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Speravo di ascoltare un nuovo lavoro del danese Mike Tramp (White Lion, ex Freak Of Nature) con delle canzoni inedite e quindi della nuova musica. Invece no, il cantante degli ormai defunti hard rocker White Lion, fondati con il chitarrista Vito Bratta a New York City nel 1983, continua imperterrito a rimanere schiavo del suo illustre passato (come si può evincere facilmente dal titolo del disco). La band americana ha raggiunto un discreto successo tra la fine degli anni ’80 e i primi anni ’90 per poi essere spazzata via dal dirompente e deprimente grunge ma Tramp nel corso di questi decenni ha mantenuto il marchio dei White Lion riesumando il nome nel 2008 con il mediocre disco: Return Of The Pride e riproponendo spesso delle raccolte riguardanti i vecchi trionfi del combo. Naturalmente il talentuoso scandinavo, a partire dal 1997, ha realizzato della musica da solista, ma senza mai raggiungere la popolarità del passato. Pride è comunque l’opera dei “Leoni Bianchi” che ha venduto di più e addirittura, ha fatto guadagnare alla formazione due dischi di platino. Sinceramente stupisce che ancora Tramp insista nel rivisitare le canzoni dei White Lion reinventando e ri-registrando le sue canzoni preferite all’interno di questo platter intitolato appunto Songs Of White Lion.
“Le registrazioni sono il più vicino possibile agli originali, ma esplorando piccole parti nuove che oggi sento dovrebbero essere così… Canto le canzoni che ho scritto con Vito Bratta più di quaranta anni fa esattamente nel modo in cui Io sono oggi.”, dice Trump.
Non mi addentro sull’analisi di tutti i brani perché sono tutti conosciutissimi e importanti come la malinconica e triste “When The Children Cry”, stravolta da Mike rispetto alla versione originale. La chitarra classica è sostituita da un leggero pianoforte accompagnato melodicamente da una soave e breve sei corde elettrica. Brano comunque rappresentativo del mondo romantico e melodico di quello che fu il quartetto statunitense nei mitici anni ottanta. Lo stesso dicasi per la movimentata e armonica “Lady Of The Valley”, estrapolata sempre da Pride, dove i sottili e iniziali arpeggi della chitarra si alternano ai robusti riff e ai fulminanti assoli chitarristici della chitarra di Marcus Nand, ma con la voce affievolita di Tramp che impedisce alla canzone di decollare del tutto. Il problema di questo album, a parte non proporre nulla di nuovo e interessante è che il cantante danese, registra nuovamente alcuni dei suoi più grandi successi offrendo, nel nuovo millennio, un hair metal che ha contribuito sicuramente alla storia del genere, ma interpretato sottotono e diversamente rispetto alle parti originali di un tempo. Mike a sessantadue anni è cosciente e consapevole di cantare con tonalità molto basse, così come afferma in alcune interviste, privando alcune composizioni di energia e immediatezza in modo molto evidente. Purtroppo, non capisco questa scelta che appare più finanziario che sentimentale.
Sarebbe stato meglio lasciare queste bellissime canzoni ai posteri così come erano state partorite. Per chi è curioso e vuole riscoprire i mitici White Lion può far prima procurandosi tutto il vecchio materiale e gustarlo così come ideato ai tempi d’oro dell’hair metal a stelle e strisce. Mi dispiace scriverlo ma questo è purtroppo un album inutile!