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Se voi foste un quasi cinquantenne con l’aspetto di un sessantenne. Se voi soffriste di propensioni tossiche, patologici sbalzi d’umore e i deleterî effetti di perturbazioni metaboliche pancreatiche. Se voi foste il chitarrista degli Sleep nonché il fondatore, chitarrista e cantante degli High on Fire. Se, durante una delle fasi dello pseudo-confinamento domiciliare pandemico, voi vi foste ricordati che la persona che avete sposato (chi altri se non la bassista di un gruppo di rock duro?) ha una sala prove allestita in garage, se il suo batterista abitasse poco lontano, voi gli aveste un giorno telefonato per dirgli che vi prudeva il plettro già da un po’ e se, come diretta conseguenza, voi due aveste preso a provarci ed improvvisarci regolarmente, in quel garage. Se fosse accaduto tutto questo, ecco, cosa immaginate che ne sarebbe venuto fuori?
Pike Vs The Automaton è un conglomerato di sguaiato hard rock psichedelico (più un po’ di doom) lasciato libero di correre ed esagerare. Pike Vs The Automaton è però anche la comprova che il titolare ha, ahimè, esaurito certa porzione della propria efficacia, e direi anche del proprio senso critico – l’orrendo e tronfio Luminiferous (High on Fire, 2015) è emblematico a tal proposito, tanto che timore e sconforto indussero poi qualcuno a schivare Electric Messiah.
Una sguaiata esagerazione richiede un minimo di concretezza; altrimenti è gazzarra.
Qui dentro la focalizzazione viene spesso meno e il tedio è qualcosa di più che dietro l’angolo. Pezzi come “Trapped In A Midcave” (08:22) e la sua ripresa “Epoxia” (00:49) sono di quelli che è forse meglio suonare che ascoltare: giro solido, tempo giusto, linea vocale semplice e azzeccata, però l’attenzione se la svigna prima che si concluda il terzo minuto e non torna prima di un altro paio. “Throat Cobra” fa davvero interrogare sul perché di tanta superficialità: cinque minuti e ventitré con giri alla Motörhead, chitarra solista ospite (in assolo metallaro fuori contesto, ma non fa niente), cammeo vocale a spezzare la monotonia espressiva di Pike e… … e troppo inutile baccano.
“Apollyon” (09:28) e “Land” (06:54) si pongono a metà strada di un asse creativo già deficiente e sconclusionato, e anche “Latin American Geological Formation” lascia interdetti. Magari intorpidendosi i sensi… che ne dite?
Perché, vedete?, un pezzo può durare due anni come due secondi – NON SPETTA ALL’ASCOLTATORE METTERE IN DISCUSSIONE QUESTO E MAI GLI SPETTERÀ –, ma bisogna vedere cosa se ne fa, di quei due anni o secondi.
Per cui rimane da valutare se siano sufficienti “Acid Test Zone“, “Alien Slut Mum“, “Abusive” e “Leaving The Wars Of Woe” a giustificare l’impiego del vostro tempo e del vostro spazio. A voi la palla.