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SCARDUST – una voce dal medio oriente
Scardust: un nome non ancora molto noto, ma di cui risentiremo parlare presto, dato che dopo la firma del contratto con l’italiana Frontiers Records la compagine israeliana è impegnata nella stesura di un nuovo album, che si preannuncia degno successore della fusione tra symphonic e progressive già assaporata nei due LP precedenti. Il recente tour europeo di spalla ai Blind Guardian ci ha permesso di scambiare qualche parola con il gruppo. Ecco com’è andata.
Come state e come sta andando il tour coi Blind Guardian?
N (Noa Gruman, cantante del gruppo): Ciao, grazie, siamo molto grati per questa opportunità e siamo molto carichi. I tour possono essere stancanti, ma ogni sera a noi interessa suonare e non vediamo l’ora di farlo.
Avete appena firmato un contratto con l’italiana “Frontiers Records”, che è l’etichetta di tanti mostri sacri della musica. Come vi sentite a riguardo? Avete aspettative particolari?
Y (Yoav Weinberg, batterista del gruppo): Siamo molto soddisfatti perché essere cercati e ottenere fiducia dall’etichetta di gruppi quali Yes e Boston è un onore. Siamo sicuri che la collaborazione sarà fruttuosa e questo ci sprona a lavorare ancora più duramente.
Non che prima non lo faceste…
N: vero (ride, nda) ma un’etichetta come la Frontiers ci fornisce un metodo, ci aiuta a essere più precisi tra impegni e scadenze varie, ed è una cosa molto importante.
Sentite un po’ di pressione ad aver fatto un passo così importante?
Y: sì, ma è una pressione positiva. Perché lavorare con la Frontiers è molto stimolante e ci sprona a fare sempre meglio. È incoraggiante, ecco.
Un nuovo disco è in cantiere, potete anticiparci qualcosa? C’è qualche differenza rispetto al passato?
N: penso che ogni nostro disco abbia qualcosa di diverso rispetto al precedente, ma in questo caso la nuova musica che finirà sul prossimo disco ha diversi elementi di diversità per quanto riguarda il processo di scrittura. Questo perché abbiamo incrementato il lavoro di squadra e stiamo lavorando a varie canzoni e al concept. Abbiamo molte idee che lavoreremo quando torneremo a casa dal tour.
Y: quanto alla stesura dei brani, stiamo condividendo tutte le idee tra noi, in modo che ognuno possa valutarle e nel caso apportare delle modifiche. È molto funzionale. Nel passato, il lavoro di composizione di musica e testi era principalmente opera di Noa (Gruman, la cantante del gruppo, nda) e di Orr (Didi, bassista del gruppo). Ora, per esempio, mi sono sentito molto più in grado di gestire in autonomia la stesura delle parti di batteria.
Avete già un’idea di quando sarà pronto o quando verrà pubblicato?
N: ancora non ne abbiamo idea, quando sarà pronto sarà l’etichetta a decidere.
A proposito di pubblicazioni, avete recentemente pubblicato un singolo, “Game Of Now”, che parla della nostra epoca contemporanea, della ricerca della gratificazione istantanea nell’attuale era digitale, di chi segue trend e chi li crea…
N: riscontriamo questo nella vita di tutti i giorni, anche perché abbiamo a che fare continuamente coi social media. Il paradosso è che nella realtà di oggi chi posta contenuti, se vuole ambire a essere un influencer, deve seguire la moda, ma sono solo coloro che riescono a creare una moda che diventano veri influencer. È un ciclo continuo, quindi.
Noti questo ciclo anche nella musica di oggi?
N: credo sia così in ogni ambito, quindi anche nella musica.
Oggi però anche il consumo di musica è cambiato, e forse lo streaming lo ha reso in parte più superficiale e soggetto alle mode…
N: potrebbe essere, ma a me interessa che la gente ci ascolti, indipendentemente dal formato con cui lo fa, perciò va benissimo lo streaming, su qualunque piattaforma, che sia Spotify, Youtube, Apple Music. Questo ci permette oggi più di ieri di essere conosciuti e magari apprezzati in tutto il mondo. Anche perché noi diamo molto peso ai video, come hai detto ne abbiamo appena pubblicato uno ma ci piace anche fare dei video di brani del nostro repertorio riprodotti dal vivo, e i social media di oggi possono essere sfruttati bene per questo.
A (Aaron Friedland, tastierista del gruppo): Lo streaming è una lama a doppio taglio. È diventato molto facile registrare un disco e piazzarlo su ogni piattaforma possibile, e questo è decisamente un bene. Però naturalmente, come puoi farlo tu, può farlo chiunque.
Y: è per questo che diamo molta importanza a fare i tour. Una volta i gruppi che volevano farsi conoscere facevano anni e anni di tour intensivi, è il modo migliore per far sì che tante persone scoprano quello che stai suonando.
Avete già qualcosa in programma per il 2024? Partecipazioni a qualche festival, magari?
N: nulla che possiamo ancora rivelare (ride, nda)
Quali sono i singoli musicisti o cantanti a cui vi ispirate o che vi hanno influenzato?
N: ho iniziato a cantare da piccola, ricordo di aver sempre cantato, almeno da quando ho dei ricordi di infanzia appunto. Ho ascoltato tantissimo i Queen, perché mio papà li ascoltava spesso quando ero bambina.
Y: Tutti i batteristi che si sono succeduti nei Death. Sono cresciuto ascoltando musica elettronica, perciò non parlerei di vere e proprie influenze. Sono stati più un motivo per spronarmi a imparare a suonare la batteria, perché ascoltandoli pensavo: “devo arrivare a suonare le loro parti di batteria”. Alla fine ci sono riuscito! Metal a parte, direi Stewart Copeland e Bill Bruford.
G (Gal Gabriel, chitarrista del gruppo): Marty Friedman, Jeff Loomis e John Petrucci in primis. Se dovessi fare altri nomi, Greg Howe, Jon, Lang, Par Nilsson (chitarrista degli Scar Symmetry, nda) e Fredrik Thordendal dei Meshuggah.
Siamo giunti alla fine dell’intervista. Se doveste presentare la discografia del gruppo con solo una manciata di parole, come riassumereste ogni vostro lavoro?
O (Orr Didi, bassista del gruppo): il nostro EP “Shadow” potrebbe essere “Un confine tra il sogno e la realtà”
N: “Sands of Time” potrebbe essere descritto come “trauma e trionfo”
A: per “Strangers” direi “dualità”.