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Non danno segni di cedimento le Burning Witches che raggiungono l’obbiettivo della quarta pubblicazione in soli 5 anni con una pausa discografica (inedite perlomeno) solo nell’anno solare 2019. Sintomo di grande fecondità creativa e compositiva sicuramente rinfrescata da alcuni cambi di formazione che hanno caratterizzato la prima parte di carriera.
I quattordici brani (tredici originali + l’immancabile cover posta in chiusura) ricoprono tutto l’intervallo espressivo dell’epopea metallica degli anni ottanta, spaziando dagli anthem come “We Stand as One” e l’autocelebrativa “The Circle of Five”, transitando sui mid-tempo come la titletrack e “Nine worlds” senza evitare la classica ballata epico-sdolcinata di “Lady of the Woods” a metà scaletta.
La qualità delle composizioni non si può certo porre in discussione essendo le cinque ragazze ottime musiciste, né si discute l’attitudine guerreggiante alla Manowar e Judas Priest, riferimenti scontati sia musicalmente che nel vestiario composto da indumenti di pelle e borchie.
Lascia invece perplessi come dall’omonimo album del 2017, da recuperare per chi fosse curioso, non si sia venuta a delineare una qualsivoglia forma di evoluzione e di ricerca di un’identità precisa della musica proposta. Qualcuno potrebbe far notare che l’originalità non è lo scopo di gruppi come questo e d’altronde anche le dirette interessate si scansano dalle sperimentazioni secondo alcune dichiarazioni recenti; il problema però è la scarsa capacità di tenere alta l’attenzione per tutti i 61 minuti di The Witch of the North e costringendo in alcune occasioni a saltare la traccia in esecuzione, giacchè la monotonia si fa avvertire sin dalla prima metà del disco.
Nel 2021 si può ritenere la presenza di gruppi composti interamente o capitaneggiati da donne come un elemento assodato e non più come peculiarità nuova o stravagante. Altre band del filone FFM (Female Fronted Band, nda) – citiamo Jinjer, Nervosa e i nostrani Lacuna Coil come esempi, sono progredite e hanno sviluppato delle personalità concrete ed affermate nella scena metal mondiale. Le streghe delle Alpi sembrano faticare in questo senso, nonostante la larga fama di cui godono.
Che sia una scelta voluta o casuale, l’assenza di pezzi esaltanti e non derivativi non è accettabile in un contesto, quello della nostra musica preferita, ricco di complessi musicali originali.
In attesa della prossima impresa delle elvetiche, rimando a Settembre The Witch of The North.