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Gran bel disco questo dei Cloak.
Disco con cui vengo a contatto solo perché viviamo nell’era di internet e ci permette di avere una montagna di offerta e di informazioni sempre a disposizione.
E ringraziamo la tecnologia.
Ma entriamo nel vivo.
I nostri nascono nel 2013 e arrivano sul mercato nel 2016, dapprima con un EP e poi con un disco nell’anno seguente. Seguito a sua volta dal secondo lavoro The Burning Dawn del 2019, che ammetto di dover recuperare.
Nel 2023 esce questo nero Black Flame Eternal che, a dispetto del titolo non propriamente originale, è un disco che mi ha colpito e che non lascerà indifferenti parecchi.
Il terreno in cui ci si muove è quello del black metal, ma bisogna fare alcuni importanti distinguo.
Ri-premettendo che non ho contezza dei due precedenti lavori, sin dalla primissima traccia “Ethereal Fire”, non si può non fare a meno di notare gli spettri dei Tribulation (quelli svedesi) che aleggiano sopra questi ragazzi americani.
E’ infatti innegabile che il primo impatto è quello di pensare di avere a che fare con degli emuli. Che lo fossero da principio o che lo siano diventati dato lo sfasamento delle carriere dei due gruppi, ripeto, non posso affermarlo.
Però, c’è un però. Anche un paio…
Già dalla seconda traccia, “With Fury And Allegiance”, il discorso cambia. O meglio, si amplia.
Infatti qui vengono fuori gli altri tratti caratterizzanti dei nostri e la personalità che vogliono trasmettere. Classificarli come emuli è infatti riduttivo, poiché già da qui si nota come il melange di stili ed influenze sia sottilmente differente, per sfociare in un risultato diverso.
Rispetto ai già citati Tribulation, qui emerge un senso della “melodicità” più sottile e incastrato fra le righe. Con l’avanzare delle canzoni e del disco, la componente melodica è si sempre presente, ma è meno impattante rispetto a quanto ci si potrebbe aspettare e più al servizio delle canzoni. Canzoni che hanno una vena più legata al black e alla malefica epicità della fiamma nera.
Come anche l’influenza di un certo tipo di heavy più classico, evidente in alcuni passaggi (Seven Thunders), ma mai smaccatamente in primo piano. Oppure anche il fatto che certe sonorità o soluzioni più goticheggianti siano state utilizzate col contagocce, quasi a volersi distinguere in maniera chiara e decisa.
Tutte le 8 tracce, più un intermezzo strumentale, colpiscono per come siano in grado di catturare l’attenzione di chi ascolta, con passaggi accattivanti e caratterizzanti, di quelli che ti fanno apprezzare la canzone e te la fanno ricordare, in mancanza di un riff che sovrasti ogni altra cosa.
Peculiarità che rende il lavoro molto più trasversale di quanto il genere di riferimento possa far pensare.
Un disco che mi sento di consigliare ad ogni metallaro che si rispetti.