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Avete appena posizionato nel vostro stereo un cd senza riferimenti, booklet, etichette, non sapete davvero cosa aspettarvi in uscita dalle casse del vostro impianto. Bastano davvero pochi secondi d’apertura di “The Devil’s Symphony” per farvi esclamare senza indugio “ma questi sono gli Artillery, che diamine!” Questo a patto che i titoli “Fear Of Tomorrow“, “Terror Squad” o “By Inheritance” non risultino qualcosa di sconosciuto all’appello.
Ora, niente panico: avete sicuramente fantasticato di risentire la voce di Fleming Rønsdorf dietro il microfono, speranza forse riaccesa dalla ballad “The Last Journey“, singolo del 2020, tributo allo scomparso Morten Stützer cui ha doverosamente partecipato anche lo storico ex frontman, ma venite nuovamente catapultati nel presente con Michael Bastholm Dahl. La sua è una bella voce, nulla da eccepire, ma se era già stato difficile accettare Søren Nico Adamsen negli anni del ritorno della band sulle scene, con Michael è ancora più complicato. E sì che questo è il terzo album cui partecipa in veste di cantante con la seminale band danese, ed è parte integrante della formazione dal 2012.
Ma torniamo allo scopo principale della presente disamina, ovvero una panoramica sul decimo e prossimo all’uscita “X“, del quale abbiamo gentilmente ricevuto con largo anticipo il promozionale dalla Metal Blade per poter contribuire al vostro approccio a questa nuova fatica del quintetto danese.
Dal ritorno sulle scene nel 2009, i Nostri non hanno perso tempo, e sono 6 gli album che hanno gettato in pasto ai loro seguaci. Dopo un “ascolto di coppia” approfondito, in redazione abbiamo valutato che le due visioni che abbiamo tratto da questa uscita potessero convivere solo su binari paralleli, così abbiamo deciso di trattare il disco in maniera insolita. Abbiamo giocato al poliziotto buono e quello cattivo, con Ivan Gaudenzi che gioca il ruolo del poliziotto buono, con una critica più portata a valorizzare il thrash metal del combo danese, eccitato ed estasiato dal ritorno di una band che avrebbe altrimenti potuto riposare tra le vecchi glorie. Abbiamo poi Paolo “PaulThrash” Porro nel ruolo di poliziotto cattivo; inizialmente colpito dal ritorno della band nel 2009, a cui è seguito un rinato interesse per l’intrinseca qualità della rinata vena creativa, ha poi cominciato a ridimensionare la sua visione, ritenendo che la soluzione sia andata ripetendosi troppo, pur portando all’attenzione dei propri sostenitori musica ottimamente composta, ma “bella senz’anima”, per citare un noto brano pop del Belpaese, o quantomeno senza quella componente brillante che li ha resi immortali nella scena thrash mondiale. Godetevi questa doppia recensione traccia per traccia!
The Devil’s Symphony
[Ivan] A questo pezzo è affidato l’arduo compito di aprire il nuovo lavoro degli Artillery dal semplice ma efficace titolo “X”. Il thrash metal del combo danese appare immediatamente vivo e veloce. In primo piano la squillante voce del più giovane Michael Bastholm Dahl, alla quale ormai abbiamo fatto orecchio dopo il passaggio di microfono da parte di Søren Nico Adamsen che ci ha allietato per 5 anni dal 2007 nei capitoli di “When Death Comes” e “My Blood”.
[Pol] Nella sua semplicità, con quei riff che sanno di Bay Area che ancora ruggisce dopo 30 anni nelle vene degli Artillery, è uno dei brani più riusciti del lotto. Come detto qualche riga sopra, la firma della band arriva in concomitanza con l’intro, dove ci si ritrova col pensiero fra le strade di Tashkent ed il suo mercato, per poi essere fiondati in 4 minuti tirati di sano thrash metal, nulla da eccepire. Scopriremo a breve se, oltre alla normale amministrazione per un gruppo con questo curriculum, si aggiunge della doverosa “qualità fuori dall’ordinario”.
In Thrash We Trust
[Ivan] Non perdiamo il ritmo grazie al piede scattante di Madsen dietro le pelli sul riff principale, a discapito di un rallentamento con un mid-time azzeccato sul ritornello, semplice, facile da ricordare, costruito per poter assegnare i cori al pubblico in sede live. Chirurgico doppio assolo di chitarre in tipico stile thrash old school, come già suggerito dal titolo stesso.
[Pol] Il singolo di lancio scelto dalla band, decisamente inquadrato e senza particolari spunti che lo elevino sopra la media di brani similari. Non fosse per le “arabeggiate” (perdonerete il pessimo neologismo, ma è sicuramente calzante) e le classiche scale che contraddistinguono la scrittura di Michael Stützer (orribile doverne parlare al singolare), lo si potrebbe attribuire a qualsiasi band della nuova ondata.
Turn Up The Rage
[Ivan] In questo brano è finalmente la voce di Michael Dahl a riecheggiare più aggressiva in riff thrash dal sapore groove, grazie ad un ottimo lavoro di basso e batteria. Un pezzo diretto e di facile ascolto, ma niente di più.
[Pol] Un brano heavy, con un ritornello particolare ed interessante, porta a rileggere il nome della band che l’ha composto perché crea qualche incomprensione. La restante parte del brano scorre anche piacevolmente, ma è un mid tempo che aggiunge davvero poco.
Silver Cross
[Ivan] La quarta traccia di questo lavoro è un po’ più oscura e dai sapori occulti, forse come suggerisce il titolo stesso. Ancora una volta mi sento di dover fare i complimenti alla pomposa linea di basso di Peter Thorslund, un ritmo cadenzato, sempre in linea con il drumming preciso di Madsen, macchina da guerra dell’artiglieria danese.
[Pol] Mix tra mid e up tempo, con soluzioni quasi groove distanti dalla “norma”, ma non abbastanza peculiari per giustificarli in un brano dei maestri danesi.
In Your Mind
[Ivan] Rallentiamo leggermente, per un mid-time dai riff stoppati e dal ritornello evocativo, per un brano che forse spezza un po’ a metà questo “X”. Siamo ancora su toni cattivi e thrash old school, naturalmente sempre in stile europeo. Assoli veloci e sound maligno.
[Pol] Brano indolore, scorre senza lasciare troppe tracce, mid tempo poco incisivo e ancora una volta senza la scintilla capace di elevarlo al di sopra del “compitino”.
The Ghost Of Me
[Ivan] La mosca bianca. Brano fuori dai canoni, con una voce pulita, a suo modo suadente, sembra quasi un brano degli Scorpions tratto da “Humanity” (forse uno dei dischi più oscuri della formazione rock tedesca). Quasi una ballad, innovativa e originale. Forse il pezzo più interessante di tutto il lavoro, specialmente per il suo uscire dai canoni anche grazie alla inconsueta aggiunta di tastiere. Assolo straordinario.
[Pol] Sorta di mix ben bilanciato tra una ballad ed un mid tempo, sembra quasi uscita dalla penna di una band di power metal americano nel pieno del suo vigore, altra traccia che non ti aspetti dai danesi, un apprezzabile modo di variare il tema. Suona strano ritenerla superiore a tanti altri brani presenti più nelle corde dei Nostri.
Force Of Indifference
[Ivan] Seconda parte del disco e si riparte con grinta e velocità. La strillante voce di Dahl ci accompagna vibrante in un brano distruttivo, classico e drumming in stile “tupa tupa” con cassa e rullante serrati. Abbiamo ancora qualche cartuccia da sparare prima della conclusione di questo album, fornito di 11 tracce di breve durata.
[Pol] Si configura nuovamente come il classico brano “à la Artillery”, thrash tout court ma aggiunge poco al discorso generale. La medesima soluzione di brani come la traccia d’apertura o il singolo di lancio è riproposta ancora, a dirla tutta la stessa soluzione sembra ricorrere da almeno 4 album a questa parte.
Varg i Veum
[Ivan] Un’altra perla dai sapori mistici e ultraterreni. Il combo danese si spende per riff davvero variegati e perfetti per far coincidere la stridula voce di Dahl, il trademark assoluto della formazione di oggi. Suoni possenti e moderni, in linea con molti dei colleghi che oggi, hanno valorizzato la produzione e le registrazioni.
[Pol] Ennesimo mid tempo, che a questo punto vince lo scettro di scelta stilistica prevalente in “X”; melodie orientali a far da linea guida ad un brano ancora una volta molto US Metal, ascolto piacevole.
Mors Ontologica
[Ivan] Torna la velocità e la grinta old school, ma il ritornello risulta ancora una volta misterioso ed oscuro. In tutto l’album aleggia una sorta di pensiero rivolto alla morte, al trapasso, forse complice la dipartita di Morten Stützer, chitarrista della band assieme al fratello Michael.
[Pol] Un brano che non avrebbe sfigurato in “By Inheritance”. Variegato per quanto riguarda il lavoro alla chitarra, non particolarmente nella sezione ritmica a supporto, che in generale non fuoriesce mai dagli schemi del classico thrash. Con l’intro (riproposta appena dopo il lieve suono di una campana che segue l’assolo) verrete ributtati per una manciata di secondi nel 1990. Promossa.
Eternal Night
[Ivan] Siamo quasi alla fine e ridimensioniamo ancora una volta la rapidità dei riff a favore di un pezzo forse più anonimo. Possiamo tirare il fiato e goderci gli aspetti più tecnici, di un thrash non particolarmente complicato, ma sempre godereccio in tutte le sue sfumature, da quelle più lente, a quelle veloci o più drammatiche. Ancora una volta minutaggio breve.
[Pol] Quando non pensi possano più essercene, ecco un altro mid tempo, sempre ben scritto, ben suonato, all’occorrenza atmosferico, ma che non aiuta l’album a risollevarsi da quella incrollabile sensazione di essere alle prese con un solo lunghissimo brano proposto con qualche variante, per non risultare monotoni.
Beggars In Black Suits
[Ivan] Devo ammetterlo. Uno strano modo di chiudere un disco come questo. Siamo in linea con le altre 10 tracce senza aggiungere nulla o eccellere particolarmente. Penso di trovarmi d’accordo con il poliziotto cattivo in questo caso e non poter gridare al miracolo. Traccia anonima, che non è niente male, ma non aggiunge troppo, per poter chiudere il disco nel migliore dei modi.
[Pol] Per dirla all’italiana almeno in chiusura, parte il classico “tupa tupa”, cambio di tempo da levare in battere, ed abbiamo il ritornello: uno schema ripetuto allo sfinimento. Altro classico brano Bay Area, sembra quasi di sentire i vecchi Testament, ma nel contempo ecco che ritornano echi anche dei brani che hanno preceduto il qui presente.
Conclusioni
[Ivan] Per quanto possa essere parzialmente d’accordo con il mio collega, resto di quella schiera di thrasher esaltati da gruppi di questo calibro. Gli Artillery hanno fatto la storia e oggi, per quanto possano sedersi sugli allori, compongono ancora musica passionale, con tutto ciò che comporta l’età, gli acciacchi, le delusioni e brutti colpi alla carriera come avvicendamenti o ancora peggio, dipartite inaspettate. Sempre bello poter sentire un groove moderno su composizioni alla vecchia maniera e ci lasciano inoltre la speranza di poterli vedere (o rivedere come nel mio caso) dal vivo in piena forma e con la grinta perfetta per farci scapocciare ancora tutti assieme. In fondo è inevitabile invecchiare!
[Pol] Niente da eccepire nell’esecuzione, nei suoni, nella scrittura sempre d’alto livello, ma la sensazione di deja vù continua a permanere costante, portando a non apprezzare del tutto il sostenuto minutaggio che anche questa volta ci lasciano in eredità. Pensare che non è troppo corposo rispetto agli album che l’hanno preceduto, e favorisce una più facile “digestione”, ma resta l’amaro in bocca del non aver colto lungo l’arco dell’ascolto quel che fa scattare e costringe a premere nuovamente il tasto “play” al termine della “sessione uditiva”.
Inutile, da una band come gli Artillery si accetta tutto, ma solo l’eccellenza alla lunga paga davvero, la stessa che al momento non sembra apparire nei solchi di quest’album; se la band non può prescindere da soluzioni stilistiche ormai scontate, rischiando alle volte solo di autocelebrarsi senza apportare quella ventata di aria fresca che fa la differenza, allora rischia di cadere in breve nel dimenticatoio. Non è da escludere che, a distanza di tempo e con più ascolti sul groppone, “X” possa assumere nuove sembianze; al momento è “solo” un bel disco che si lascia ascoltare, ma nulla per cui perdere la testa.