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« Dove sono? Come sono arrivata qui? », le pulsò nella testa, come di risveglio. « Non ricordo… niente. Che posto è? Una casa forse. Uno scantinato? Oddio! no, è… è una grotta. Oppure no? Non… non ricordo di aver… camminato. Non vedo aperture. Non vedo niente. Sono sola? Chi mi sta facendo questo? Il suolo è freddo e duro. Sconnesso e… ».
… e cos’era quell’eco malevola? No. Non già un’eco: piuttosto il riverbero dello strazio; continuo e circolare e raggelante. Quale indescrivibile creatura maligna poteva produrre un rantolo così straordinariamente compromesso?
Come quando la nostra vista si adatta gradualmente ad un repentino cambio di illuminazione, così avvenne non solo dietro ai suoi occhi ma anche dietro alle sue orecchie e dietro alla sua pelle. « Non è un corridoio », pensò. La sottile corrente che le accarezzava gli avambracci. I madidi riverberi moltiplicati dalla pietra. E quei suoni, quell’avanzare tumultuoso ed irregolare, quel mugugno tormentato che proveniva – ne era sicura – direttamente dal cuore dell’Inferno. Ecco… se mai l’Inferno ne avesse avuto uno, quello è il suono che doveva fuoriuscirne.
Un tizzone di morte tremolava sul pavimento di quella caverna terribile; un labirinto di pura roccia. La creatura maligna pareva avvicinarsi, a riprese irregolari – o forse no. « Ma cosa d…? ». Tutto era ancora troppo confuso, eccetto il terrore – così vivo, dentro ad ogni più piccola cellula di lei. Paralizzante.
Sentiva la respirazione fermarsi, il sudore tornare sui propri passi. Quanto sarebbe durata l’attesa? Quanto? « Quando mi sarà addosso, infine? Da quale angolo? ». Non tardò più molto la certezza, incontestabile, di essere spacciata. Non era neppure riuscita ad alzarsi da terra, obnubilata com’era dall’ossessionante clangore che schizzava da tutte e nessuna direzione; finanche da dentro di lei. « È così che deve finire? Mi scoppierà prima la gola o mi sarà prima addosso questa cosa? ».
La sbalorditiva frenesia di Déhà ha partorito un ulteriore manifesto di morte, col batterista Chris Dalcin a condividerne parte degli onori di copertina. Oltre l’idea sdrucita di funeral. Un lungo e delirante pezzo di trentasette minuti capaci di ricacciarci in fondo alla grotta che ci attanaglia la mente. Déhà svilisce la melodia, Dalcin asseconda e scruta. Per stomaci all’erta.