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Una cascata di morte a scansione lenta e primordiale; contundente. Un album teso (post?), ogniqualvolta non sia fangoso (sludge?). Anni dopo la chiusura dell’esperienza (parola che oramai odio, ma tant’è) Whelm con il loro postumo A Gaze Blank And Pitiless As The Sun, chi altri avrebbe potuto figurare sulla copertina teriomorf(ic)a di Weight Of A God se non il pachidermico mammifero il cui sistematico sterminio per vezzo umano è in tutto e per tutto una guerra, impari ed annosa, un’attività industriale?
Un dio.
Qui si lavora all’osso…
Bando alle presentazioni. Bando a copia di testi che nessuno avrebbe mai letto. Bando a verbosità di sorta. Bando a formazioni dilatate. Bando a titoli sovraestesi. Sette pezzi di hardcore rallentato e apocalittico sovrapposto ad estremità metalliche. È un po’ come se gli Ulcerate avessero spolpato il repertorio dei Neurosis nel primo lustro degli anni novanta, dei Minsk più violenti e di tutto quel calderone che poi ribollì anni dopo Enemy Of The Sun. Mancano completamente le porzioni propriamente atmosferiche, quelle percussive, tribali, acustiche: tutto via. Si piomba dritto al sodo e si soccombe alla gravità.
“Waves”, “Bender”, “Crusher”, “Cauldron”, “Alight”, “Appian Way”, “The Pyre”. Il peso di un dio.
Le due voci strappate si alternano e graffiano che è un piacere. La porzione solista di “Cauldron” è crudelissima. La lunga chiusura di “The Pyre” opprimente e perversa. Registrato in diretta lungo tre giorni: cosa voler di meno?
Basta così. Che all’osso si sia e all’osso si rimanga. Lunga vita all’Aesthetic Death.