Visualizzazioni post:660
Rieccoli, i campioni del Super Metal. Se qualcuno ancora non lo sapesse, il super metal è un sottogenere regionale texano inventato da quattro supermetallari, uno dei quali, Gabriel Guardiola, era ancora imberbe quando ad Harlingen, cittadina a un passo dal confine messicano su cui piove tre giorni all’anno, venne colpito da un fulmine in cortile. Sopravvisse, per nostra fortuna. Stava suonando le maracas, strumento che abbandonò non appena riavutosi, di cui ignorava le proprietà conduttive. Da quel giorno riesce ad imbracciare simultaneamente chitarra e tastiera, con le quali esegue a velocità fotonica ogni genere di scala conosciuto tra Matamoros e il pianeta Mongo. Il resto è storia.
Ripresosi completamente dall’improbabile incontro (1 a 81.701) con la furia degli elementi, invitò a casa tre amici di penna ignari delle oscure origini dei suoi poteri, li istruì a supportarne le virtù e fondò (siamo nel 2008) un gruppo che chiamò, con la modestia tipica dei texani, Immortal Guardian, ultimo baluardo a difesa della purezza del power metal tecnico, edificato in meno d’un decennio: due demo e due EP tra 2010 e 2014 poi Age Of Revolution (2018) e il viral-concettuale Psychosomatic (2021), opere che fondono astutamente power, shred sinfonico e progressive, accostandosi con piglio più moderno a quanto divulgato un secolo prima da Malmsteen, Angra, Stratovarius, Symphony X e Dragonforce.
Cosa giustifica quindi una tanto pretenziosa autoproclamazione? Se super (è latino) significa fuori del comune, non è questo il caso. La scena pullula di virtuosi al limite dell’onanismo, giocolieri il cui unico scopo è trarre piacere dall’ammirazione di sé, narcisi decisi a promuovere il proprio autocompiacimento con ogni mezzo a disposizione. Meno comune invece l’abbinamento tra capacità esecutive eccezionali e una scrittura che sappia afferrare compiutezza melodica e potere dirompente, componenti spesso trascurate in favore di un’esibizione tecnica ubiqua che mal si sposa con i dogmi del power metal (e del metal classico tutto, ad esser onesti).
Ecco, allora gli Immortal Guardian meritano attenzione, poiché, senza pretendere di rivoluzionare un genere che ha già espresso la propria eccellenza allargandosi ad ogni ambito affine per sensibilità e radici culturali, restano in contatto con la storia, e ne enfatizzano i tratti più nobili: Blackmore e la NWOBHM, la lungimiranza di Mike Varney, la delocalizzazione del verbo helloweeniano; ciascun fondamento ha lasciato tracce di sé, in un vortice di note che trascina e mai frastorna.
Convince, accanto a prove di profonda conoscenza dello scibile neoclassico applicabile al metal come “Ozona”,“Echoes” e “Unite And Conquer” (Temple Of Shadows + Visions?) l’esasperazione di alcuni intrecci chitarra ritmica/basso/batteria, ad una spanna da certo death melodico, così come l’aura latina che avvince “Southern Rain”, ben assorbita in una struttura d’una semplicità quasi rock per architetti della complessità come i texani. Il resto della scaletta oscilla tra metal tecnico moderno – per groove e scelte di suono, meno per temperatura, sempre bollente – e speed progressivo, toccando l’acme nei duetti di Carlos “1000 voices” Zema con Ralf Scheepers e Vicky Psarakis.
E gli assolo? Beh, dovrò pur lasciarvi qualcosa da scoprire, no? Pulite a fondo le orecchie, allora, ci sarà di che divertirsi.
Il cielo è carico di cumulonembi… Quasi quasi prendo le mie vecchie maracas e vado a fare due salti in giardino…