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Mentre in Italia si mangia il food, si trascorrono i weekend nei resort, si bevono i drink con gli altri del team, vengono indetti family act, V-day, tweetstorm e lockdown durante i quali apposite task force si battono affinché i runner possano sfoggiare T-shirt acquistate negli store col supporto di gift card opportunamente brandizzate. Intanto che ci si rilassa nelle spa, si procede per step tra un delivery e un webinar; si subiscono ufficiali condanne per stalking, magari incastrati da selfie scattati con lo smartphone e successivamente postati sui social. Mentre emanazioni del governo centrale imbastiscono cashback di Stato. Mentre i balconi accolgono i passanti a forza di Merry Christmas e gli zerbini dei pianerottoli gli ospiti a suon di welcome, si scalpita per celebrare il dodici ottobre e il quattro luglio ma, innanzi a tutto, mentre i soliti facinorosi si affretteranno a bollare politicamente qualunque pulsione opposta alla schiavitù culturale – accolta a braccia aperte (e didietro non da meno) da una maggioranza assoluta. Mentre qui accade questo – si diceva – esiste invece chi sulla propria identità non defeca ad ogni ora del giorno e della notte ma, anzi, ci costruisce su un percorso artistico.
La missione di Wardruna è di scavare attorno alle radici della cultura runica ed osservarle, ascoltarle; abbeverarsene; respirarne la terra. Farsi pervàdere dalla profondità della Natura. Trascendere la valenza alfabetica di un linguaggio che oltrepassa la mera fonetica e trasfonderla nella carcassa di un presente allo sfascio e un futuro inesistente.
Il tramite è la mente. Il mezzo è il corpo.
Sostenuto da un’ampia gamma di strumentazione tradizionale della propria terra, Kvitravn rinsalda gli alti propositi a cui già mira(ro)no i mantra della trilogia tematica e dell’inciso Skald – ricucendo lo strappo temporale tra l’oggi e lo ieri.
Cosa ne penserebbero i Dead Can Dance?
Liricità mistica e surreale, schemi ritmici primordiali e melodie incantatrici. In assenza di concrete note accompagnatorie, le passate sortite di Einar Selvik (e il blando contributo del nostro senso) suggeriscono che il parco strumenti del disco includa bukkehorn, lur, flauto, una selezione di percussioni idiofone e membranofone, moraharpa, taglharpa e kraviklyre – e possibili inserti di elettronica: il tutto, magistralmente arrotolato alla caratteristica densa coltre di vocalizzi sciamanici e polifonie corali. Aerofoni e cordofoni sono da tremito lungo le carezze rugginose di “Munin” e “Kvit Hjort” e le voci assolutamente travolgenti in “Skugge”. Ma poco importa il brano singolo. È l’intero lavoro ad essere un’abluzione catartica nei muschi e nelle nebbie nel Nord.
Purtroppo, Wardruna ha acquisito notorietà per i motivi sbagliati e con le medesime errate premesse ne acquisirà di maggiore (qui habet aures audiendi, audiat). Potenziale catalizzatore, quale è, di pose finesettimanali e sciocche telemalinconie da pioggerellina autunnale, il pericolo è che da esperienza spirituale divenga l’ennesimo fenomeno da telefonino.
Per chi non sventra zucche alla Vigilia di Ognissanti.
Tracce
01. Synkverv
02. Kvitravn
03. Skugge
04. Grá
05. Fylgjutal
06. Munin
07. Kvit Hjort
08. Viseveiding
09. Ni
10. Vindavlarljod
11. Andvevarljod
Formazione
Einar Selvik (Wardruna)
Lindy-Fay Hella (turnista)
Ingebjørg Reinholdt (ospite): voce aggiunta in “Andvevarljod”
Kirsten Bråten Berg (ospite): voce aggiunta in “Andvevarljod”
Unni Løvlid (ospite): voce aggiunta in “Andvevarljod”
Sigrid Berg (ospite): voce aggiunta in “Andvevarljod”
Probabilmente Eilif Gundersen (ospite): strumenti a fiato
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