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Quarto disco in studio per i Free Fall, creatura metal del camaleontico e instancabile chitarrista, cantautore, produttore svedese Magnus Karlsson (Primal Fear, The Ferrymen, Ginevra, Allen/Olzon), che anche stavolta si attornia di tanti ospiti dietro al microfono, per dare a questa nuova opera delle sfaccettature diverse ed evitare il rischio di incorrere in piatte monotonie vocali. Non mancano naturalmente, oltre al metal, gli accenni AOR, che rendono melodiche tutte le canzoni. Le strutture dei brani sono tutte energiche grazie alla massiccia sezione ritmica capeggiata dall’amico batterista Anders Kollerfors e agli ottimi assoli di chitarra del guitar hero svedese. Il sound è un mix di hard rock melodico, di classico heavy metal, di power metal e AOR con maestosi ritornelli e melodie accattivanti. Si parte in quarta già con “Hunt The Flame”, dal suono metal sinfonico e veloce per via della sei corde di Karlsson ma frenata nell’impeto dall’ugola armonica del cantante, Alexander Strandell (Art Nation, Crowne).
Spicca soprattutto nell’intro una leggera e vivace tastiera che sostiene poi la base del pezzo, accompagnato da una battente e ritmata batteria. Un coro spirituale, sovrastato dall’imponente tastiera di Magnus, innesca l’apertura dell’elegante hard rock di “You Can’t Hurt Me Anymore”, traccia caratterizzata dall’infiammate voce di Jakob Samuel (The Poodles) e da un refrain orecchiabile, trascinante e sognante. Qui la raffinata chitarra elettrica dello scandinavo sprigiona riff a iosa e prolungati assoli chitarristici. La successiva e melodica “Thunder calls” è impregnata dalle soavi e pulite corde vocali del rinato James Durbin (ex Quiet Riot, Durbin, Cleanbreak), con la chitarra di Magnus che si adegua all’andamento vocale e sdolcinato dell’americano, per poi incattivirsi verso la fine con assoli tecnicissimi supportati da una potente sezione ritmica.
La robusta “Break Of Dawn”, continua su questa scia fatta di accordi super melodici e rapidi, dove le tonalità del bravissimo Kristian Fyhr (Seventh Crystal, Ginevra) illuminano magicamente il pezzo, rendendolo uno dei migliori dell’album. Brano metal melodico ed epico in cui il singer svedese bilancia abilmente le parti vigorose e soft della composizione, facendole sfociare in un ritornello potente e molto orecchiabile. Il marchio di fabbrica di Karlsson è già evidente da queste prime battute e viene confermato anche nel resto della scaletta con tanta melodia, tempi medi, ritmiche graffianti e impressionanti assoli di chitarra. Se vogliamo trovare il pelo nell’uovo, la maggior parte delle canzoni hanno un songwriting un po’ troppo schematico e senza sussulti particolari perché i cantanti non riescono ad emergere in primo piano, soffocati dalla strumentazione del produttore scandinavo. Certo, la maggior parte dei vocalist presenti nella raccolta non è famosa ma non per questo meno esperta rispetto ad un pezzo da novanta della scena metal attuale e passata. Probabilmente una voce femminile avrebbe aiutato di più la causa. La stessa “Far From Home”, dalle tinte AOR tipicamente nordeuropee, eseguita dal superlativo James Robledo (Sinner’s Blood), dimostra come le sonorità proposte si assomigliano tutte ma con la differenza, a volte, dell’inserimento di scintillanti orchestrazioni che danno emotivamente una sensazione incantevole. Ne è un esempio la ritmata e allegra “Nightbird”, interpretata da una performance acutamente spietata di Michael Eriksen (Circus Maximus) e sostenuta da una tastiera intermittente, che si esalta insieme alla chitarra elettrica in assoli velocissimi e mozzafiato.
Se la scaletta pecca di varietà, nulla si può dire sulla qualità delle canzoni perché l’artista vichingo è un talentuoso cantautore e musicista. Solo nella cattiva “Holy ground”, si ode qualcosa di diverso per via dei riff chitarristici orientaleggianti partoriti dalla sei corde elettrica e da un coro quasi gregoriano in sottofondo. Il possente lavoro vocale dell’indiano Girish Pradman, una delle promesse artistiche in casa Frontiers, (Girish And The Chronicles) è qualcosa di eccezionale perché come sempre emoziona e fa venire i brividi in tutto il corpo. Con la quart’ultima e teatrale “Following The Damned”, ci si tuffa nel metal melodico ottantiano di stampo Iron Maiden, pompato da arazzi di tastiera, riff spigolosi e assoli prolungati di Karlsson ma soprattutto trainato dal clone vocale di Bruce Dickinson, ovvero Raphael Mendes (Icon Of Sin). Le potenti e sempre melodiche: “The Lucid Dreamer”, cantata possentemente da Terje Haroy (Pryamaze, Mantric Momentum), e “Demons Of Our Time”, cantata brillantemente da Jake E (Cyhra), scorrono lisce come l’olio e sembrano già state sentite da qualche parte. Quest’ultima, rispetto alla prima, è più pacata, riflessiva e con un ritornello melodicissimo e raffinato che emana parecchia contentezza e positività. La chiusura è affidata alla sinfonica e orchestrale “Summoning The Stars”, eseguita perfettamente dal finnico Antti Railion (Celesty, Diecell, The Wildfire) dall’ugola pop rock e caratterizzata dal caratteristico e glorioso suono di chitarra di Magnus, che porta l’ascoltatore dentro il suo modo di concepire la musica rock e metal. Anche qui il musicista sfoggia liberamente tutto il suo immenso virtuosismo nell’assolo di chitarra, sorprendendo anche brevemente con un arpeggio acustico dal tocco di flamenco.
Se con i tedeschi Primal Fear ha in un certo senso le ali tappate per via della presenza di altri due chitarristi, qui è libero di creare ed eseguire sinceramente ciò che vuole e senza compromessi. Per questo motivo e per la sua bravura, Hunt The Flame, merita il vostro ascolto e il vostro supporto.