SVALBARD – The Weight of the Mask

Titolo: The Weight of the Mask
Autore: Svalbard
Nazione: Gran Bretagna
Genere: Post-Hardcore / Black Metal
Anno: 2023
Etichetta: Nuclear Blast

Formazione:
  • Serena Cherry – Chitarra / Voce
  • Liam Phelan – Chitarra
  • Matt Francis – Basso
  • Mark Lilley – Batteria

Tracce:
  1. Faking It 5:28
  2. Eternal Spirits 3:35
  3. Defiance 5:52
  4. November 4:56
  5. Lights Out 5:28
  6. How to Swim Down 4:05
  7. Be My Tomb 4:56
  8. Pillar in the Sand 4:18
  9. To Wilt Beneath the Weight 5:39

Voto del redattore HMW: 6/10
Voto dei lettori: 5.0/10
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Fino a settimana scorsa, le Svalbard, per me, erano delle freddolosissime isole norvegesi nel nord del pianeta.
Si, sapevo che c’era una band che portava il loro nome (in realtà due, ma la seconda è veramente poco conosciuta), ma i nostri cammini non si erano ancora incrociati.

Deciso che fosse il momento giusto, mi prendo in carico questa recensione e mi documento.
Scopro anche che avevo inserito il precedente lavoro, When I Die, Will I Get Better?, nella lista delle cose da sentire. E che ho puntualmente lasciato indietro per mancanza di tempo/voglia/impedimenti vari/sfighe generiche. E altri due dischi precedenti.
Recuperare 3 lavori in tempo per la recensione era compito arduo. Sono costretto a gettarmi nella mischia senza rete.

Prendo quindi in mano la gradevole (moderna e ammiccante) copertina e faccio partire l’album.
Che si apre con il singolo Faking It (che trovate qui in calce) e, debbo dire, mi sono trovato a strabuzzare gli occhi pensando “ehi ma questi da dove sono saltati fuori?“.

L’apertura e la seguente Eternal Spirit sono due belle mazzate che fanno capire sin da subito il leitmotiv del disco e che fanno capire quanto la perdita del cantante storico che affiancava la brava Serena (anche se un po’ piatta nelle parti in scream), non è stata una perdita che ha segnato la compagine. Ci troviamo di fronte ad un mistone tra hardcore, black metal, post metal, cose atmosferiche varie che, nonostante le apparenze, funziona non poco, sia come impatto che come riuscita.

Con la terza traccia cominciano già a vedersi alcune crepe, almeno a parere di chi scrive. Qui le influenze di black metal in salsa “spaziale” ed evocativa (almeno nella prima parte) la fanno da padrone, evocando alcuni nomi della scena e lasciando ampio spazio a voli con la fantasia. Per quanto rimanga una canzone molto valida, però, Defiance mostra il fianco quando ci si rende conto della debolezza compositiva principe di questo lavoro : il tremolo picking.

Oltre alla legittima domanda (da chitarrista) su quanto possa essere affaticato il braccio destro di chi esegue le parti nei live, è chiaro che sia una soluzione di cui, arrivati alla leggiadra e delicata quarta traccia November, si è quantomeno abusato.
In ogni singola canzone, la melodia principale e portante è sviluppata in questo modo, senza soluzione di continuità e senza troppe variazioni sul tema.
Per quanto, musicalmente parlando, risultino all’orecchio gradevoli e interessanti, non si può non notare che sia anche l’unica modalità con cui i nostri si esprimano.

Con la seconda parte dell’album, pur mantenendo inalterate le caratteristiche fondanti, gli Svalbard cercano di abbassare un po’ i giri e dare un po’ di respiro all’ascoltatore, inserendo una serie di momenti più compassati e più sognanti, come l’intermezzo in Lights Out o l’incipit di How To Swim Down , oppure ancora la leggera Pillar in the Sand (che, ad essere sinceri, ricalca paro paro la struttura della già citata Defiance – metà canzone lenta e riflessiva, la seconda parte distorta e “legnata”).

Le restanti Be My Tomb e To Wilt Beneath the Weight riprendono invece gli stilemi più legati alla matrice post-hardcore o comunque più “core” delle prime tracce.

Altra nota dolente è il missaggio.
Si fa francamente fatica a comprendere come mai siano usciti dallo studio con un mix dove la batteria la faccia da padrona e troppo spesso, se non sempre, tenda a sovrastare gli altri strumenti.
Se da un lato è apprezzabile il suono apparentemente poco plasticoso e più genuino, stona veramente sentire uno sbilanciamento così importante. Dove la voce e le chitarre sono molto “indietro”, con il risultato di creare un pastone sonoro che non rende giustizia né alle parti stesse, né ai momenti più pestati, dove invece servirebbe più chiarezza e chitarre avvolgenti.

In conclusione, un primo approccio (tardivo) con questa band che è comunque positivo, ma che non può non tenere conto di queste considerazioni.
Credo che i pezzi funzionino e che la sufficienza sia ben più che raggiunta, ma è pur vero che un gruppo al quarto lavoro dovrebbe aver sviluppato anticorpi e accortezze tali da non cadere in trappoloni come quelli descritti.

Rivedibili.

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