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Il compositore e tastierista francese Vivien Lalu ritorna in pista con il suo quarto disco, The Fish Who Wanted To Be King circondato da ottimi musicisti europei: il connazionale Jelly Cardarelli alla batteria, gli olandesi Joop Wolters alla chitarra e Matt Daniel alle tastiere, e il cantautore inglese Damian Wilson (ex-Threshold) dietro al microfono. La formazione dei Lalu è un progetto artistico incominciato quasi vent’anni fa da Vivien, figlio di Noelle e Michel Lalu (membri del gruppo progressista francese degli anni ’70 Polène), che vuole sviluppare un approccio contemporaneo della musica prog rock, rispetto agli anni ’80 prendendo spunti anche dal fervido e seguitissimo progressive metal.
Vivien ama la fantasia e la creatività sonora insieme ad una produzione di qualità che lo stanno portando ad essere conosciuto e apprezzato da un pubblico più vasto. Quest’opera è l’ennesima positiva riconferma di una band capace di ottenere egregi risultati, che non lasceranno delusi chi segue questo genere. A voler trovare il pelo nell’uovo, Damian Wilson (ex Threshold) è forse l’anello debole del combo transalpino perché come avvenuto in Paint The Sky dell’anno scorso, non incide a livello vocale e interpretativo sul risultato finale dei pezzi, nonostante sia un bravissimo vocalist. La tecnica asfissiante e inappuntabile insieme alle intricate melodie sono il sale di quest’opera che va ascoltata con la mente libera da pensieri e in un momento rilassante della giornata. Magari ripetendo l’ascolto di alcuni brani più complessi e non facilmente assimilabili al primo impatto. La tastiera di Daniel è il pilastro di tutte le canzoni e lo si sente da subito nell’armonica, “Forever Digital”, infarcita abilmente da tutta la sua classe in particolare negli assoli e nell’utilizzo oculato dei sintetizzatori. La forsennata chitarra elettrica ed acustica, accompagnata magistralmente dalla sezione ritmica, si adegua al ritmo altalenante del pezzo senza alcuna difficoltà immergendosi in sontuose e prolungate melodie. Il ruolo della keyboard è ancora predominante in brani come, “Deoxyribonucleic Acid” e nella strumentale, “A Reversal Of Fortune”.
Praticamente Matt Daniel e Vivien Lalu hanno entrambi un ruolo importantissimo nella struttura delle canzoni, ma soprattutto nella creazione delle particolari e riflessive atmosfere che avvolgono tutti i solchi del platter. Non di meno è il singolare lavoro di batteria di Jelly Cardarelli e quello delle dinamiche sei corde elettriche di Wolters, a volte molto vicine ai suoni settantiani dei mitici Pink Floyd. In generale le influenze sono quelle dei giganti del settore come i mitici Yes e i fondamentali Genesis ma i Lalu mischiano nel loro neoclassico prog piccoli elementi di jazz e di rock and blues ma anche di metal alla Dream Theater per intenderci, che rendono il loro lavoro molto vario e interessante. Basti ascoltare la vivace e corale track list, “The Fish Who Wanted To Be King”, caratterizzata da un trascinante ritornello, da tanti cambi di tempo e dalla voce, a tratti, filtrata di Wilson o l’ipnotica e misteriosa “Amnesia 1916”, brano di quattordici minuti, molto ritmato e dal grande arrangiamento dove purtroppo la voce di Damian non convince in intensità ed estensione. Peccato perché il pezzo è movimentato e abbastanza suggestivo in quanto alterna parti lente e meditative ad altre più cadenzate e melodicissime. Si ode più rock nell’allegra e ritmata, “Is That A London Number”, guidata ancora dalla onnipresente tastiera, dagli sdolcinati riff di chitarra e dalla pulita e urlante ugola del vocalist britannico.
In conclusione, The Fish Who Wanted To Be King, è un disco ben riuscito che non fa gridare al miracolo o al contrario disperare per la qualità della proposta. Si tratta di un buon classico e melodico rock progressivo dagli spunti moderni che non delude chi ama alla follia questa musica.