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Una lama di ghiaccio sfoderata con padronanza sibila nell’aria. Giri obliqui e circolari. È l’alba di un destino infausto. Un assolo ci si avviluppa nello stomaco tra il pacato trambusto di una cadenza marziale. Una voce aspra e lontana vomita la propria noncuranza; la propria missione di morte.
È la più recente tra le opere dei Mourning Dawn: creazione – malevola come tutte le creazioni – assemblata col fine di scolorare le illusioni di risalita verso un mondo che forse non è mai esistito.
Sì, obliqui e circolari: come le lacerazioni della carne portate avanti dalla nefasta “Never Too Old To Die”. Sferraglianti ed ecoici come nel freddo girone di “Dead End Euphoria”. Odiosamente mostruosi come nella cangiante “Conclusion” – una voragine di colori strazianti. I ventisei minuti di “The Five Steps To Death” trascorrono senza indugio, in tutte le sue crude argomentazioni. Incaponiti, diritto nell’ascesa, sotto l’abissale pioggia di ferro di “Adieu”. Le unghie si spezzano.
Il controllo compositivo è notevole: le sezioni si susseguono senza forzatura, in un’alternanza mai stucchevolmente geometrica. Varietà nel tempo, nell’idioma (circa la metà dei concetti sono espressi in lingua nativa), nella timbrica vocale, nelle sferzate delle chitarre; senza che la coesione mai ne risenta né levarsi dall’anima le asperità del death doom metal del nuovo secolo, appena macchiato della lezione di coloro che, nati dall’hardcore, devìarono verso apocalissi rumoriste.
“Non fingo di essere colui / Che ti condurrà verso i tuoi sogni di una nascita priva di vita / Non fingo di essere il coltello / Che ti darà l’abbraccio che hai sempre bramato / Non fingo di essere la corda / Che ti aiuterà ad impiccarti in una grotta fredda e profonda”.