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Fondati quattro anni fa dall’abile guitar hero transalpino Shad Mae (ex Shadyon), con il cantante Carsten “Lizard” Schulz, il sestetto propone con questo secondo lavoro sponsorizzato dalla nostra Frontiers un metal melodico sottile e leggermente progressivo, ma ricco di tecnica e accordi interessanti che fanno ben sperare per il proseguo artistico della formazione. Oltre a Shad Mae, dietro al microfono troviamo il cantante tedesco Carsten “Lizard” Schulz (Evidence One, Book Of Reflections), il chitarrista Gwen Kerjan, il tastierista Jorris Guilbaud, il bassista Geofreey Neau e il batterista Benjamin Lesous. La formazione è cambiata rispetto all’esordio, Cup Of Tears, ma la sostanza no. Tanto che hanno attirato l’attenzione della nostra casa discografica italiana con il concorso web indetto dalla stessa etichetta: “Frontiers & Beyond”.
Nell’album si sente un heavy metal e un prog fusi con un più leggero hard rock melodico. Le due sei corde di Mae e Kerjan costruiscono un doppio strato di chitarra fatto di suprema eufonia e di un ritmo fortemente sostenuto da una possente sezione ritmica. Se da un lato i massicci assoli chitarristici di Shad colpiscono per abilità e esecuzione, dall’altra un’enorme quantità di sintetizzatori appiattisce il suono facendo perdere un po’ di cattiveria ai pezzi, come per esempio in “Man Without Fear”, un brano dai synth fastidiosi e fantascientifici che si salva per i tanti riff e assoli di chitarra, robusti e cadenzati, o la progressiva “Destination Heaven” inondata da un’enorme quantità di note sprigionate dalla tastiera di Guilbaud e troppo corale per i miei gusti. La canzonce che intitola l’album è invece un miscuglio ben riuscito di hard rock e heavy, con un pizzico di prog in pieno stile Evergrey, dove la tastiera rimane in sottofondo e lascia più spazio alle chitarre e alla voce rabbiosa del bravo cantante germanico. Spezza, a metà composizione, un veloce pianoforte classico che crea una momentanea pausa.
Shad Mae ne spiega il testo: “La depressione ti uccide. È un mostro, una bestia che si nasconde nel buio per prenderti senza preavviso. La cosa strana è che, a meno che tu sappia dove cercarla, probabilmente non scopriresti mai chi ci sta lottando. Coloro che devono affrontarla quotidianamente trovano il modo di nasconderlo, il che la rende solo ancora più difficile da sopportare”. Il musicista continua: “Sfortunatamente, ho dovuto assistere a molte forme di depressione, da cui sono stati presi molti amici e parenti negli ultimi due anni. È una lotta continua per chi deve affrontarla. È un pianto e un dramma sotto un sorriso; è dubitare e criticare sé stessi ad ogni passo che si fa. Le persone che non la sperimentano in prima persona, non capiscono la differenza tra tristezza e depressione. La tristezza, almeno la maggior parte delle volte, ha una ragione, la depressione va molto più in profondità e ti segue ovunque”.
Addirittura il sassofono fa capolino in “Waiting For The Storm” e in “Wood And Wind”, con la prima dalla grande atmosfera sonora, in pieno stile AOR e con un leggero ritornello blindato alla fine del pezzo dalla furia delle due chitarre elettriche che riporta sulla strada del metal; la seconda è un incantevole pezzo strumentale che sinceramente non ha nulla a che vedere con l’intero disco e nel quale il sassofono e la chitarra acustica sono al centro dell’attenzione. Nel mezzo della raccolta, segnalo la attraente “Hands Of Salvation”, composta in prevalenza da sonorità AOR mischiate a elementi metal, e la carina “Mirror Maze”, dalla sdolcinata armonia, dove spicca l’ugola pulita e melodica di Schulz. L’aggressiva e metal “Impostor” invece offre la vera anima dei francesi. L’opera è comunque varia, basta ascoltare “In The Absence Of Holiness”, un hard rock melodico dove la voce spicca e guida l’intera melodia della traccia accompagnata da robusti riff e velocissimi assoli di chitarra. Anche l’heavy di “Stroboscope Life” non scherza con i suoi repentini cambi di tempo e il suo facile ritornello, ma la penultima e abbastamza lunga “Martial Hearths” evidenzia l’anima più dura dei rocker che si trovano a loro agio con sonorità più dure e meno prog.
I Devoid suonano bene, le canzoni sono interessanti e prodotte benissimo. L’unico neo, se così si può definire, è l’ostinazione a essere innovativi e non fossilizzarsi su un solo genere, mentre potrebbero puntare benissimo a sonorità prevalentemente di puro heavy metal ottenendo migliori e più originali risultati.