Anno Mundi


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ANNO MUNDI : TERRE DI LEGGENDE NASCOSTE

Anno Mundi

La svolta prog dei sabbathiani Anno Mundi, appena ventilata nelle uscite precedenti, è sicuramente la via percorsa in “Land Of Legends”, loro ultima fatica discografica, da noi recensita qui: Land Of Legends. Abbiamo parlato di questo e altro con le tre colonne portanti della band, il chitarrista Alessio Secondini Morelli, il tastierista Mattia Liberati, il batterista Gianluca Livi.

 

Anzitutto, vi ringrazio per esservi resi disponibili per l’intervista. L’ascolto di ‘Land Of Legends’ ha nutrito in me una certa curiosità in merito ad alcuni aspetti del progetto. L’impressione che ne ho raccolto è quella di una band che si trova (forse) ad un bivio?

Mattia: Più che altro, gli Anno Mundi nascono proprio come una band dalla duplice anima heavy e prog, tant’è che già nell’album di esordio erano riscontrabili elementi della tradizione progressive rock italiana, seppur in via minore rispetto ai lavori successivi. In questa ultima fatica abbiamo tentato di predisporre un terreno di incontro tra i due filoni all’interno delle singole tracce. Non parlerei tanto di bivio, quindi, perché non si ha l’intenzione di abbandonarne uno in favore dell’altro. Piuttosto, c’è la voglia di proseguire su questa strada di confronto dialogico, che a mio parere costituisce il marchio di fabbrica della band.

Il tributo alle sonorità di maestri quali Black Sabbath su tutti è sicuramente rintracciabile in alcune delle composizioni presenti nell’album. Quanto sono stati importanti per voi e da quali altri fonti di ispirazione avete attinto?

Alessio: il Sabba Nero è importante nella misura in cui rappresenta l’influenza principale della maggior parte delle bands Hard&Heavy dagli anni ’70 in poi. Si tratta di una “filiazione” di cui, personalmente, sono abbastanza orgoglioso di far parte. D’altronde, sono mancino e fanatico della storica chitarra elettrica Gibson “Diavoletto” SG con il suo inimitabile suono “pesante”, soprattutto se associato agli amplificatori Laney. Si tratta di un suono immortale che può star bene in un contesto da Hard/Prog ’70s, come in numerosi altri contesti musicali diversificati. In linea di massima, traiamo ispirazione dai ’70s, anche per quanto riguarda certi retaggi Prog Rock, e amiamo molto reiterare e dare un senso molto nostro alla totale libertà espressiva tipica di quel decennio, che si profonde nell’allungamento “sperimentale” delle nostre composizioni.

Non posso fare a meno di rimanere affascinato dalle destrutturazioni della forma-canzone che si possono godere per buona parte dell’ascolto. Penso alle idee e agli impasti sonori di “Hyperborea”, dove il prog viene si citato, ma anche reinterpretato; in particolare questo brano mi richiama Rick Wakeman, vuoi per la scelta dei suoni al synth, vuoi per l’impronta impressionista ma anche molto descrittiva del paesaggio sonoro. Che connessione c’è tra liriche e musica?

Gianluca: più che un artista, il brano evoca soluzioni esemplari del passato progressivo inglese e italiano. In fase di composizione, l’incipit acustico posto all’inizio prese una direzione sinfonica e a tratti magniloquente, subendo l’ascendenza di gruppi storici come UK, PFM, ELP. Mi riferisco ai brani “Rendevous 6:02”, “Impressioni di Settembre” e “Lucky Man” che sono caratterizzati da un inizio soffuso e da un successivo sviluppo sontuoso e magniloquente. Le liriche, invece, più che rifarsi alla mitologia greca, che per prima cita quella terra leggendaria, richiamano la compagine fantasy descritta da Robert E. Howard, il creatore di Conan il Barbaro, eroe che giunge in una città ove vivono esseri immortali logorati da una vita eterna priva di stimoli. A livello di tastiere, l’apporto di Mattia è stato essenziale per donare al brano un piglio epico e suggestivo: la sua scelta dell’assolo e dei suoni che lo hanno caratterizzato è stata determinante.

Mattia: Nelle fasi di arrangiamento e scelta del sound, cerchiamo di riprodurre delle atmosfere che rievochino il concept della canzone, selezionando gli strumenti che ci sembrano più adatti allo scopo. Un ruolo decisivo lo hanno senz’altro le tastiere. Un esempio è l’utilizzo del tape choir del mellotron in “Mega Alexandros” per restituire al brano un’aura di epicità. Lo stesso discorso è valido anche per brani strumentali come ”Hyperway to Knowhere”, dove è il piano elettrico a dipingere l’ambiente sci-fi richiamato dal nome della traccia.

C’è inoltre molta musica acustica, il lavoro alle chitarre è davvero pregevole. Quanto ha influenzato la presenza di un ospite quale Renato Gasparini di Agorà nella composizione?

Gianluca: Gli Agorà sono uno dei gruppi storici del prog italico collocato subito dopo i grandi nomi come Banco, PFM, Orme, New Trolls. Sono considerati esemplari nel coniugare prog, jazz ed eteree atmosfere di stampo mediterraneo, tre diverse compagini che, miscelate sapientemente, li rendono unici nel panorama nazionale. Renato Gasparini è l’anima di questo progetto che, vissuto una prima volta dal 1974 al 1980, è stato da lui riformato nel 2002 in chiave prevalentemente acustica. Il suo apporto su “Hyperborea” è stato determinante in fase di arrangiamento: la sua iniziale perfomance acustica – suonata con una chitarra costruita per lui da Roy McAlister (famoso liutaio americano al servizio di David Crosby, Graham Nash, Jackson Browne e tanti altri) – ha donato al brano quelle suggestioni che possono rinvenirsi nella 12 corde utilizzata dai primi Genesis. Renato ci ha raccontato due curiosi aneddoti su quella chitarra: innanzitutto che è stata costruita su misura, cioè partendo dall’impronta della sua mano; inoltre, quando fu costruita ed era pronta per essere spedita in Italia, fu provata da Jackson Browne che se ne innamorò così tanto, da offrire ben oltre la cifra pattuita, ovviamente rifiutata sia dal liutaio, sia dallo stesso Renato.

Lo sposalizio tra certo prog e il groove hard&blues che si può ascoltare appunto in “Hyperborea” o nella strumentale “Hyperway to Nowhere”, unitamente all’accorata “Dark Energy”, differente per intenzione e modo di sentire, ma altrettanto intensa, trovo che sia di assoluta qualità. Come nascono e come si sviluppano i vostri brani,
prima di decidere cosa registrerete?

Alessio: non esiste un modulo base per comporre un brano. Possiamo dire semplicemente che l’ispirazione, in forma di una sequenza di note o di una melodia vocale, può verificarsi in qualunque momento della giornata. Arrivato poi al momento di comporre una trama musicale ben definita, vagliamo attentamente le idee raccolte e le coordiniamo in risultati concreti, rodandole in fase di jam-session, oppure lavorandoci individualmente da postazione remota. I testi, il più delle volte, vengono suggeriti dalle musiche, sempre mantenendo intatto quella che è l’usuale compagine degli Anno Mundi: scienza, mitologia e (a volte) fantascienza, fino a trattare anche argomenti introspettivi.

Mattia: Essendo entrato in pianta stabile nel gruppo a lavori iniziati, ho potuto partecipare più attivamente in fase di arrangiamento delle tracce. Un intervento più massiccio mi è stato riservato con “Hyperway to Knowhere”, nella cui stesura ho avuto piena libertà compositiva e di arrangiamento. L’impulso iniziale mi è stato fornito da Gianluca attraverso una sua personale idea di riff eseguito al pianoforte, che ho rielaborato con modulazioni armoniche sviluppandone una prima bozza. Abbiamo poi lavorato progressivamente sul brano con jam session in sala, fino ad arrivare alla sua stesura definitiva.

Tornando alle liriche, per quanto riguarda il brano “Female Revenge”, non chiederei di spiegarmi il significato delle liriche, ma se possibile un inquadramento di massima.

Alessio: su “Female Revenge” ho provato ad immaginare un viaggio nell’universo femminile. Dall’inizio in cui un uomo pare diffidente e addirittura impaurito di fronte alla donna, preferendo restare a margine per non scottarsi a causa di tutti quei “segnali di pericolo” posti da secoli di oscurantismo… fino a giungere alla ragione per cui la donna fu dannata, arrivando alla fine del viaggio ad amarla di più, possedendo un quadro conoscitivo più approfondito sul femminile.

Anno MundiIn “Twisted World’s End” le liriche sembrano essere molto attuali, a dispetto della cover che raffigura un mondo ben più antico.

Alessio: Ascoltando la musica senza vocals, Federico ha avuto l’intuizione di musicare gli argomenti toccati dal libro “La fine del mondo storto” di Mauro Corona, ove s’immagina un mondo
post-apocalittico in cui l’apocalisse viene rappresentata dalla semplice, improvvisa e totale mancanza di corrente elettrica. Tutti i vecchi valori che crollano, anche le opere artistiche vengono date
alle fiamme allo scopo di creare i bisogni primari (in questo caso il calore) delle persone che cercano disperatamente di sopravvivere. Siamo soddisfatti del risultato.

Gianluca: la cover dell’album rispecchia quello che è il trend estetico del gruppo che, ad ogni uscita, ostenta rovine ancestrali, vestigia di antiche civiltà, testimonianze di retaggi passati in contesti sempre differenti. Questo contesto arcaico è ormai un tratto distintivo della band e si ricollega anche al significato del moniker Anno Mundi, espressione latina che indica un’era del calendario il cui istante iniziale coincide con quella della creazione del mondo.

Nella vostra musica convivono diversi elementi, non necessariamente vicini tra loro, anche se l’amalgama funziona benissimo: molto è dato dalle lunghe parti strumentali e meno prettamente metal. Come si esprimono queste due “anime” live? Restano ben distinte oppure si tende a uniformare le sonorità, magari operando scelte sonore diverse?

Gianluca: I brani di questo disco non sono mai stati suonati dal vivo giacché l’album è uscito tra dicembre 2019 e gennaio 2020, quindi poco prima dell’emergenza sanitaria. In ogni caso, gli Anno Mundi non amano molto esibirsi dal vivo e i motivi sono diversi. La disorganizzazione che impera in molti locali, ad esempio. Inoltre, la notorietà contenuta degli Anno Mundi, come di quasi tutte le band underground, spinge i gestori a coinvolgere un pubblico prevalentemente attinto dalla cerchia di amici e parenti dei musicisti. È un meccanismo molto triste da cui prendiamo sempre le distanze. Il pubblico dovrebbe invece essere il frutto di una seria attività promozionale di cui dovrebbero farsi carico i proprietari dei locali, che invece si guardano bene dall’effettuare. Infine, va citata l’assoluta mancanza di rispetto per le band, a cui vengono spesso negati gli intrioti dei biglietti di ingresso, anche in minima parte (paradossalmente pagati, come detto, dai loro amici).

È veramente una situazione così catastrofica? (risate)

Gianluca: Ci sono state delle eccezioni, ovviamente: il festival RoMetal, a cui aderimmo con molto piacere nel settembre del 2014, non aveva finalità di lucro, perseguendo l’unico nobile scopo di promuovere musica della compagine hard rock e heavy.
Non posso non ricordare, inoltre, che l’esordio degli Anno Mundi presso il Funnel (un pub oggi purtroppo chiuso, che era arredato come un locale di un porto di mare, talmente credibile che non ti saresti meravigliato se, da un momento all’altro, fosse spuntato Jack Sparrow per farsi un bicchierino), avvenne grazie al compianto Fernando Regaldo dei SOS, il quale, con “No Slappers” – associazione culturale avente lo scopo di promuovere musica originale – faceva in modo che gli introiti confluissero nelle tasche dei musicisti.
La nostra label, la genovese Black Widow, organizza anche concerti, ai quali saremmo stati felici di aderire perchè è nota la loro efficacia anche in questo contesto ma, come detto, il lockdown ha precluso ogni possibilità in tal senso.

Progetti per il futuro?

Mattia: abbiamo in programma di pubblicare un album che contenga brani pop rivisitati in chiave hard o prog ma è tutto ancora in embrione.

Alessio: in ogni caso, vorremmo in futuro proporre il nuovo progetto sempre alla Black Widow Records, con cui ci piacerebbe mantenere il rapporto fino ad ora instaurato.

Gianluca: diciamo che noi tre siamo ormai il perno inossidabile su cui poggia tutto il progetto Anno Mundi. Nelle nostre intenzioni c’è anche la volontà di assorbire nuovi e talentuosi musicisti nella considerazione che il cambio dell’organico rappresenta per noi nn è una diminutio, ma un’opportunità di rinnovamento. Appena la situazione sanitaria migliorerà, sarà nostra intenzione provinare nuovi candidati.

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