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Un altro tuttofare a cui non potrebbe interessare di meno di spassarsela in sala prove con chicchessia. Mortt e il suo Temple Of Decay squassano dalla Polonia e tritano gli strumenti (posto che ci siano… sapete com’è) a beneficio di un thrash metal primordiale, grezzo e maleducato. Vecchio.
La verità è sempre il passato – sempre – però il deficit è sempre la batteria – sempre. Niente da fare: ascoltare il baccano di tamburi e piatti su un disco metal o hard rock attuale sono due idee inconciliabili. Il frastuono del legno sulla pelle e della cordiera che trema è fuori moda come il teatro o come fare i calcoli a mente. Il perché di far la fatica di creare una bugia e poi gestirla è tuttora una cosa che qui alla caverna non riusciamo a raggiungere. E se una cosa è fuori moda, state pur certi che quella cosa è spacciata.
Rigor Mortis mette le cose in chiaro in fretta. Giri alla vecchia, di quel thrash che iniziava ad esser quasi death e aveva ancora quel piccolo che di punk, voci sguaiate e ben assortite (esecuzione davvero valida), batteria a velocità variabile, basso sporco e massiccio. Quattro pezzi su sette sono in polacco e sapete quanto la cosa sia gradita alla sottoscritta e ai suoi accoliti. Con una versione di “Leave Me In Hell” fedele all’originale, Temple Of Decay chiude un album che non è indispensabile ma avrà tuttavia modo di tornare comodo mentre si scorre lo scaffale del thrash.