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Megalomanium, è il decimo album (l’ottavo in studio di registrazione) degli svedesi Eclipse del famoso frontman Erik Mårtensson (Ammunition, W.E.T., Nordic Union), che segna sorprendentemente la svolta artistica della band scandinava. Sicuramente vi starete chiedendo se in positivo o in negativo. La risposta è difficile e forse solo il tempo darà questo responso. Innanzitutto penso che i quattro ragazzi nordici avrebbero potuto replicare con la stessa formula vincente che li ha accompagnati fino al penultimo lavoro in studio del 2021 intitolato: Wired, dove comunque si cominciava a sentire un’avvisaglia di cambiamento. Qui con coraggio ma sempre nei limiti si orientano più ad un hard rock moderno di matrice americana abbandonando in parte quel suono melodico tipicamente scandinavo. Ritornando alla domanda di prima credo la svolta sia positiva perché il disco è bello, energico e carico di adrenalina e soprattutto destinato a raggiungere un pubblico molto più ampio ma se devo essere sincero preferisco i vecchi Eclipse perché capaci di creare dei capolavori di metal melodico dalle venature AOR di stampo europeo difficilmente raggiungibili da altre formazioni in circolazione. Il duo Mårtensson / Henriksson è anche qui eccezionale e merita sicuramente una platea più ampia. Se dovessi definire questo nuovo sound potrei dire che il quartetto è in una fase di evoluzione artistica proponendo e mischiando del pop rock, del pop punk e dell’hard rock melodico dai tocchi metal.
“Dal precedente disco Wired, siamo stati abbastanza fortunati da poter suonare davanti a un pubblico diverso in tutto il mondo. Non importa dove siamo, troviamo sempre un modo per connetterci con le persone attraverso quelle radici iniziali della musica rock ‘n roll. Megalomanium è proprio questo: sono gli Eclipse che rendono omaggio alla nostra base di fan in continua crescita attraverso gli elementi che sono diventati punti fermi nel catalogo della band, ma anche osando avventurarsi in nuovi territori e suoni inesplorati”, afferma Erik Mårtensson.
In effetti Erik ha ragione perché negli ultimi anni la band ha raggiunto un pubblico sempre crescente grazie ad un ottimo songwriting, a delle esibizioni spettacolari e a delle trascinanti canzoni che troviamo pure in quest’ultimo e variegato platter. Qualcosa di diverso si ascolta subito dall’iniziale e diretta “The Hardest Part Is Losing You”, brano dal leggero tocco alla Foo Fighters nel melodico refrain. Un pezzo hard rock dalle venature pop, accattivante e potente con robusti riff di chitarra elettrica e una martellante sezione ritmica. Con l’allegra e vertiginosa, “Got It”, i vichinghi si buttano egregiamente sul punk rock non dimenticando le loro radici super melodiche che ripropongono nell’ avvincente e orecchiabile ritornello del pezzo, dove spicca la potente ugola di Mårtensson. Le canzoni degli Eclipse raramente si prolungano ad arrivare ad un armonico ritornello, ma in questa nuova raccolta sono ancora più immediate. Basti ascoltare la successiva ed esaltante, “Anthem”, che inizia con una leggera e bluseggiante chitarra elettrica e con i rullanti di Crusner. Il tutto funge da apripista ad un melodicissimo e ritmato ritornello che si stampa direttamente in testa senza uscirne più! Questa è una canzone infuocata che riprende in parte il suono celtico tanto amato dai ragazzi e proposto con vigore nel penultimo album in studio. La massiccia “Children Of The Night”, è un mid-tempo ottantiano più tenebroso e meno originale del solito ma sempre melodico. La traccia cambia completamente direzione con dei riff chitarristici che ricordano i mitici Black Sabbat e con le corde vocali del frontman più dure rispetto ai primi brani perché in alcuni tratti simili a quelle del leggendario Ronnie James Dio. La super melodia della band per fortuna prosegue con l’emozionante, “Hearts Collide”, un hard rock dal tocco AOR cantata a squarciagola da Erik e sostenuta dalla ruvida electric guitar dell’amico e collaudato Magnus Henriksson. Quando l’ascoltatore crede di aver raggiunto la pace dei sensi subentra la vivace e ribelle “I Don’t Get It”, un hard rock anni ’80, spettacolare nei cori e nei potentissimi e prolungati assoli della sei corde elettrica, che insieme al basso e alla batteria non dà tregua e respiro dal primo all’ultimo secondo della composizione. Bello anche qui il grande mordente del ritornello e il modo incazzato e scanzonato di cantare del singer scandinavo. Per non farci annoiare gli Eclipse sorprendono ancora con il brano cadenzato e moderno, “The Broken”, dal suono molto vicino ai Green Day ma aggiungendo intelligentemente quell’arrangiamento armonioso tipico del loro stile che attenua l’accostamento agli americani. La quart’ultima e movimenta, “So Long, Farewell, Goodbye”, sembra ritornare alle origini hard rock europee del combo ma sfocia invece nel classic metal per via di una chitarra elettrica più massiccia e un sound più veloce e coinvolgente. La parte finale del disco è più possente e lo si sente ancora nella vibrante “High Road”, un altro punto di forza dell’album che pesca la sua forza da sonorità settantiane e ottantiane, che culminano inaspettatamente e brillantemente, nel finale, con un fortissimo suono metal accompagnato dalla doppia cassa suonata magnificamente dal bravo Philip Crusner. L’iniziale tastiera è un capolavoro sonoro che innesca la miccia per l’istantaneo e melodicissimo ritornello ma la chicca assoluta è che la song è cantata benissimo dal bassista Victor Crusner, fratello del drummer della band. La nostalgia fa poi capolino nella sentimentale e romantica “One Step Closer to You” un adrenalinico mid-tempo dalle venature metal in quanto suonato a tratti in modo forsennato che culmina in un grande ritornello guidato dagli straordinari acuti vocali di Erik. L’ultima “Forgiven”, dal suono cinematografico e western si trasforma dopi i primi secondi iniziali in un inno rock vero e proprio. Il pezzo è ricco di classici riff chitarristici ma possiede qualcosa di speciale nell’ottimo e melodioso refrain confermando la grandezza di questa band, che nonostante questo piccolo cambiamento artistico mantiene tutta la sua personalità musicale e il suo inconfondibile stile. Le novità sonore sono tante e probabilmente molti sostenitori di prima data storceranno il naso o i timpani ma Erik e soci riescono egregiamente a fondere il punk all’hard rock scandinavo e americano senza alcuna difficoltà aggiungendo tanta qualità ed esperienza con il minimo sforzo. La scelta poi di puntare su canzoni dal breve minutaggio ma dal forte impatto e di evitare inutili ballate favorisce la riuscita di Megalomanium che dividerà le opinioni degli attuali fans ma ne acquisirà sicuramente di nuovi. Aprirsi a nuovi orizzonti, soprattutto più alla moda, è indubbiamente un pericolo perché rischia di far perdere credibilità e la propria identità sonora.
“Adoro il fatto che oggigiorno abbiamo un seguito diversificato. Abbiamo cercato di evolverci sia in termini di suono che di scrittura con ogni disco e chiaramente i nostri fan sono felici di unirsi a noi per questo viaggio. Ancora meglio, hanno invitato continuamente gruppi di amici a seguirci lungo la strada. Ne abbiamo la prova ogni sera”, afferma Mårtensson.