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Quante cose possono succedere e cambiare in 20 anni. Crisi finanziarie, crolli di borsa e pandemie, ma fortunatamente la musica dei The Darkness non ne ha risentito, ancora capace di toccare le giuste corde e risuonare nel cuore degli amanti dell’hard rock. Le tre serate previste per la commemorazione di Permission To Land in Italia sono praticamente tutte esaurite e noi abbiamo avuto occasione di assistere a quella di Milano. Ma non temete, è già prevista una nuova calata italica del gruppo britannico per questa estate nel Vicentino, sullo stesso palco dove potremo vedere in azione Bruce Dickinson con la sua proposta solista e Michael Monroe. Veniamo però alla serata all’Alcatraz di Milano…
Affidato ai “Sin +” il compito di scaldare l’atmosfera di una serata che si preannuncia memorabile.
Il gruppo svizzero propone un alternative rock coinvolgente e contaminato, che sicuramente meriterà un successivo ascolto. La formazione interamente abbigliata di felpe viola, guidata dal cantante Gabriele Broggini, annuncia il nuovo album in uscita il prossimo aprile e dopo aver concluso il loro set con un’eccellente “Don’t Come Any Closer”, tutto è pronto per l’atterraggio degli headliner.
Usciva 20 anni fa Permission To Land e come ricordava lo speaker di Radio Freccia la sera del concerto all’Alcatraz di Milano, si tratta di un album che fu in grado di presentare il suono dei The Darkness con estrema chiarezza, definendone la netta identità fin da subito e diventandone presto un manifesto della loro carriera.
Non è infatti un caso che il concerto si apra proprio con le prime tracce dell’album del 2003 “Black Shuck”, “Get Your Hands Off My Woman” in cui Justin Hawkins sfoggia una delle sue mosse tipiche come l’applauso fatto con le gambe durante una verticale, e “Growing On Me”.
Dopo essersi presentati con la dovuta scarica di chitarre elettriche e voce falsettata ecco che il gruppo di Lowestoft annuncia che, proprio in ragione di questo ventesimo anniversario, suoneranno il loro album di esordio per intero.
Ecco infatti fare capolino canzoni anche meno inflazionate come “The Best Of Me” e “Makin’ Out”, oltre a grandi classici come “Givin’ Up”, durante il quale il pubblico ha la sua prima possibilità di intervenire con gli opportuni cori durante il ritornello.
Nonostante la chitarra scordata e i problemi tecnici durante l’assolo di “Love Is Only A Feeling” niente può fermare lo spirito di Justin Hawkins che infatti, insiste per rifare il solo con un’altra chitarra pure di rendere giustizia a quello che considera il migliore della carriera del gruppo.
Prima di procedere ecco che sul palco viene introdotto un ospite a supporto del quartetto. Il musicista, presentato col nome d’arte di “Softy” imbraccia la chitarra per sostituire Hawkins che si sposta momentaneamente alla tastiera per guidarci sulle note dell’insolitamente cupa ballata “Curse Of The Tollund Man”. Mentre sotto il palco li sprecano i cori da stadio i The Darkness ci regalano ancora “Stuck In A Rut” e per accontentare i fan più romantici “How Dare You Call This Love ?”.
Non mancano però le sorprese come la splendida versione hard rock di “Street Spirit (Fade Out)” direttamente da The Bends dei Radiohead.
Si torna sui grandi classici e Justin duetta con il pubblico per introdurre “Friday Night” e poi chiede gentilmente di abbassare i cellulari che ormai erano a centinaia ad infestare l’aria dell’Alcatraz, dichiarando che non avrebbero cominciato fino a quando non avessero visto sparire l’ultimo telefono. Dopo qualche applauso ipocrita di un pubblico che probabilmente avrebbe preferito continuare a filmare ossessivamente il concerto ecco la canzone che tutti stavano aspettando e con ogni probabilità la traccia che cui chiunque in giro per il mondo ha conosciuto il nome dei The Darkness rendendoli star internazionali. “I Believe In A Thing Called Love” rimane una canzone fresca che non accusa in alcun modo i due decenni dalla sua nascita suonando ancora genuina e divertente come la prima volta. Un fulgido esempio di come la semplicità compositiva a volte ripaghi più dell’ostinata ricerca di virtuosismi inutilmente complessi.
L’amore dopotutto è sempre stato un filo rosso che unisce l’intera discografia del gruppo guidato dai fratelli Hawkins e proprio all’amore è dedicato un breve discorso di Justin che pone l’accento sulla purezza di questo sentimento piuttosto che ad una questione di genere a cui troppo spesso viene ricondotto. Si tratta di un tema indubbiamente attuale che sarebbe tuttavia suonato stucchevole e banale in qualunque altra situazione ma il british humor del frontman riesce a chiarire il messaggio sfuggendo con stile dalla noiosa retorica.
I The Darkness rientrati sul palco in quelle che sembrano essere camice da notte concludono il concerto con “I Love you 5 Times” (per la cui esecuzione i musicisti si scambiano gli strumenti) e “Love On The Rocks With No Ice” mentre Justin Hawkins realizza un assolo di tre minuti facendo uno slalom tra il pubblico portato in spalla da un addetto alla sicurezza.
Un finale scoppiettante che soddisfa le aspettative di un pubblico esaltato dall’energia del quartetto. Nonostante il personalissimo rimpianto per non aver ascoltato “Open Fire” dal vivo, il concerto è stata una perfetta celebrazione di un’opera che ha conferito ai The Darkness, entrati in punta di piedi addirittura chiedendo il permesso (parafrasando il titolo dell’album), un posto nella storia della musica Rock.
Scaletta completa
Black Shuck
Get Your Hands Off My Woman
Growing on Me
The Best of Me
Makin’ Out
Givin’ Up
Love Is Only a Feeling
Curse of the Tollund Man
Stuck in a Rut
How Dare You Call This Love?
Street Spirit (Fade Out)
Holding My Own
Friday Night
I Believe in a Thing Called Love
—–
I Love You 5 Times
Love on the Rocks With No Ice