DAMN FREAKS – III

Titolo: III
Autore: Damn Freaks
Nazione: Italia
Genere: hard rock
Anno: 2023
Etichetta: Andromeda Relix

Formazione:

Giulio Garghentini: voce
Alex De Rosso: chitarra
Claudio Rogai: basso
Matteo Panichi: batteria

 


Tracce:

01. The Land Of Nowhere
02. Where Is Love
03. Walking In The Sand
04. My Resurrection
05. You Ain’t Around
06. Damn Burning Mercy
07. My Time Has Gone
08. Nothing’s True
09. Crazy Ride
10. Walking The Wire


Voto del redattore HMW: 7,5/10
Voto dei lettori: 9.5/10
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I fiorentini Damn Freaks sono una piacevole scoperta made in Italy, che sinceramente mi era sfuggita fino ad ora. Con l’uscita di III addirittura siamo al terzo disco in studio, dopo l’uscita dell’omonimo Damn Freaks del 2017 e di Love In Stereo nel 2020 in piena pandemia. Il fondatore, il batterista Matteo Panichi insieme al chitarrista Marco Torri, e al cantante e amico Iacopo Meille (Tygers Of Pan Tang) forgia questa nuova creatura con la pubblicazione dell’omonimo debutto tramite l’etichetta danese Mighty Music, per poi nel corso degli anni cambiare la formazione inserendo dei nuovi elementi. Entrano quindi nel combo il famoso guitar hero italiano Alex De Rosso (Dokken), che sostituisce Torri, sviluppando nuove idee e componendo nuove canzoni per l’amico Matteo. Al posto di Iacopo subentra invece nel combo Giulio Garghentini (Dark Horizon) che, con la sua formidabile voce, contribuisce alla registrazione di questo nuovo platter per l’etichetta italiana Andromeda Relix.

Il sound degli esperti toscani è un hard rock classico di stampo ottantiano, potente ma allo stesso tempo elegante, che omaggia le più influenti formazioni dell’epoca come i Dokken, i Cinderella o i Ratt per esempio. Naturalmente il lato chitarristico della raccolta è basato sulla classe e sull’ esperienza ultraventennale del chitarrista italiano ma anche il nuovo singer lascia positivamente la sua impronta vocale in tutti i solchi del disco. Lo si sente immediatamente dall’apripista “The Land Of Nowhere”, un mid tempo che apre un filone di tre song dalle venature metal ma sempre con uno stile settantiano e ottantiano dalla scarna ed essenziale produzione. I riff intermittenti della chitarra elettrica ricordano i vecchi Tesla e in generale la mitica musica californiana dei tempi d’oro. L’ugola aspra e acuta di Giulio è poi la ciliegina sulla torta sotto i colpi di una battente sezione ritmica guidata dall’ottimo drummer Matteo Panichi. Lo stesso discorso si può fare per la successiva “Where Is Love?”, che presenta lo stesso ritmo e lo stesso spirito ribelle e strafottente grazie anche al virtuoso lavoro chitarristico di Alex. Basta ascoltare il suo prolungato assolo chitarristico e le atmosfere accattivanti e tenebrose che riesce a sviluppare. In “Walking In The Sand” si ascolta lo stesso diretto e cadenzato rock a stelle e strisce ma l’ugola di Garghentini è più pulita e lamentosa del solito ma devo ammettere che fa comunque un bell’effetto così come pure il micidiale e tecnicissimo assolo di chitarra del bravissimo De Rosso. Con la quarta in scaletta, “My Resurrection” la band fiorentina cambia registro sonoro tuffandosi su un puro hard rock melodico più attuale, che culmina in un ritornello melodicissimo supportato dalle potentissime corde vocali del vocalist e dai ritmi incalzanti di tutti gli strumenti musicali.

Da qui gli italici aprono le porte al sentimentalismo ma soprattutto ad un modo diverso di suonare come nella delicata e radiofonica ballata, “You Ain’t Around”. Giulio presenta una voce pulitissima e leggera che nel melodioso ritornello sembra sussurrare le parole e Alex si esibisce in classici accordi ritmici che fanno venire i brividi e trovano l’apice nell’assolo elettrico della sua fedelissima electric guitar. Praticamente adesso si passa a un hard rock più greve rispetto all’inizio ma i Damn Freaks non deludono neppure in quest’ultima parte. A cominciare dalla cupa e pacata, “Damn Burning Mercy”, dalle armonie malinconiche ma sempre massicce grazie al bravissimo De Rosso. L’introspettiva e trascinante, “My Time Has Gone”, mette in luce l’amore dei quattro ad un rock classico americano dall’accattivante refrain, guidato energicamente e melodicamente dalla sei corde ritmica e solista dell’ottimo chitarrista italiano.

Naturalmente non possono mancare le influenze dei mitici Dokken, come nella successiva “Nothing’s True” ma la cosa non dispiace perché la band si dimostra ancora molto versatile nella sua proposta sonora con Giulio che interpreta benissimo e senza sforzi eccessivi qualunque cosa gli si prospetti davanti. Se la batteria di Matteo apre a ritmo le danze, lo stesso lo fa la chitarra elettrica che avvolge e arricchisce questo pezzo coinvolgente e sopraffino. In “Crazy Ride” i ragazzi abbassano i toni proponendo un semplice e sottile brano rock che vede Giulio cantare in modo più rilassato e con una voce ancora più bassa e riflessiva. Un altro mid tempo dall’armonioso e canticchiabile ritornello troppo leggero e semplice rispetto a tutto ciò udito fino a questo punto. La conclusione di questo gradevole viaggio è affidata a “Walking The Wire”, traccia di facile presa senza infamia e senza lode che ripercorre ancora il sound dell’ultima parte dell’opera con un carino e piacevole ritornello. Sinceramente è difficile dire qual è la parte migliore dell’album perché le due facce dei Damn Freaks si equivalgono mostrando un gruppo di musicisti aperti a vari stili ma poco originali e comunque sinceri nel proporre qualcosa che prima di tutto piace a loro.

L’hard rock non è morto, per fortuna, negli anni duemila e i fiorentini ne sono un’importante testimonianza soprattutto in un momento musicale in cui il rock italiano sta avendo più credibilità all’estero. Quello che manca è la spinta nazionale perché i metallari italiani sembrano ancora essere molto esterofili e questo è un grande peccato per una band professionale come questa.

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