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Quando in un curriculum vitae figurano durevoli avventure al fianco di Motorpsycho oppure Rollins Band e Negazione, è quasi logico aspettarsi una sensibile diminuzione delle probabilità di avere, di lì in avanti, a che fare con degli scalzacani qualsiasi. Pieter Kloos – tecnico masterizzatore di Rose Of Jericho e scelta non nuova per i nederlandesi – e Theo van Rock – che mise mano a… ehm… Manu Armata dei Komatsu stessi – sono personaggi le cui commesse andrebbero seguite con passione: come si fa con quelle piccole case discografiche dal fiuto speciale o quel compositore che vi tocca la corda giusta otto volte su dieci.
Quanto alla stagionale ricerca di apprezzabili rappresentanti di una nuova generazione continentale di devoti a questa forma di hard rock, quella acido-psichedelica-e-talvolta-post-sabbathiana, ci sono i presupposti affinché sia messa in breve pausa.
L’allucinogena, notturna “Call Of The Wolves” e l’acidissima “The Suit” (terreno primi Monster Magnet?) e la terremotante “Solitary Cage” sono probabilmente le vette del settimo disco del quartetto di Eindhoven. Non che la quasi orrorifica “Son Of Sam” e “Blood Moon” (l’assolo! la propensione sudista!) siano in particolare vena di scherzi. Esiste la possibilità che un paio di pezzi avrebbero potuto beneficiare di piccoli tagli di sezioni che, a volte, sembrano scorrere a singhiozzo ma, capiamoci, ben poca roba in un settore di cui si abusa da anni in ogni maniera possibile ed immaginabile: la prova del trentacinquesimo ascolto è stata superata e il vecchio sistema di votazione avrebbe lasciato spazio ad un quarto di punto in più.
Per chi una volta si drogava, poi ha smesso, ma ogni tanto ne ha nostalgia.