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Avevo lasciato gli Atreyu nel lontano 2009, poco dopo la pubblicazione di “Congregation of the Damned”. Album che non mi era dispiaciuto, ma che era finito presto nel dimenticatoio.
Balzo temporale di 12 anni e ci ritroviamo a recensire questo Baptize.
Con ancora nelle orecchie gli echi dei loro due capolavori datati 2004 e 2006 e arrivando digiuno di ciò che c’è stato in mezzo (2 album e un EP di cover), questo lavoro funziona. Gira alla grande!
Ci sono tutti i loro trademark ben riconoscibili, amalgamati perfettamente, con una vena compositiva che rivela una maturità notevole, lasciando inalterata la vena “cazzara” dei nostri. Mostrando allo stesso tempo quella furia mutuata dalla turbolenza adolescenziale che rendeva (e rende ancora oggi) i loro pezzi credibili e potenti, senza scadere nell’ovvietà o nel patetico.
In questo senso, i vari “we are underrated” o “broken again” urlati a squarciagola traspirano quel misto tra incomprensione col mondo e voglia di rivalsa che arriva da lontano.
Ma tra arrangiamenti pop e strofe quasi elettroniche (i Nothing More hanno dato degli spunti?), sfuriate molto metalcore e ritornelli super melodici, assoli altrettanto musicali, c’è tutto per far sì che questo album non scontenti nessuno.
Senza per questo sembrare costruito.
Le ospitate del frontman dei Papa Roach e dei Trivium, più quella di un super drummer come Travis Barker, non fanno che impreziosire un platter di 15 tracce (tutte sotto i 4 minuti di durata) che lascia spazio a tutto lo spettro di emozioni che una band come gli Atreyu può dare.
Probabilmente non sarà il disco dell’anno, probabilmente non è nulla di sconvolgente, ma sicuramente vi farà divertire. Promosso a pieni voti.