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Vengono i brividi dai polsi fino all’osso sacro alla sola lettura di quelle due parole. Dave Lombardo.
Mai abbandonatosi a dissolutezze assortite né resosi oggetto di futili chiacchiere da bottega – e ciò ben prima che le notizie fossero un tormento mezz’orario piuttosto che un componente culturale primario –, questo Cubano iperdotato e taciturno ha travalicati i generi come pochi altri hanno avute capacità ed opportunità di fare. Più d’uno è a conoscenza della sua militanza nei Fantômas, un po’ meno dell’album con DJ Spooky, e forse ancora meno di Vivaldi: The Meeting, ardita collaborazione col giornalista Lorenzo Arruga messa in moto da quello svitato di AC Wild con la sua Thymallus e dalla Atrheia. Così saldo artisticamente che neppure i contributi agli operati degli obbrobriosi Apocalyptica ne hanno tutto sommato offuscato il fulgore artistico.
L’espressione musicale di Lombardo, per propria intima ed incontrovertibile natura, non può e non potrà mai essere tangenziale, scialba. No. Lui è sempre stato su di un altro piano; se non su di un altro pianeta. Se non già un altro pianeta. Unico, riconoscibile, irrinunciabile, innovativo, inimitabile. Quando si è una tale testata d’angolo – come pure Keith Moon o Philthy Taylor o Charlie Watts o John Bonham o Neil Peart o Art Blakey o Mitch Mitchell o chi volete voi (non allargatevi però e basta con questa mania munificente) –, anche un’ora di immutabile quattro quarti diverrebbero un capolavoro.
Senza strafare in nessuna direzione, Rites Of Percussion mette in primo piano la monumentale capacità descrittiva del batterista. Pezzi brevi, controllati, calibrati, asimmetrici, nei quali Dave dispiega la propria naturalezza con l’ausilio di tamburi e piatti da batteria classici, octoban, darbuka, timpani, timbales, conga, güiro, shekere e chissà che altro. Quando si dice che lo strumento diviene un prolungamento del corpo.
Lombardo progetta ed innalza impalcature da fuoriclasse. Sovraincisione e montaggio sono qui veicoli prettamente creativi. Il ritmo: disilluso e deriso, spezzato, stirato, ripiegato su sé stesso. Piedi e mani che raccontano di dubstep, tribale, musica da film, thrash metal, trip hop, avanguardia sperimentale e quasi tutto ciò che è possibile affidare ad ideofoni e membranofoni. Se volete un disco diverso dall’offerta comune, provate con Rites Of Percussion. Se amate sì l’artista ma non tanto da seguirlo dappertutto, allora c‘è sempre l’a-solo di “Ghosts Of War”.