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Arroganti, strafottenti, allegri e bravi, ecco chi sono i giovani rocchettari Temple Balls. Se da un lato il nome della band è uno dei peggiori degli ultimi tempi, dall’altro, il loro sound datato e prevalentemente americano è pura estasi per le orecchie di chi ama l’hair metal e lo sleaze metal ottantiano e dei primi anni ’90 a stelle e strisce ma anche britannico. Oltretutto i cinque scapestrati provengono dalla gelida Finlandia e non dal clima caldo della soleggiante California, dove questi generi sono nati e cresciuti generando tantissime valide formazioni. Il classico hard rock melodico non passa mai di moda e continua quindi ad avere proseliti soprattutto nel nord Europa, nonostante sia continuamente boicottato dai media di quasi tutto il mondo. La storia artistica dei Temple Balls è ancora breve ma molto intensa in quanto il loro primo singolo ufficiale: “Hell And Feelin’ Fine”, è inciso nel settembre del 2016 mentre l’album di debutto, Traded Dreams, qualche mese dopo nel febbraio 2017. Il secondo disco, Untamed, esce nel 2019 ottenendo ottime recensioni e il terzo platter Pyromide segna invece il battesimo con la nostrana Frontiers. Avalanche è il quarto album in studio ed è caratterizzato da pezzi energici, orecchiabili e melodici, dalle venature heavy, che non lasciano assolutamente indifferenti e che dimostrano come i cinque vichinghi abbiano perfezionato la propria formula musicale, poco originale ma molto coinvolgente.
L’iniziale e tellurica, “All Night Long”, è la giusta apertura di un’opera brillante e ben riuscita. Questa traccia ha un’atmosfera adrenalinica e il vocalist Arde Teronen offre una performance vocale pazzesca, attorniato poi da stratificati cori e da riff chitarristici armoniosi, ma anche possenti. La successiva e potente “Trap”, sembra uscita da un disco degli svedesi Crazy Lixx, compagni di roster in Frontiers. Song super melodica nel ritmo e nel grandioso ritornello che rimane appiccicato in testa per ore grazie anche all’ottimo lavoro delle forsennate e ruggenti chitarre di Jiri Paavonaho e di Niko Vuorela. Il refrain di, “Lonely Stranger”, è più duro rispetto ai precedenti pezzi ma sempre melodioso e accompagnato da enormi cori e distorti riff di electric guitar, che nel finale lasciano spazio ad un prolungato e pirotecnico assolo.
Si prosegue con un urlo demoniaco di Teronen che apre la martellante e metal, “Stand Up And Fight”, un inno di puro power metal dal trascinante e coinvolgente ritornello, che piacerà sicuramente in sede live. Quello che colpisce di questo lavoro, a parte la musica è che la set list è azzeccata perché i solchi del disco alternano suoni retrò ad altri moderni da stadio che si mischiano facilmente tra rock, glam e metal. Un esempio palese di questa miscela è la cadenzata e quasi Maideniana, “Prisoner In Time”, dal forte sound europeo che il frontman Arde Teronen gestisce benissimo, con un grande carisma e una tonalità più pulita del solito. A parte il singer finnico meritano un plauso i due chitarristi Jiri e Niko, due importanti punti di forza del gruppo, che offrono taglienti riff i e virtuosi assoli, aiutando così le canzoni a decollare e ad essere molto convincenti. Basta ascoltare l’ammaliante e ritmata, “Strike Like A Cobra”, altro energico e veloce pezzo che colpisce violentemente l’animo e il corpo per via di una massiccia linea di basso e di chitarra elettrica. Entrambe sovrastano la melodia di base della composizione sostenute poi da un grintoso coro. Addirittura, nella successiva “No Reason”, sembra di sentire i mitici Def Leppard, con Teronen che sembra, in certi frangenti, imitare l’inarrivabile Joe Elliot. Qui il superlativo e canticchiabile ritornello fa la differenza portando i Temple Balls ai più consoni e sdolcinati territori hair metal sentiti all’inizio del platter. Se, “Northern Lion” è un brano hard rock che strizza l’occhio al metal, dal ritmo veloce e battente arricchito da riff vorticosi di chitarra e i soliti insostituibili cori; “Dead Weight”, invece, pur mantenendo una grande potenza sonora, punta principalmente alla melodia creando parti atmosferiche e soavi in cui la rauca ugola di Are si insinua efficacemente. L’armonica e ruffiana, “Stone Cold Bones”, è un mid-tempo dai tocchi AOR, che si avvicina alla classica e malinconica ballata che non deve mancare in una raccolta del genere. Diciamo che si tratta di una canzone prevedibile ma in un certo senso necessaria per spezzare l’infernale sound sviluppato fino a questo punto. Qui la tastiera e la chitarra elettrica, con le efficaci corde vocali del cantante prendono il sopravvento e uno spazio tutto loro. Ma non è finita qui! Se pensate che la forza degli scandinavi si sia esaurita vi sbagliate enormemente perché l’ultima, Avalanche, riprende orgogliosamente lo stile furioso e possente tipico della band ma sempre con cascate di melodia emanate dalle infiammate sei corde elettriche, culminanti in uno spassoso e gradevole ritornello.
In conclusione, Avalanche è un disco particolarmente diversificato che esalta il coraggio e la forza di questi vichinghi di trovare diverse soluzioni melodiche sfruttando vari generi musicali. Nonostante le marcate influenze ottantiane la scaletta presenta una produzione moderna e fresca che proietta i ragazzi verso un sound più attuale e un futuro promettente e roseo.