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Demetrio Cecchitelli è uno dei tanti, piccoli segreti del sottobosco sperimental-elettronico nazionale. Invaghito di suoni ai limiti della palpabilità, suoni da essere assorbiti endodermicamente, nell’introvabile silenzio, il suo operato è per lo più indisponibile nel momento in cui manca un computer, però Dwell è stato realizzato anche in cinquanta copie su cassetta (i precedenti lavori fisici sono un paio di CD-R e una cassetta a metà con tale Abky) da questa casa discografica di cui ci siamo innamorati qui alla grotta un paio d’anni or sono.
Jon Hassell, il primo Roberto Cacciapaglia, Jon Gibson (quello dai Nadja sperimentali), Ben Vince e Colin Stetson sono i riferimenti che l’autore cita come significativi per la creazione di Dwell.
L’album fu registrato in due giorni del novembre 2020, improvvisato nello studio casalingo del Cecchitelli a mezzo di un accordo tra strumentazioni digitale ed analogica; alcuni segnali sono frutto di microfonazione. Poi avvolto in una copertina che nella sua grande semplicità è, a dir poco, brillante – ancor più della biglia che sembra voler abbandonarne la superficie (peccato che la copertina della cassetta sia meno chiara di quella gassosa in rete). La scelta dell’improvvisazione, non nuova per l’artista, e della registrazione in diretta è un ulteriore passo verso la conduzione di questo lavoro a un sentire più prossimo alle sue esibizioni pubbliche. I brani sono un flusso di minimalismo da colonna sonora di un sogno interrotto – folle come solamente i sogni, sereno come solamente i sogni. Conosciamo poco Vince e Baker, e nemmeno le nozioni di Stetson vanno troppo più in là del suo cognome, ma troviamo che Hassell, Gibson e il primo Cacciapaglia siano effettivamente influenze piuttosto udibili; soprattutto gli ultimi due. Possiamo dunque solo congetturare che Stetson e Vince abbiano avuta parte riflessa nel concepimento delle esecuzioni al flauto su “I” e “II”.
Un lavoro, un artista per chi è alla caccia della quiete e del distacco.