Visualizzazioni post:507
Usciti allo scoperto in piena epoca d’oro del retro-thrash, quegli anni a cavallo della prima decade del 21simo secolo che hanno visto un fiorire di nuove band ed un rinato supporto da parte di etichette ed appassionati, gli Havok sono fra le band che hanno tenuto duro e proseguito il discorso con cui hanno avviato la loro carriera, e non si può che rendergli onore per questo, considerato quante altre realtà si sono perse per strada o non hanno mantenuto una parvenza di continuità nel loro operato. Parliamo quindi di thrash metal, con rimandi indiscussi alla scena americana, e poco spazio (se non quasi nullo) per quella europea.
I natali del quartetto di Denver risalgono al 2004, e della formazione primigenia è rimasto solamente il leader e tuttofare David Sanchez, dal 2010 coadiuvato da Reece Scruggs alla chitarra solista e da Pete Webber alla batteria, oltre al nuovo ingresso Brandon Bruce al basso. “V“, titolo non casuale, è il quinto album dei Nostri, e dopo i primi tre passati alla corte della Candlelight Records, questo è il secondo episodio che esce per Century Media Records. Finalmente un artwork degno di tale nome, ad opera di Eliran Kantor, presenta un album che dimostra come gli Havok siano invecchiati bene, come il buon vino. Chi scrive possiede esclusivamente il primo album “Burn”, e dopo un fugace ascolto all’epoca della loro uscita ai tre che si sono succeduti prima di “V”, non per demeriti della band ma per la mole di proposte che finiscono per mettere in difficoltà chi tenta di tenere il passo, non accade lo stesso con “V”. Forse perché meno immediato nella sua immediatezza, formula infelice ma centrata per indicare un lavoro di arrangiamento che si era rilassato con gli album precedenti, pur restando comunque di buon livello, forse perché la proposta standard degli Havok è qui presentata a regola d’arte, con una produzione che non arreca svantaggio a nessuno strumento e riesce ad essere moderna e non attuale al contempo, fatto sta che quest’album scorre che è un piacere.
Sono undici i brani di “V”, per tre quarti d’ora di assalto sonoro; se da un lato sopravvive l’amore per Metallica, Megadeth, Testament e Slayer, dall’altro c’è una sempre maggior ricerca di soluzioni meno banali, che band come Death Angel (non a caso citati nella bio a corredo) e Forbidden hanno eletto a proprio proposito.
La famosa intro di “Blackened” continua a fare scuola, e se probabilmente quella di “Post-Truth Era” è nata già così impostata (non come la più nota citata, che è il risultato dell’inversione della registrazione originale), il risultato non cambia, e viene creata la giusta atmosfera pronta a deflagrare, con due chitarre armonizzate che rendono fluido il ritornello del brano, per passare al singolo “Fear Campaign”, un ibrido tra speed ed heavy (affiora un vago sentore dei primi Megadeth) che lascia il segno. “Betrayed By Technology”, “Ritual Of The Mind” e “Interface With The Infinite” saranno pane per i denti di chi apprezza tempi più rilassati (sono 3 mid tempos consecutivi), scelta decisamente coraggiosa, ma vincente, visto le mille sfaccettature dei brani che non rischiano di stancare. Si torna a correre con le micidiali “Phantom Force” e “Cosmetic Surgery”, sicuramente più dirette ma non meno ricercate, e la sfida è non muovere la testa durante l’ascolto, decisamente arduo; per chi scrive, la dimensione più congeniale alla band. “Panpsychism” è il brano più estraneo al lotto, ma al contempo realmente suggestivo: parte con una sezione acustica da urlo, prosegue con un riff da basso a farla da padrone ed un refrain tanto semplice quanto vincente, per passare ad una mitragliata thrash subito seguita da un assolo armonizzato a due chitarre, se conoscete “III” dei già citati Death Angel non faticherete a trovare la stessa complessità di trama, ma sempre al servizio del brano. Chiudono l’album “Merchants Of Death”, veloce interludio dannatamente efficace, e “Don’t Do It”, l’unica composizione che stenta davvero a decollare, e si risolleva quando i tempi si fanno più tirati, brano eccessivamente lungo che avrebbe potuto assumere un’altra faccia se “sfoltito” in qualche segmento.
Difficile avere da ridire sull’esecuzione, musicalmente il quartetto è preparato e offre uno spettacolo sonoro pulito e preciso; il cantato di David Sanchez si è inasprito negli anni e tende oggi allo scream, molto differente dagli albori, quando si poteva definire più “hardcore” (se potete passare il termine) e puramente thrash, meno estremo in sostanza.
La domanda da porsi è sempre la stessa: l’originalità è tutto, o basta la personalità per far spiccare una band nel panorama odierno? In base alla risposta che vi sentite di dare, il nuovo Havok potrà soddisfarvi o meno. Se cercate una band che sappia il fatto suo senza apportare grandi contributi in termini di inventiva, come d’altronde una percentuale davvero alta delle band che propongono la nostra musica preferita, allora date una chance a “V“, un ottimo ascolto che non deluderà il thrasher più incallito.
Tracce:
01. Post-Truth Era
02. Fear Campaign
03. Betrayed By Technology
04. Ritual Of The Mind
05. Interface With The Infinite
06. Dab Tsog
07. Phantom Force
08. Cosmetic Surgery
09. Panpsychism
10. Merchants Of Death
11. Don’t Do It
Formazione:
David Sanchez – Voce, Chitarra
Reece Scruggs – Chitarra, cori
Pete Webber – Batteria
Brandon Bruce – Basso
Pagina Facebook: https://www.facebook.com/HavokOfficial/
Etichetta Century Media Records: https://www.centurymedia.com/