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A cinque anni dall’ultimo Children Of The Sounds e ormai prossimi ai cinquant’anni anni di attività (il gruppo nacque di fatto nel 1973), gli svedesi Kaipa capitanati dall’ideatore Hans Lundin danno alle stampe questo nuovo lavoro. Urskog è il quattordicesimo e, come i precedenti, mi ha subito colpito positivamente. È un disco tipicamente alla Kaipa, anche se rispetto a precedenti uscite si nota che le parti musicali hanno maggior spazio (si pensi alla strumentale “A Wilderness Excursion”, secondo singolo dell’album). In ogni caso è un disco di rock progressivo melodico, guidato dalle armonie delle tastiere, arricchito da interessanti chitarre e ovviamente cambi di tempo, ben supportati da una solidissima sessione ritmica che vede l’entrata in formazione del nuovo batterista Darby Todd (ottima scelta!). Ricordo ancora quando ebbi la fortuna di recensire il loro album di ritorno, Notes From The Past (2002), con una formazione che vedeva ancora alla chitarra Roine Stolt (The Flower Kings e Transatlantic). Da allora nessun loro disco mi ha deluso. Questo in particolare, forse per quel sapore anni ’80 presente in alcune sonorità, mi ha però colpito maggiormente.
Le tematiche trattate, tipiche dei Kaipa, hanno un proprio peso. Citando le parole del gruppo stesso, queste nuove sei composizioni, frutto della poliedricità di Lundin, vogliono portarci “in un viaggio mozzafiato attraverso la natura selvaggia svedese e il cambiamento delle stagioni”. L’album si apre infatti con “The Frozen Dead Of The Night”, un opus di quasi diciannove minuti (che trascorrono senza che ce ne si accorga, da quanto è armoniosamente perfetto), dedicato al passaggio dall’inverno alla primavera, speculare alla conclusiva “The Bitter Setting Sun”, che ci accompagna inesorabilmente verso l’autunno lasciandoci con la nostalgia dell’estate.
Fra i pezzi che mi hanno maggiormente colpito, sicuramente “Urskog” che, oltre ad essere cantata in svedese, è decisamente la summa, la rappresentazione ideale di questo lavoro, e “In A World Of Pines”, che si apre con la voce di Aleena Gibson, una voce che inizialmente (anni fa) feci fatica a digerire – una delle tipiche voci che si amano o si odiano – al primo ascolto. Devo però ammettere che ora non potrei immaginarmene nessun’altra sui dischi dei Kaipa. Ma la voce di Aleena non è certo l’unico punto forte di questo pezzo, nel quale hanno forte risalto le parti solistiche di Nillson. La palma del miglior pezzo va però, senza alcun dubbio, alla folkloreggiante “In The Wastelands Of My Mind”: sarà la presenza del violino, sarà la batteria o, ancora, sarà il modo di cantare di Lundström… ma ho automaticamente pensato al nostro menestrello del cuore, il maestro Branduardi, senza poter negare suoni delle tastiere che mi hanno ricordato molto gli Elio E Le Storie Tese di “Plafone”. Che pezzo!
Concludo quindi dicendo che il loro intento ha avuto – con me, per lo meno – pieno successo. Seduto con delle buone cuffie, tutto concentrato su Urskog, sono stato letteralmente rapito per un’ora abbondante. Un’esperienza che consiglio a tutti gli amanti della buona musica (non abbiate paura di qualche cambio di tempo, suvvia!), per staccare un attimo dai ritmi frenetici moderni.
Tanta roba!