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Ok ragazzi, ora mi riprendo. Ho avuto uno shock dopo aver ascoltato il pre-ritornello di “Touch the Rainbow” simile a quello di “The Evil That Men Do” e soprattutto “Alderley Edge” , praticamente una versione Power di “Seventh Son of a Seventh Son”, tastiere comprese. Ho ancora il dubbio se è un mega omaggio, un richiamo non voluto, un plagio o semplicemente non hanno mai ascoltato il capolavoro dei Maiden (?? c’è ancora qualcuno nel mondo che…??), comunque sia “Age of Steel” è l’ultima fatica in studio, nonché concept album, di uno dei gruppi storici della NWOBHM. Rispetto agli esordi il suono dei britannici ha acquisito col tempo connotati Power, che ha reso alcune composizioni più aggressive e martellanti. L’apripista “Bathory” ne è un esempio col suo riff serrato e la voce al vetriolo di George Call dai toni alti e potenti. Dello stesso filone ci sono anche “Ascension” col suo mid-tempo spezza collo e gli acuti perfora timpani e “Gods of War” col suo perfetto intreccio tra i riff e le armonizzazioni. Molto belli l’assolo e la linea di basso di Payne. Se da una parte abbiamo il Power, dall’altra ci sono alcune canzoni dai risvolti più classici. “Victim of the Furies” è una cavalcata Heavy nuda e cruda. Un assalto di cavalleria in piena regola, delineata da una struttura semplice, strofa-ritornello ripetuti, assolo e ritornello finale, ma dal forte impatto. Corpo simile per “Judas”, ma con un occhio in più per le armonizzazioni e gli arrangiamenti. D’altronde è un brano più canonico nello stile, se vogliamo, ma con tante sfaccettature al suo interno che lo rendono gustoso come deve essere un pezzo di Heavy classico. Più simile a “Victim of the Furies” è ” Touch the Rinbow”. Non fatevi ingannare dall’inizio da ballata, perchè in men che non si dica vi arriverà addosso un treno di note e riff stoppati. Un vortice fatto da un rullante sferzante e una doppia cassa terzinata vi sbatterà da una parte all’altra, mentre la voce è sparata a mille. “Bedlam” è una power ballad fatta e finita. Il tappeto di tastiere sostiene le doppie asce di Baker e Coss, sia nelle note lunghe che nel contrasto con la batteria, quando questa si fa più incisiva. Qui abbiamo l’ennesima prova della capacità di modulazione vocale di Call. In effetti in tutto il disco ho trovato ottima l’interpretazione vocale, forse a volte un poco teatrale, ma mai piatta. A tratti ricorda nei medio-alti la voce di Dickinson, ciò non è un difetto, anzi è un valore aggiunto nell’estensione e capacità tecnica del cantante. Nel complesso tutto l’album è ad un buon livello esecutivo/compositivo a dimostrazione che i Cloven Hoof al giorno d’oggi presentano ancora una freschezza compositiva non sempre facile da trovare nell’Heavy Metal odierno. Consigliato sia a chi ha seguito la parabola artistica dei Cloven Hoof, sia a chi vuol avvicinarsi ad un gruppo storico senza prima andare agli albori dello “Zoccolo Fesso” del Diavolo.
Brani:
1 – Bathory
2 – Alderley
3 – Apathy
4 – Touch the Rainbow
5 – Bedlam
6 – Ascension
7 – Gods of War
8 – Victim of the Furies
9 – Judas
10 – Age of Steel
Formazione:
George Call – Voce
Edge Ash Baker – Chitarra
Chriss Coss – Chitarra
Lee Payne – Basso
Mark Bristow – Batteria
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