoteosi metallica targata Saxon.

Nella press conference il batterista degli Europe, rispondendo ad una mia domanda sullo show di questa serata, che celebra trent’anni di carriera con ospiti illustri e tanto di live DVD-blu ray all’orizzonte, aveva parlato di una band che con gli anni si sta trasformando, diventando, quasi come Bruce Springsteen, una formazione da lunghi ed epici concerti. Mi aspettavo quindi un concertone superiore alle due ore ma non le quasi tre ore (meno un quarto) di spettacolo ininterrotto fornito da una band che da subito è apparsa vogliosa di sciorinare pezzo dopo pezzo estratti da ogni capitolo della propria lunga discografia. Gli Europe hanno probabilmente solo sbagliato l’attacco dello spettacolo. Non alludo all’esecuzione pressochè perfetta, ma proprio alla selezione dei pezzi. Cominciare con tre pezzi nuovi (tra cui la bella “Firebox”) non molto noti al pubblico locale e a tratti dalle sonorità blues (“Not Supposed To Sing The Blues”) ben diverse dal rock metal carico con cui la band era diventata famosa negli anni ’80 ha comportato un certo atteggiamento di freddezza di una parte del pubblico locale. Un inizio con “Rock The Night” o con “Cherokee” (unico grande classico sorprendentemente assente in scaletta) avrebbe di certo contribuito a scaldare il pubblico da subito. E’ anche vero che il pubblico svedese, a differenza di quello nostrano, dimostra di apprezzare un concerto rock anche in modo ben più pacato e tranquillo rispetto a quello a cui siamo abituati dalle nostre parti. Joey Tempest è stato protagonista di una prova tutto sommato più che buona pur sembrando piuttosto controllato e con il freno a mano lievemente tirato nella prima ora, fatto facilmente spiegabile con la durata decisamente inusuale dello show. Gli Europe dal vivo potrebbero beneficiare enormemente di una stage presence più “viva” da parte di John Norum, eccellente musicista ma con la “sindrome di Gary Moore” che non gli fa mai abbandonare la sua mattonella per la quasi intera durata del concerto, con la notevole differenza che il compianto bluesman era anche impegnato dietro al microfono. In una setlist lunghissima le sorprese più gradite sono state probabilmente le esecuzioni di “Paradize Bay”, di “In The Future To Come” e di una entusiasmante rendition elettrica di “Prisoners In Paradise” ma ovviamente il tripudio è arrivato nel finale con il trittico “Carrie” (nella versione originale e non acustica), “Rock The Night” e con la attesissima “The Final Countdown” con un cameraman personale che deve aver perso qualche kilo nel tentativo di inseguire lo scatenato Joey Tempest intento a correre su e giù per il palco e per la lunghissima pedana centrale. L’evento è stato reso ancor più speciale dall’esecuzione della cover di “Jailbreak” dei Thin Lizzy con il guitar player Scott Gorham in veste di special guest e dalla partecipazione di Michael Schenker per una rendition del classico degli U.F.O. “Lights Out” ascoltato solo poche ore prima sul Rock Stage. Sarà un bluray-dvd imperdibile. Auguri per le trenta candeline.

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