Visualizzazioni post:762
È piuttosto rara l’anesacordosi. Nota anche come sindrome di Sharada, è caratterizzata da insorgenza graduale, e colpisce principalmente soggetti con trascorsi musicali eterogenei; chi ne è affetto comincia a rifiutare patologicamente gli strumenti cordofoni a pizzico muniti di sei corde. Pur potendo optare per più maneggevoli quinterne o mandolini – nonché fare affidamento su nuovi, espandibili modelli – il musicista che ne soffre devia solitamente verso il basso elettrico a quattro corde, sfogando su di esso tutto l’estro represso.
Stefano Loiacono è attualmente al penultimo stadio, fase in cui il rifiuto porta a comporre e suonare mostruosi album rock senza l’ausilio della chitarra. Ha tentato, invano, di rallentare il decorso della malattia e di affrontarne le conseguenze, frequentando tutti i gruppi di sostegno siti tra i colli catanzaresi e la costa ionica (tra i più salvifici ricordiamo Nimby, Carnal Gore, Antigravity e Faust & Malchut Orchestra) ma è riuscito solo in parte a limitare i danni da abuso di eclettismo, prodotti dall’amore per la psichedelia ed il garage rock e dalla devozione per il post-punk ed il rock progressivo.
Come nelle storie più edificanti, però, sono l’affetto ed il conforto degli amici a rendere sopportabile ogni male e ad esorcizzarne il pericolo: nel 2019 nascono gli Sharada, trio che inaugura una nuova modalità assistenziale, in cui al sostegno dell’attività musicoterapeutica viene dedicata un’intera etichetta. My Syndrome è il numero di catalogo 001 per la neonata Glory Hunter Records, tratta dal costato di Maurizio Chiarello – fondatore di Underground Symphony – come nuova tutrice del metal/rock italiano meno canonico.
Nove brani che sprizzano inquietudine, trasposizione in note dell’ermetismo grafico di Giga Kobidze. La sindrome spinge a condotte psichedelicamente aggressive, alternate a momenti di ritmate trance desertiche, e non sono infrequenti spasmi di blues metallico o deliri hardcore, pop, persino prog: effetti di una terapia a base di Badmotorfinger, Undertow, Stoner Witch e Songs For The Deaf che ha generato nuove diramazioni nell’ossatura di un suono tanto essenziale quanto denso e pulsante.
Vincenzo Perri, un cugino italiano di Dax Riggs e Myles Kennedy, è puro talento, snocciola melodie come fossero perle d’un rosario, sussurrando preci e urlando versi con la stessa, viscerale intensità; Giovanni Caliò è marziale, secco, articola sequenze senza fronzoli, nonostante debba sorreggere – e talvolta arginare – lo spesso strato ritmico steso da Loiacono. Frequenti i picchi, in una scaletta che mantiene sempre alta la tensione: chi vi scrive è balzato più volte sulla sedia, per sbatacchiare il cranio – di chioma, ahimè, non v’è più traccia da tempo – su “Cement”, “Life Is Deaf”, “Killer In You” e sull’esplosiva chiosa punk di “Speed”.
Chiudiamo banalmente, considerata la prossimità delle festività natalizie: fatevi un regalo e contribuite alla causa; Stefano s’aggrava di giorno in giorno, il prossimo disco sarà, purtroppo, un capolavoro.