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Finalmente il bravissimo Hugo Valenti (Valentine, Open Skyz) ritorna alla grande con una nuova band chiamata Hugo’s Voyage insieme ad amici e musicisti di prim’ordine. Oltre all’americano troviamo in questa nuova avventura: Robby Hoffman alla chitarra, Lance Millard alla tastiera, Dana Spellman alla batteria e lo straordinario bassista Greg Smith (Rainbow, Red Dawn, Ted Nugent, Alice Cooper). Tra gli ospiti abbiamo invece il tastierista Steve Ferlazzo e Ray Herrmann al sassofono. Hugo in verità dopo aver suonato negli ultimi anni, con la sua tribute band dei mitici Journey incide a sorpresa una serie di inediti pubblicati con la nostrana Frontiers Records. La sua carriera trentennale lo ha portato a cantare, oltre che con i Valentine e gli Open Skyz, anche nell’album del chitarrista Josh Ramos e nei suoi diversi lavori da solista. La cosa che colpisce da subito dello statunitense è la sua incredibile somiglianza vocale e fisica con il grande Steve Perry del quale avrebbe dovuto prendere il posto nei Journey dopo la partenza di quest’ultimo. Purtroppo, la sua candidatura non è stata mai presa in considerazione da Neal Schon e soci che hanno invece puntato sul giovane cantante Arnel Pineda. Inception è pertanto un disco poco originale perché molto vicino allo stile dei Journey in cui il combo non si preoccupa minimamente di cercare una propria personalità, preferendo tuffarsi nel puro AOR tradizionale ottantiano a stelle e strisce che tanto lustro ha dato al genere nei decenni scorsi.
“Per me è stata una progressione naturale seguire la nostra ispirazione e realizzare un album di canzoni originali. Questo è per tutti i fan di AOR là fuori”, afferma Hugo.
Quello che piace e che è sempre stato amato dai fans del singer è la pazzesca estensione vocale e il modo passionale ed unico di interpretare le canzoni in cui si cimenta. Spicca pure la sua abilità nello scrivere brani melodiosi e senza tempo come le epiche ballate contenute in questo platter. La prima e romantica “In My Heart”è caratterizzata da un leggero pianoforte che conduce le pulitissime e sottili corde vocali di Valenti. Qui Hugo svetta brillantemente e armonicamente inondando di gioia la composizione anche grazie all’apporto di un’ottima orchestrazione e agli incisivi riff e assoli della chitarra elettrica di Hoffman. La seconda, “September Love”, è un altro lento che coinvolge per il suo enorme refrain melodico, un magico pianoforte e una sdolcinata chitarra sostenuta dalla perfetta sinergia con la sezione ritmica. Questo sound nostalgico è quello che si sentirà in tutta la set list, decorato dalla voce senza tempo di Hugo che creativamente si rifugia nel suono tipico dei già citati Journey. A questo punto la domanda nasce spontanea: cosa offrono gli Hugo’s Voyage con il loro Inception? Ad essere sincero nulla di nuovo, ma gli americani non sono solo un clone della band di Schon e Castronovo. Innanzitutto, Hugo dimostra di essere ancora un grandissimo cantante con ancora una stupenda voce e poi, nel complesso le tracce sono tutte carine e meritano un ascolto attento perché si rifanno ai tempi d’oro del rock melodico. Questi due aspetti si avvertono dopo la breve e strumentale “Inception”, con “Crazy What Love Can Do”, un vero e proprio inno uscito dagli anni ’90 da un album dei The Storm, che mischia la calda ugola del vocalist alla melodia della tastiera e all’incisività armonica della sei corde elettrica.
Sembra che dietro al microfono ci sia Steve Perry, ma non è così perché Valenti è naturale e non lo fa di proposito. Dopo tanti anni di onorata carriera e di sprazzi di successo non ha bisogno di essere la fotocopia di nessuno. Il pianoforte apre malinconicamente l’emozionante ritmata “Don’t Wish Live With Your Love”, dalle sonorità sempre made in Journey, con grandi cori e un superlativo e prolungato assolo di chitarra da far venire i brividi. Sulla stessa scia anche la successiva e atmosferica “Sound Of A Broken Heart”, dal riflessivo e piacevole ritornello abbellito da strimpellate funky di chitarra e dalla limpida ugola dell’ottimo Hugo. Per fortuna il proseguo è più rock and roll nell’up-tempo, “Goin’ Away” perché la dirompente chitarra elettrica di Robby detta legge tirandosi dietro una precisissima sezione ritmica e un ruffiano hammond, che impreziosisce un tradizionale sound di classic AOR americano. Con “A Friend Like You” si riaccendono gli accendini o gli smartphone al buio della sera dopo una giornata stancante e deprimente. Solo il suono di una morbida sei corde elettrica e un sassofono possono riconciliare ad un futuro migliore proiettando l’ascoltatore nella lontanissima West Coast californiana insieme alla melodicissima timbrica vocale di Mr. Valenti. Segue la Bostoniana e corale “How Many Times”, in cui spiccano l’accompagnamento melodico del piano e la leggera sei corde elettrica. La veloce e blueseggiante, “I’ll Be Around”, ha ancora uno spudorato sound alla Journey mischiato alla grinta armonica dei Survivor e culminante in un raggiante e piacevole ritornello. Qui gli alternati cori e la voce del cantante sono semplicemente fantastici e valgono da soli il costo del disco.
Nella penultima e rapida “The Voyage”, tutti gli strumenti continuano a macinare nitidamente note super melodiche guidate dalla delicata e allo stesso tempo vigorosa ugola del frontman statunitense. Questo è un pezzo molto intrigante e il chitarrista Robby Hoffman eccelle con alcuni assoli davvero superbi e virtuosi. L’eccezionale e contemporanea produzione è riconfermata nell’ultimo lento, “When Heaven Makes An Angel”, dove ancora una volta un soave piano e la voce del singer rubano la scena accompagnati da una ritmata chitarra acustica. Bella chiusura per un bel debutto.
Magari qualcuno storcerà il naso per l’assenza di originalità e il furto d’identità ai danni dei leggendari Journey ma la sincerità e la passione del gruppo nel suonare ciò che piace realmente è l’aspetto che colpisce di più. Gli Hugo’s Voyage sono pronti ad un lungo e speriamo soddisfacente viaggio nell’universo infinito dell’AOR internazionale. La sensazione finale è che il quintetto sia riuscito a riportarci i momenti salienti dell’AOR tradizionale dei fondamentali eighties e addirittura di aver sfornato un album migliore rispetto a Freedom dei Journey, pubblicato l’anno scorso sempre dalla Frontiers Records.