23/06/2017 : Alpen Flair Festival (day 1), Naz (BZ)


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23/06/2017 : Alpen Flair Festival (day 1), Anthrax + more, Naz Sciavez (Bz)

Anthrax
D.A.D
Subway to Sally
Truck Stop
Troglauer
Combichrist

“Alpen Flair! Das größte Volksfest Südtirols!”, questo lo slogan che riecheggiava ovunque a Naz Sciavez, nei pressi di Bressanone a Bolzano, e che significa “la più grande festa Folk del Sudtirolo”! E su questo non ci piove. Allestito in un ex area NATO, la location è perfetta: spazi enormi e ben distribuiti, torri militari dismesse e altoparlanti sui tetti che danno un tocco decisamente non-convenzionale ad un evento che è già di per sè un qualcosa di non-convenzionale.

L’Alpen Flair è un festival diverso.

Ogni anno qui, immerso nelle splendide montagne sud-tirolesi (ma anche nord-italiane), prende vita questo grande ritrovo, una tradizione ormai, che richiama a se migliaia e migliaia di persone che, campeggiando attorno a tutta l’area, trascorrono spensierati qualche giornata selvaggia fatta di musica, birra e jodel come se non ci fosse un domani.

Non si tratta però di un semplice festival di nicchia: sempre qui, negli anni passati sono comparsi nomi del calibro di  Helloween, Saxon e Sabaton, solo per citarne alcuni. Tuttavia, si è fortemente determinati a mantenere sempre una forte tradizione di musica Folk tirolese che, alla fine dei conti, qui fa da padrona.

La terra di mezzo.

Ma non siamo in Italia? Con questo report cercherò di farvi un pochino da tramite, per quanto riguarda la realtà attuale nei dintorni. Questo è un passaggio molto importante, per capire a fondo il senso e l’atmosfera del festival, e -perché no – per togliervi qualche dubbio.

Dovete sapere che questa è una di quelle zone dell’Alto Adige che non ha mai digerito il fatto che la regione fosse stata annessa all’Italia, ed in seguito italianizzata a forza con il fascismo. Qui si convive benissimo tra i diversi gruppi linguistici e questo dovrebbe rimanere una grande fonte di ricchezza culturale, non una barriera. Ma ogni tanto qualche tensione c’è, inutile negarlo.

D’altro canto, il gruppo italiano non ha nessuna intenzione di abbandonare questa terra e questo sistema, che (diciamocelo) grazie alla struttura austriaca, gira piuttosto bene.

Dico tutto questo perché non è difficile notare che, a partire dall’organizzazione stessa, tutta la ruota gira attorno ad una sola lingua: il tedesco. Sul sito dell’evento, ad esempio, non troverete informazioni in italiano, come neanche sulla pagina Facebook. Lo stesso vale per tutta la sezione mediatica che promuove l’evento, il merchandising e tutto il resto. Perfino le bands sono quasi totalmente tedesche.

Quindi, in questo articolo farò il reporter/fotografo/interprete, per raccontarvi al meglio quello che è stato passare due giorni all’Alpen Flair. SPOILER ALERT: una figata!

A differenza di quanto riportato dal flyer, i giorni effettivi erano tre: si iniziava con un warm-up di giovedì con artisti locali, ma per HMW ho presenziato nei due giorni principali, ovvero venerdì e sabato.

Arrivo intorno alle 15.00 e parcheggio lontanissimo. Come Pollicino, trovo la strada per l’arena seguendo i cocci delle bottiglie di birra disseminati ovunque dalla sera prima. Il caldo si fa già sentire parecchio e in questa lunga tratta incontro moltissima gente visibilmente esaltata. Ce n’è per tutti i gusti: uomini, donne, bambini, anziani e ragazzi vestiti in tipico stile tirolese (cercate “Lederhosen” su google e capirete), ma tutti uniti da un unico comune denominatore: le t-shirt dei Frei.Wild. Mi sentirete molto nominare questa band fra queste righe.

Tutto è sorvegliato e controllato al massimo: tantissimi addetti alla security, ovunque. Elicotteri, carabinieri. All’ingresso mi perquisiscono dalla testa ai piedi, e con un bel muso duro mi fanno entrare. Ma la cosa non mi dispiace affatto, anzi, mi da la tranquillità che speravo di avere. Faccio un giro per tutta l’area del concerto, che si rivela enorme e organizzatissima, decorata come i più grandi festival, tra estesi stand gastronomici e bancarelle, tutto rigorosamente firmato Alpen Flair. Devo dire che è tutto piuttosto affascinante, ma non c’è tempo da perdere: è già ora scaldare i motori.

Il running order della giornata è organizzato così: un’ora di live per tutte le bands, tranne per gli headliners che beneficiano di una mezz’ora/un’ora in più. Giuro che le esibizioni hanno spaccato tutte il minuto, l’ho trovato quasi pazzesco.

Sono le 15.30 e l’arena conta già numerosissime persone che si dissetano a birrozze fresche attendendo l’inizio delle danze.

Si parte con i norvegesi Combichrist, capitanati dall’inquietante Andy LaPlegua. Per chi non li avesse mai sentiti, suonano una sorta di industrial aggressivo (detto anche “Aggrotech”), accompagnato da chitarre distorte e basi EBM. Molto Rammstein. Sul palco ci sanno fare, e la performance è buona: il pubblico è subito partecipe ed entusiasta, ben propenso a fare già casino. Il cantante ne approfitta spesso per scolarsi qualche birra, acclamato ovviamente dalla folla. Tutto fila liscio e l’esibizione è sicuramente buona, sanno bene come tenere il palco. Il chitarrista si dimostra molto partecipe e fronteggia la prima linea assieme al frontman, con una ritmica niente male.
Vorrei scrivere di più, ma nella mia ignoranza non conosco i titoli dei brani e non trovo scalette affidabili da nessuna parte. Finiscono la loro setlist energicamente, seguita al termine da un fragoroso coro di massa “Zugabe! Zugabe!”, che sta per “Ancora! Ancora!”. Un bel modo di abbandonare il palco… considerando che si sta solo aprendo per un lungo festival!

Il secondo gruppo della giornata sono i Germanici Troglauer, coi loro bei Lederhosen, che ci propongono una musica estremamente tirolese, arricchita da batteria e chitarra hard rock (Heavy Volxmusic, come la definiscono loro). Sapevo già cosa aspettarmi in linea di massima, ma sono rimasto comunque un po’ stranito dalla situazione surreale: i musicisti erano super-gasati ed il cantante Domml sprizzava gioia da tutti i pori, contentissimo. Il fisarmonicista Roy, allegro anche lui, fa il grosso del lavoro in termini di sound. Ha anche condotto una versione montanara di Highway to hell, che hanno suonato per intero con grande riscontro.

Il pubblico, infatti, è già in semi-delirio: questi ragazzi hanno ricevuto un accoglienza davvero esaltante, che mi è capitato di vedere solo con gruppi di una “certa fama” ed in contesti diversi. Insomma, un’ora di allegria popolare, che – cogliendomi un po’ di sorpresa – ha coinvolto proprio tutti.

A rilassare un pochino gli animi – ma neanche tanto – arrivano i Truck Stop, anche loro dalla Germania: una country-band storica del luogo, che vanta ben 40 anni di attività (!), una dozzina di album ed un sacco di riconoscimenti. Look da cowboys europei, suonano country e blues in lingua madre, alla vecchia maniera, esattamente come ve li immaginate. Non sono più dei ragazzini, ma devo dire che si godono ancora il palco e che piacciono più che discretamente lì sotto. Altro da scrivere onestamente non trovo: buona musica suonata molto bene, ma nulla di nuovo. Per appassionati.

Sono già quasi le 20.00, ed è tempo per i Subway to Sally di calcare il palco. Grande band germanica fondata nei primi anni ’90, fino al 2011 si contano ben una dozzina di album prodotti ed un notevole seguito.
Il loro è un metal gotico/medievale in lingua tedesca. Decisamente dei personaggi inusuali: a partire dal biondissimo cantante Bodenski, passando dal misterioso chitarrista Ingo, per arrivare alla raperonzoliana Frau Schmitt al violino e al mitico Eric Fish alla ghironda e alla ciaramella (!!!). Uno spettacolo che ha del teatrale, non so come altro raccontarlo, ma tutto sommato divertente. Credo che gli scatti qui sotto rendano molto meglio l’idea rispetto alle parole.
Personalmente non amo questo genere, ma i gusti rimangono sempre gusti: la qualità dei musicisti è indubbiamente buona, i suoni sono molto ricercati e funzionano bene, e sul palco sanno esattamente il fatto loro, a modo loro.

ps. la violinista ed il ciaramellista sono i veri frontman sullo stage!

Ed il responso da sotto… ”Zugabe! Zugabe!”.

Il pubblico è ancora bello ed in forma, l’area del festival è ormai piena. Dall’alto ora si vede solo una distesa di teste, e di t-shirt dei Frei.Wild. Ma chi sono questi Frei.Wild??

Penultimo gruppo della giornata, i Danesi D.A.D, anche loro a me sconosciuti fino a pochi giorni prima, quando mi sono documentato. Fatto sta che suonano insieme dagli anni ’80. Hard n’ Heavy, un po’ glammoso, che al sottoscritto finalmente piace un sacco. Anche qui scorgo qualcosa di strano: il bassista è diventato una sorta di rettile alieno, con tanto di casco, accompagnato da un basso a due corde, qui trasparente per l’occorrenza. L’ho massacrato di fotografie.
Loro comunque hanno suonato alla grande e nella parte del concerto dove erano stati collocati erano perfetti: preparavano al meglio il terreno per quello che stava per accadere poco più tardi.

Il cantante Jesper e la sua flyin’ V erano in ottima forma ed hanno fatto uno show con i cosiddetti. Ad un certo punto decide anche di scavalcare la barricata per andare a cantare tra i suoi fans. Un grande. Il chitarrista Jakob ci ha deliziati con assoli e riff davvero belli ed esaltanti, accompagnati da una batteria che non ha perso un colpo. E poi c’era lui: Stig (no Sting!!), che in quanto a presenza scenica era davvero sopra tutti. Il sottoscritto non è un appassionato di outfit del genere, ed in questo contesto hard rock lo trovavo decisamente fuori luogo (e spazio)… poi, conoscendoli meglio, mi rendo conto che questa sera era ancora conciato in modo sobrio.

Al pubblico piace lui, piacciono loro ed effettivamente i pezzi sono belli e suonati davvero molto bene. Un’ora di bella musica e ottime vibrazioni. Salutano, ringraziano e la platea ricambia fragorosamente .

L’aria si fa più tesa. I corpi si muovono più nevroticamente. Le espressioni cambiano. Stanno arrivando loro…

Gli Anthrax! Che dire.. la ciliegina sulla torta di questa giornata fatta di strane band e di grandi palchi.

Passano i minuti (che sembrano ore) e finalmente parte a tutto volume dalle casse “the number of the beast” (eh..??) …scorre tutto il pezzo, e l’attesa si fa assassina. Entra Jon Dette (in sostituzione temporanea di Charlie Benante), che si sistema la batteria seguito da Frankie Bello, Jonathan Donais e Scott Ian. E’ ora di amalgamarmi alla folla delirante: adesso siamo davvero tutti gasati a mille, dei veri e propri ragazzini che stanno per vedere uno di quei gruppi che sono nati ancora prima di loro.

Mettono subito le cose in chiaro, attaccando con la thrashissima “Among The Living” ed il suo intro da paura. Qui fa il suo ingresso Joey Belladonna: in quel preciso momento ho deciso come voglio invecchiare. Un’energia e uno spirito che lasciano senza fiato. Il sound è pompato ed il pezzo esce fighissimo. Alcuni fotografi si tappano le orecchie. Scott è già carico come una molla, mentre gli altri stanno carburando, concentrati sui loro strumenti. Finisce il pezzo, ed è boato. L’adrenalina finalmente si sfoga tutta in un solo colpo, mentre proseguono con “Caught In A Mosh”, armonizzata da quel ritornello che suona sempre così bene: “Which one of these words don’t you understand??”… Il delirio prosegue, vedo facce intorno a me felicissime mentre Joey non sta fermo un attimo, fa chilometri incitando tutti, è veramente cazzuto. Abbigliamento da semplice thrasher anni ’80, capello crespo, la voce stupenda ed allenata a dovere, che non fa assolutamente rimpiangere i tempi migliori. Io, non avendoli mai visti live, rimango scioccato dalla presenza di quest’uomo. Frankie Bello è fuori dalle grazie, gasatissimo, uno spettacolo da vedere. Intanto la setlist va avanti spedita, tra pezzi quali “Belly Of The Beast”, “Medusa” e la fumettistica “I Am The Law”. Di nuovo Belladonna, ancora fresco e al top, chiede di fare più casino: “what the fuck..!!”, ed è subito accontentato.

Durante tutto lo show lancia decine di plettri direttamente dall’asta di Scott: lui… lo stesso di sempre, dimora al centro del palco macinando riff su riff con la sua espressione esasperata-orgasmatica. Stesse chitarre, stesso outfit, stessa passione. Una garanzia.

Proseguono incalzanti, seppur non trascurando mai l’approccio continuo con il pubblico, che risponde sempre per le rime, instancabile. Sotto il palco il pogo non si ferma mai ed il polverone innalzato dai vari mosh contribuisce a suo modo a creare una buona parte di atmosfera. Dall’ultimo album “For All Kings”, suonano poi una -devo proprio dirlo- bellissima “Breathing Lightning”. Chiudono la serata con l’intramontabile “Antisocial”, seguita dal gran finale di “Indians”, spettacolare e suonata da brividi. Credo sia inutile commentare il frastuono di un’arena piena che urla per loro.

A caldo, ho come l’impressione di aver appena visto suonare una band pervasa dalla stessa voglia che aveva ad inizio carriera, quando ancora dovevano dare il 220% per emergere. Un’ora e mezza di musica con la “M” maiuscola, suonata da musicisti con la “M” ancora più maiuscola. Veramente immensi.

Torno a casa stanco, incontrando ancora centinaia di persone che vanno e vengono. La festa è finita per me… ma solo fino a domani!

Rnr,

Patrick D’Amico

Bene…credo di aver parlato in abbondanza fin’ora… vi lascio agli scatti:

3 commenti su “23/06/2017 : Alpen Flair Festival (day 1), Naz (BZ)”

  1. Ciao Patrick. Ottima rece. Sono stato in vacanza fino a qualche giorno fa a Naz(bz) perchè ho degli amici ”italiani” a Bressanone e la cosa che mi ha colpito tra i metallari del luogo e che neanche la musica, purtroppo, unisce i tedeschi e gli italiani. La cosa mi ha rattristato molto perche’, al contrario, dovrebbe essere la musica stessa a far superare le differenze culturali tra i popoli. Spero che in futuro qualcosa cambi e che in questo festival ci sia spazio pure per i gruppi italiani.
    Scusami, ma odio i pregiudizi.

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    • Ciao Christian, intanto grazie per l’attenzione e per il complimento. Purtroppo dici bene! Ci sono delle barriere inutili, che ancora si stenta a superare.. Trovo assurdo portarsi dietro gli asti dei nostri bisnonni, quello che è stato è stato insomma, si va avanti, si fa tesoro di quello che si ha in eredità! Diciamo che in questo report ho voluto raccontare il festival a 360 gradi, perché ho capito, dalle poche persone che mi rivolgevano la parola -italiani-, che non comprendevano bene la situazione ed il clima particolare. Vabbè, speriamo si cambi in meglio, tutti e 2! RnR

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  2. Report e foto davvero molto belli, complimenti a Patrick per l’analisi che esula dalla musica. Il Trentino e l’Alto Adige sono posti molto belli e molto ben organizzati, purtroppo questi problemi di convivenza sono ben chiari e visibili anche al giorno d’oggi. Non ci resta che sperare in un futuro migliore senza diatribe ed inutili rancori che si trascinano da 80 anni.

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