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I fedeli fan di Heavymetalwebzine avranno notato la mia presenza da ormai otto mesi su queste pagine e i più attenti potrebbero aver intuito che la mia categoria di recensioni preferita è quella che si occupa delle uscite meno blasonate in termini di etichetta e nomi coinvolti o, per meglio dire, dell’underground. Il motivo è semplice. La possibilità di venire a conoscenza di artisti di grande valore poco noti ai più è motivo di vanto da generazioni per i metalhead di ogni luogo ma, se aggiungiamo il fatto che grazie alle recensioni è possibile rendere merito e un minimo di visibilità aggiuntiva agli artisti trattati, otteniamo una ricetta irresistibile, almeno per il sottoscritto.
Il gruppo che ho il piacere di presentare è quello dei romani Princess, nati nel lontano 1994 per volontà del cantante Freddie Wolf ma per svariate ragioni, tra le quali uno iato protrattosi dal 2003 al 2016, rimasti nell’oblio fino al 2018, anno di pubblicazione dell’esordio discografico. Ad oggi gli album sono quattro con l’ultimo e qui trattato Temple Of Music, edito sul terminare del 2021.
La proposta è chiaramente di stampo hard rock ma tuttavia pregna di scelte stilistiche adottate da vari artisti del passato e derivanti da generi anche parecchio lontani (sulla carta) da quello di riferimento. La partenza di “Ready When You Are” veleggia verso lidi heavy metal e già nella seguente, “Be Yourself“, avviene un primo scossone con l’integrazione di un basso funky e una parte centrale affidata ad un coro soul pregevole, il tutto eseguito senza perdere di vista il caro vecchio rock.
“A Kind Of Heaven” mi ha stampato in testa il suo ritornello sin dal primo ascolto, come anche il vorticoso giro di basso e chitarra di “No War“, di tendenze pop, riesce a fare. “Lost together” è il primo “lento” che si incontra, di bowieana memoria, prima di ritornare a brani più tirati come “Put A Smile On Your Face” e la conclusiva “Special Thanks To“.
Tutti e cinque i musicisti coinvolti svolgono egregiamente il proprio ruolo ma bisogna dare atto al signor Wolf (chissà che non sappia toglierci dai guai anche lui) di elevare il risultato finale grazie alla sua esecuzione. Prendere “Shame” come biglietto da visita.
Per concludere, Temple Of Music è un lavoro di grande qualità e di piacevole ascolto anche se penalizzato graficamente da una copertina che francamente trovo raggelante. Ma, come spesso vale (su calco inglese), « non si giudica il libro dalla copertina! ».