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Ma quanti dischi sono usciti in questo 2023!? Tanti… forse troppi. C’è una produzione immensa, esagerata di dischi. E c’è il rischio di perdersi. Nei tanti siti specializzati avrete letto nomi importanti, gruppi underground, magari si sarà parlato del gruppo in cui suonate voi stessi (beh, perché ormai suonano tutti). Noi cerchiamo sempre di dare ampio spazio all’underground, non tralasciare nomi medi o di una certa importanza e ci occupiamo anche di certe cose autoprodotte che ci sono andate nell’occhio. Purtroppo non è proprio possibile occuparci di tutto e anzi, a volte vorremmo parlare di qualche disco in più, ma non c’è il tempo o magari ci è sfuggito qualche bel nome di cui avremmo voluto rendervi partecipi. Ed è così che guardando la lista dei dischi usciti per fare una classifica dei più belli, ci siamo resi conto che mancavano ancora tante cose da cui almeno valeva la pena, anche in poche righe, di tirar fuori alcune delle nostre amate pillole. Non c’è sempre bisogno di fare una recensione dettagliata per parlare di musica. Parleremo presto in un articolo a parte di questo fenomeno discografico relativo all’esagerazione di uscite musicali, ma intanto ecco a voi i grandi esclusi del 2023… alcuni di noi in redazione hanno voluto inserire qualche frase relativa ad alcune uscite che sono riportate qui in ordine di data di uscita… allora andate pure alla ricerca del titolo che fa per voi perchè ne abbiamo per tutti i gusti! Buona lettura a tutti e buon anno!
OBITUARY – Dying of Everything (Relapse Records) – usciva il 13 gennaio
Il primo grande escluso di questo 2023. Data l’importanza del nome siamo sicuri che avrete già letto tante recensioni in giro per la rete ed ecco perchè non abbiamo più ritenuto essenziale parlarne. Relapse non è stata un’etichetta che ci ha voluto bene e non ci ha fatto ascoltare il disco per tempo. Oggi dopo quasi un anno dalla sua uscita possiamo dare conferma di un grande classico del death metal in pieno stile floridiano. Gli Obituary ci hanno abituati da sempre a ritmi cadenzati, lenti, a passo di marciume morente e decadente. La voce dall’oltretomba di John Tardy e la distorsione di Trevor Peres sono gli ingredienti classici del quintetto di Tampa, assieme al groove dell’altro Tardy, Donald. Butler e Andrews, arrivati solo nell’ultimo decennio non hanno potuto far altro che adeguarsi. Unica pecca, la lunghezza dei pezzi a volte troppo “importante”, ma mai inopportuna.
(Ivan Gaudenzi)
THE ABBEY – Word Of Sin (Season Of Mist) usciva il 17 febbraio
Emuli senz’anima o valenti esploratori dell’occulto? Difficile non pensare ai Ghost e all’eredità di Coven e Black Widow ascoltando Word Of Sin. I finlandesi The Abbey respirano la stessa aria pervasa d’incenso, appena rischiarata dalla luce dei ceri, e la saturano di doom e cori spettrali (ci sono anche l’ex Sentenced Vesa Ranta e Natalie Koskinen, dagli imprescindibili Shape Of Despair), incatenando l’uditorio con melodie ipnotiche ed avvolgenti, diretta emanazione di certo progressive d’antan e della psichedelia più cupa dei Settanta. Un affresco di suggestioni crowleyiane che ammalia ad occhi chiusi, nell’attesa di una seconda, più personale celebrazione. Promettenti.
(Oiled)
STEEL PANTHER – On The Prowl – usciva il 24 febbraio
Sono contento di avere la possibilità di condividere, seppur rapidamente, la mia opinione sul nuovo disco degli Steel Panther, On The Prowl, che per ragioni di salute non ho potuto recensire alla sua uscita. Seguo la band dal loro primo disco, adorando la loro proposta musicale che, per chi come me inizia a non essere più un ragazzino, ricorda i bei tempi che furono. Inoltre, non parliamo solo di pezzi orecchiabili e spesso piaccioni, parliamo anche di prestazioni musicali e vocali di altissimo livello. Michael Star, che non è certo un ragazzino, è come sempre impeccabile … ad averne così! E Satchel? solito funambolo delle sei corde. Il quartetto americano torna con un bel disco, dopo il precedente Heavy Metal Rules che, onestamente, non mi aveva completamente convinto. La formula è sempre la stessa: sano hard rock con genuine influenze metal (“Friends With Benefits” e “Teleporter” per citare due pezzi), il tutto arricchito da testi dissacranti e molto espliciti (“Magical Vagina”), particolarmente incentrati su tematiche sessuali e sul divertirsi, anche se non mancano alcuni pezzi di riflessione come “On Your Instagram”. Da sottolineare il featuring di Dweezil Zappa in “Is My Dick Enough”. Immancabili anche le power ballad, “Pornstar” e “Ain’t Dead Yet”, stranamente una di seguito all’altra. Migliori brani sicuramente la nostalgica “1987” e la super energetica “Never Too Late (To Get Some Pussy Tonight)”. Disco con una buona produzione e con la capacità ancora una volta di far suonare freschi e potenti pezzi che sembrano essere stati concepiti 40 anni fa: decisamente un Top Album!
(Rig)
ONTBORG – Following The Steps Of Damnation (Black Lion Records) – usciva il 24 febbraio 2023
Arrivano da Merano, Trentino, gli Ontborg. E la cosa è decisamente curiosa, perché pararsi di fronte ad un nome del genere e leggere “melodic death metal” uno pensa alla Svezia. Ma tutta la vita…! E invece no, questi italici, nati nel 2017 e giunti con questo al secondo lavoro in studio, con nelle fila due membri (presenti ed ex) dei più famosi Graveworm, stupiscono con un
disco che potrebbe tranquillamente essere uscito da un paesino svedese alla fine degli anni ’90. Niente di rivoluzionario, infatti i nostri confezionano un disco di 10 tracce (quasi fin troppe
forse) di un death melodico che paga chiari dazi ai vari gruppi che hanno contribuito alla storia del genere : Hypocrisy, primi In Flames et similia. Il tutto mantenendo sempre un approccio molto ruspante e poco incline agli intellettualismi o alle derive eccessivamente melodiche, lasciando però il giusto spazio a intrecci che rendano ogni pezzo memorizzabile e piacevole all’ascolto. Uniche pecche, forse, una poca propensione alle accelerazioni e ai tempi sostenuti e la tendenza a rimanere su cadenze più compassate e una certa monotonia del cantante. Come detto, probabilmente non griderete al miracolo, ma un disco che sicuramente non sfigurerà nelle collezioni di tanti metallari e che ritorna con piacere nel lettore. Colpo sicuro.
(Enkindled)
DARK SANCTUARY – Cernunnos (Avantgarde Music) – usciva il 17 marzo 2023
Sorvolando per un attimo sui brividi che corrono ad alcuni leggendo il titolo del disco per alcune note vicende italiche (su cui stendiamo un velo pietoso), tornano gli eterei cantori francesi del gothico e del neo classico. Personalmente non ho totale padronanza della carriera dei nostri, avendo saltabeccato qui e là nell’ascolto, ma qui, nel 2023, ritrovo gli stessi sentimenti ed emozioni che provai più di vent’anni prima quando ascoltai i primissimi lavori (De Lumière et d’Obscurité soprattutto). Musica evocativa e d’impatto questa, dove si mischia la musica classica col gotico, dove la
voce femminile regna sovrana e tesse soavi melodie che culleranno chi l’ascolta per tutta la durata del disco. Sempre rimanendo nei canoni descritti, la scaletta si dipana tra momenti più toccanti ad altri più oscuri, dal tribale all’epico. Per un momento più intimo o per un’alternativa meno vikinga ai Wardruna, non rimarrete delusi. Solstizio d’inverno.
(Enkindled)
BABYMETAL – The Other One – (earMusic) – usciva il 24 marzo
“The Other One” è il nuovo album delle idol Babymetal: dieci nuove canzoni per i fan del trio nipponico più discusso nell’ambito del metal. Ci troviamo di fronte ad un platter molto maturo, meno happy dei primi due album e molto più oscuro ed elettronico. Il risultato è molto interessante, visto che ci troviamo di fronte a canzoni dove il refrain non è l’unica cosa importante di tutta la costruzione compositiva. Un disco che scorre fluido, ben suonato e ben concepito: se questa è la nuova direzione intrapresa dalle Babymetal c’è sicuramente da puntare l’obbiettivo su di loro. Sperando di vederle presto dal vivo in Italia, vi consiglio l’ascolto di “The Other One”, anche a chi normalmente non apprezza la proposta delle tre idol nipponiche…
(Fabio Rancati)
VOIDCEREMONY – Threads Of Unknowing (20 Buck Spin) – usciva il 14 aprile
Ancora dagli Stati Uniti, il secondo lavoro di una delle nuove leve del technical death metal. Il successore di Entropic… va a colmare i difetti del debutto e inquadra la dimensione dei nostri in una strada che risulta più percorribile. Il debutto, a parere di chi scrive, soffriva di un eccesso di ricerca del tecnicismo, della struttura destrutturata, della dissonanza controllata. Insomma, poteva risultare stancante all’ascolto già dopo pochi passaggi nel lettore. Invece qui i nostri sembrano maturati, specialmente sotto l’aspetto compositivo, e ci consegnano un lotto di tracce più digeribili e interessanti. Ovvio si paga ancora parecchio dazio ai chi questo genere lo ha inventato e promulgato, un po’ dei Morbid Angel sotto steroidi e col basso fretless. Intellettuali ma non intellettualoidi, i Void Ceremony azzeccano il colpo, frutto anche di un missaggio bilanciato e preciso, consigliato a chi cerca la violenza, ma controllata. Reindirizzati.
(Enkindled)
BABYMETAL – 10 Babymetal Years- (earMusic) – usciva il 23 aprile
Non so perchè questo disco sia finito nelle uscite del 2023, visto che risulta dato alle stampe la prima volta nel 2021: comunque eccoci qua a parlarne brevemente per voi. “10 Babymetal Years” è un compendio interessante per chi avrebbe sempre avvicinarsi alla band Idol nipponica ma non aveva mai osato chiedere.
Le 10 canzoni presenti variano da versione a versione immessa sul mercato (ci sono, ovviamente, 10 versioni diverse): comunque ci rifacciamo alla tracklist ufficiale del promozionale. Ci troviamo di fronte a 10 tracce dai primi tre album della band del Sol Levante: un ottimo modo, a mio avviso, per conoscere questo fenomeno mondiale che ha letteralmente diviso l’audience.
Il risultato è una raccolta interessante, ottima per i neofiti che, come detto, vogliono capire di più il fenomeno Babymetal: per chi già le conosce, e le apprezza, questa release può essere interessante solo dal punto di vista collezionistico.
(Fabio Rancati)
FROZEN SOUL – Glacial Domination (Century Media Records) – usciva il 19 maggio 2023
I Frozen Soul si occupano di ghiaccio, gelo e… Death Metal! Particolare intrigante se si considera che questi cinque ragazzi provengono dal Texas, rovente stato americano. Glacial Domination è il secondo disco della band e ha visto il coinvolgimento in produzione e composizione di Matt Heafy dei Trivium. Il risultato è un Death metal roccioso di orientamento statunitense della nuova scuola, con brani non molto veloci quanto ritmati, basati su dinamiche e riffing piene di groove e molte comparse di chitarra melodica ad arricchire il piatto. Saranno a Milano a Febbraio insieme ai Creeping Death loro omologhi che al momento destano maggior curiosità per qualità superiori e brani migliori. “Glacial Domination” sarà utilissimo a farvi digerire e divertire tra un pranzo ed una cena, ma difficilmente resterà nei vostri stereo a lungo.
(Vittorio Manzone)
THE FORESHADOWING – Forsaken Songs (Ardua Music) – Usciva il 26 maggio
Dopo sei anni di silenzio, la gothic doom band italiana The Foreshadowing è tornata lo scorso maggio per celebrare il decimo anniversario della pubblicazione di Second World. Il risultato è l’EP Forsaken Songs, anticipatore di quello che potrà essere il prossimo album completo, composto da nuovo materiale prodotto durante la pandemia e brani rielaborati del passato. Gli inediti “We The Others” e “Memento” propongono il classico sound gothic doom melodico della formazione romana mentre “The Forsaken Son (Twilight Revival)”, brano tratto da Second World viene interpretato per questa occasione in chiave jazz con un’emozionante versione chitarra acustica-pianoforte. Sono presenti inoltre anche le cover peculiari di “Such A Shame” dei Talk Talk e “The Rains Of Castamere (a Requiem for Wolves)” di Ramin Djawadi cantata da Serj Tankian per la colonna sonora della stagione finale di “Game Of Thrones“. Un sussulto emozionale scandito da una delle voci più intense della scena nostrana, un contemplo nell’attesa dei progetti futuri.
(Michela Olivieri)
SCAR SYMMETRY – The Singularity (Phase II – Xenotaph) (Nuclear Blast) – usciva il 09 giugno
Con quasi 10 anni di attesa, ecco tornare sul mercato la creatura del chitarrista Per Nilsson. Fondamentalmente questo nuovo capitolo della loro discografia riprende il discorso esattamente dove lasciato dal precedente The Singularity Phase I, anzi forse meglio. Credo fosse abbastanza chiaro che sia nel lavoro del 2014, sia in The Unseen Empire si notassero chiari segnali di stanca e di un certo calo di ispirazione, specie se chi ascolta avesse familiarità con la discografia dei nostri. Un crescendo senza sosta o senza intoppi fino a Dark Matter Dimensions, dove il progressive si mischiava col death e con le melodie memorizzabili e accattivanti che questo gruppo era in grado di proporre. Fino al suddetto calo. Torniamo qui invece ai livelli spumeggianti e convincenti dei primi album, con tutti gli elementi cardine del gruppo rinverditi e rimessi a lucido. Di sicuro nulla di rivoluzionario, ma un buon disco che farà felici tanti ascoltatori. Bentornati!
(Enkindled)
EVILE – The Unknown (Napalm Records) – usciva il 14 luglio
Promettente formazione thrash degli anni 2000, gli inglesi Evile escono con il loro sesto lavoro, il secondo con il chitarrista Ol Drake dietro al microfono. Avevo destinato questa recensione al buon Pol, ma non è andata in porto. Poco male, giudico questo The Unknown un vero e proprio passo falso del quartetto di Huddersfield. Un rallentamento di velocità li porta ad un capitolo quasi goticheggiante, molto poco thrash rispetto a quanto ci avevano abituati. Non voglio dire che sia un brutto disco. Ci sono capitoli come “When Mortal Coils Shed” o “Beginning Of The End” molto interessanti, introspettivi e originali, ma forse non è quello che mi aspettavo dagli Evile. I brani più riusciti “Sleepless Eyes” e la conclusiva “Balance Of Time” non bastano a recuperare quello che è un album con troppa poca cattiveria, rispetto quella che ci hanno tirato fuori nei dischi precedenti. Una mossa azzardata.
(Ivan Gaudenzi)
MATTEO MANCUSO – The Journey (The Players Club) (Mascot Label Group) – usciva il 21 luglio
The Journey è il primo album di Matteo Mancuso, per chi ancora non lo conoscesse un umile virtuoso della chitarra, celebre per il suo finger style (non si è mai approcciato all’uso del plettro), omaggiato da grandi come Steve Vai e Joe Bonamassa. Un giovane talento il cui obiettivo è quello di rendere la musica strumentale accessibile a tutti gli ascoltatori quindi tecnicismi funzionali al gusto e alla musicalità. Jazz e blues scorrono lungo The Journey, si pensi a brani come Polifemo e Blues for John ma senza tralasciare anche sonorità rock come nel singolo Drop D mentre la chitarra classica funge da protagonista in Time To Live e nel brano di chiusura The Journey eseguito insieme al padre Vincenzo come a voler introdurci nella sua sfera più intima e familiare. Un album da ascoltare con attenzione dall’inizio alla fine, un nome quello di Matteo Mancuso di cui sentiremo parlare orgogliosamente ancora a lungo.
(Michela Olivieri)
SEVENDUST– Truth Killer (Napalm Records) – usciva il 28 luglio
Poche, impercettibili flessioni nell’arco d’una carriera quasi trentennale. I cinque di Atlanta fan fatica a deludere, e si riconfermano abili manipolatori della materia nu/alternative metal anche dopo tredici album. Truth Killer ripropone il fruttuoso abbinamento tra la voce da crooner di Lajon Whiterspoon e i giri al piombo del duo Connolly/Lowery, incontro tra i più felici nell’ambito di un sottogenere tanto bistrattato quanto fondamentale per traghettare verso il nuovo millennio una generazione cresciuta con hip hop ed elettronica applicata: Korn e Deftones a braccetto con soul e pop, depressione e leggerezza, pestoni e carezze scanditi dai battiti del mai troppo elogiato Morgan Rose. I fasti di Seasons e Animosity son più vicini rispetto al passato recente, in virtù di un ritrovato equilibrio melodico che brilla sin dall’apertura di “I Might Let The Devil Win”. Infallibili.
(Oiled)
BEGRAVEMENT – Horrific Illusions Beckon (Indipendente) – usciva l’11 agosto
Col classico mostrone in copertina, arrivano dal Minnesota questi ragazzi che producono un album tutto da soli e lo spargono in giro per il mondo, riuscendo a raggiungere le latitudini italiche grazie ad internet e al passa parola. Un debutto sulla lunga distanza, dopo qualche demo e un EP, che fa decisamente il botto. Death metal tecnico, violento e virulento, con un sacco di idee e di bellissimi riff, alla vecchia maniera, senza voler strafare nel diventare eccessivamente cervellotici e intellettuali. Forse una proposta che addirittura rischiava di mancare, quantomeno per l’attitudine diretta e senza fronzoli che questi ragazzi sono in grado di offrire. Inevitabili le influenze dei maestri e padri fondatori del genere (Death, Morbid Angel su tutti, ma anche tanto altro sparso nell’universo metal), il tutto condito da una tecnica notevole che, però, è sempre al servizio delle idee e delle canzoni e non diventa quasi mai centrale e sbrodolosa. Francamente si sentiva quasi l’esigenza di un gruppo così, in una scena ormai troppo popolata da eccessi (intesi come voglia di stupire) qualcosa di così sincero e diretto, colpisce proprio nel cuore chi cercava quel …Tanta roba.
(Enkindled)
SPIRIT ADRIFT – Ghost at the Ghallows (Century Media) – usciva il 18 agosto
Prolifici e bravi, tornano gli Spirit Adrift con il loro quinto disco “Ghost At The Gallows”, intriso dalla formula ormai sperimentata e validata empiricamente della mente del progetto Nate Garrett, ovvero un ibrido tra Heavy metal, Doom e tanto spirito hard rock. Ho ascoltato questo album in una giornata di costrizione a letto causata da una febbre parecchio faticosa per tentare un approccio nuovo (anche se spero non avvenga di nuovo a breve) e devo dire che la combinazione di splendidi riff, armonizzazione e linee melodiche delle chitarre, cambi improvvisi e nel complesso una riuscita del progetto a 360 gradi, mi hanno consentito di avere un anelito di caro vecchio heavy metal per gettarmi alla scrittura. Attenzione: di vecchio o già sentito qui c’è poco. Da ascoltare! (Vittorio Manzone)
GRAND CADAVER – Deities Of Deathlike Sleep (Majestic Mountain Records) – usciva il 25 agosto
Ci sono voluti solo due anni agli “Stanne & Friends” per dare un seguito al debutto Into the Maw of Death. Che poi, “debutto”, per gente navigata come quella presente su questo disco è un po’ eufemistico. E proprio per questo l’ascolto parte già con aspettative di alto livello, perché, in fondo, penso di potermi aspettare qualcosa di più della media. Ok, i presupposti del gruppo erano “ci vogliamo divertire a suonare death metal alla vecchia maniera”. Che poi è un po’ un’esigenza abbastanza diffusa ultimamente, quasi che avessero capito che la cosa “tira” abbastanza sul mercato e poi perché, sotto sotto, quando sei un metallaro a fare troppo il sofisticato con le band madri (chi ha veramente convinto l’ultimo dei DT?) rischi di stufarti e finisci per cercare un po’ di marciume e di blast beat. Ebbene, disco piacevole, ben confezionato e con tutti i crismi del caso, forse solo Stanne un po’ più rauco del solito e forse un po’ in difesa. Se cercavate quel piglio, quello spunto, quel quid particolare rimarrete delusi, perché qui ci sono soltanto 10 tracce di death vecchia scuola (e nemmeno troppo ricercato o originale). Se invece vi volevate svagare per una mezz’oretta scapocciando, allora fa al caso vostro. Copertina di Linus.
(Enkindled)
STAIND – Confessions Of The Fallen (Alchemy Recordings/BMG) – usciva il 15 settembre
Un po’ fuori dal contesto classico metal, anche del sottoscritto, ho forse deciso di concentrarmi su altro e non parlare di quello che è l’ottavo disco per gli Staind. Il loro genere post-grunge mi ha sempre ammaliato, non sono sicuro del perchè. Forse la voce caratteristica di Aaron Lewis, forse perchè rispetto altri gruppi del genere riescono ad evocare una grinta eccelsa che non si trova in tante altre formazioni. Brani come “Cycle Of Hurting” o “Out Of Time” hanno tutte le sfumature della formazione del Massachussetts. Formazione pressoché stabile, batterista escluso, continuano a sferrare un groove che punta tutto sulla sezione ritmica. Un altro gruppo che riesce a fare bene questo lavoro forse sono i Disturbed. I lenti sono forse i pezzi con più pathos e anche questa volta abbiamo i brividi su “Here And Now” e “Better Days”. A 12 anni dal precedente e autocelebrativo disco, è quello che considero davvero un grande ritorno. Ascoltato con colpevole ritardo, non potevo non inserirlo tra i grandi esclusi 2023.
(Ivan Gaudenzi)
BRUJERIA – Esto Es Brujeria (Nuclear Blast) – usciva il 15 settembre
Pochissime le perle rilasciate dai Brujeria dal 1989. Un thrash onesto e schiacciasassi in arrivo dalla California più latina che si possa immaginare. Era settembre la data di uscita di Esto Es Brujeria e probabilmente ero in piena organizzazione del Metal Fortress Festival a Gradara altrimenti non si spiega il motivo di questa grande esclusione dai dischi in uscita nel 2023. Sicuramente candidato alla categoria top album, questo album dotato di 16 brani è un viaggio nel Sud America più cattivo che si possa immaginare. Cantato totalmente in spagnolo, colorito da parolacce e linguaggio di strada, questo disco è quanto di più politicamente scorretto possa uscire in questi tristi anni dove siamo spesso troppo giudicati. Mi spiace doverne fare solo una pillola perchè andrebbe approfondito tutto il contesto di titoli, testi e tutto ciò che si nasconde dietro quanto espresso dal microfono di Juan Brujo e Sangròn. Nuova in formazione La Encabronada, la si può sentire particolarmente aggressiva nella “Bruja Encabronada”. Chiusura con “Cocaina”, rivisitazione del brano di JJ Cale reso famoso da Eric Clapton. Tutto questo è stregoneria, magia, è Brujeria! Ola Mexico Cabròn!
(Ivan Gaudenzi)
PRONG – State Of Emergency (Steamhammer/SPV) – usciva il 6 ottobre
Tommy Victor è tornato a casa, lì dove tutto è cominciato. Ha trovato vecchi amici, ha ritrovato determinazione. State Of Emergency è maturato nell’ombra, tredicesimo artificio assemblato da magli d’acciaio nell’immane fucina sonica della Grande Mela: al suo interno, senza mai desistere, questo maestro del riff ha accudito per decenni un vero titano, misconosciuto Prometeo del metal moderno. Riaffiora la vena hardcore, mentre sfumano, tra ritmiche industrial, armonici al veleno e giri thrash trasudanti groove, le licenze melodiche concesse negli anni Dieci. Nessun inasprimento gratuito, tanta voglia di blandire con linee d’un decadentismo tribale – di matrice new wave –, da sempre perni di una trama a lungo ricalcata, senza successo, da frotte di epigoni. Per affilare come rasoi i rebbi della forca è bastato rituffarsi con piglio filologico nel cuore della propria discografia, commentandone i capitoli più significativi: durante l’ascolto scivolano – a mo’ d’involontaria autocitazione o con intento autocelebrativo, poco importa – le metriche secche di Beg To Differ e Prove You Wrong, Cleansing e Rude Awakening, punti cardinali di una carriera comunque inattaccabile; e c’è pure spazio per l’omaggio che non t’aspetti, “Working Man”: Rush + Killing Joke = Prong? Fondamentali.
(Oiled)
ELDRITCH – Innervoid (Scarlet Records) – usciva il 17 novembre
Il lutto per la separazione da Terence Holler ha richiesto un’elaborazione meno straziante del previsto. Innervoid suona Eldritch al 100%, e svetta luminoso sulla produzione recente del gruppo toscano anche per merito di Alex Jarusso. Il viareggino ha un timbro meno personale, ma tecnica ed espressività da fuoriclasse assoluto. Che la paura di deludere le aspettative abbia spinto ad uno sforzo creativo straordinario? Dieci le testimonianze a favore, e alcune sono illuminanti, come i cinque minuti di metal neoclassico-futuristico (!) di “Born On Cold Ash”, il romanticismo dark di “Wings Of Emptiness”, il synth-pop progressivo di “From The Scars” e infine “Black Bedlam”, un brano archetipico da tramandare ai posteri: strofe che mesmerizzano, ritornello celestiale, ponte in crescendo, assolo che toccano i precordi… Eugene ed Oleg ambasciatori dell’eccellenza italiana nel mondo! Un HMW Top Album retroattivo. Fenomenali.
(Oiled)
PARADISE LOST – Icon 30 – usciva il 01 dicembre
Sento il dover di parlare di questo sfortunato capitolo solo per onestà di cronaca giornalistica. Ci si potrebbe imbattere per errore, magari non conoscendo tutta la discografia dei Paradise Lost in questo Icon 30. Ebbene si, come già hanno fatto altri gruppi in passato, per la celebrazione di certi capolavori, i gruppi hanno scelto di risuonare alcuni dischi che forse era meglio lasciar stare. Mi chiedo infatti. Perché dover andare a ritoccare ciò che è nato già perfetto? Persino le registrazioni e le sonorità di 30 anni fa, dimostravano di essere già all’altezza. Non avevamo bisogno di modificare brani come “Embers Fire” o “True Belief” dove la batteria soprattutto, svolge un lavoro molto diverso da quello più decadente del 1993. Proprio il batterista è stato sempre il tallone d’Achille del gruppo di Halifax, sostituito senza mai ritrovare il Matthew Archer della situazione. Alcuni pezzi come “Remembrance” non hanno invece subìto grandi cambiamenti e per l’appunto, andavano bene così com’erano stati scritti. Nel bene e nel male, non credo che avessimo bisogno di questo Icon 30, ma era giusto parlarne.
(Ivan Gaudenzi)
DIMMU BORGIR – Inspiratio Profanus (Nuclear Blast) – usciva l’08 dicembre
I Dimmu Borgir. Come mai nessuno dei redattori ha deciso di affrontare un disco di cover, partorito da Shagrath, Silenoz e Galder? Sicuramente curiosa la scelta dei brani e dei gruppi selezionati negli anni. Sì perchè questa è una collezione di brani già eseguiti in passato, riassemblati per questa uscita discografica. Se in “Black Metal” dei Venom e “Satan My Master” dei Bathory ho potuto trovarci delle buone idee di trasformazione, è sui brani più heavy metal che credo che i Dimmu si siano divertiti di più. “Burn In Hell” dei Twisted Sister ha un bel tiro, così come “Metal Heart” degli Accept, oscura e atmosferica, come fosse un vero pezzo in stile symphonic black metal, nonostante la sua composizione originale con tanto di assolo riarrangiato assieme alle evocative tastiere. Obbligatorio? Non direi. Divertente? Forse, ma evitabile.
(Ivan Gaudenzi)
CHILDREN OF BODOM – A chapter Called Children Of Bodom (Spinefarm Records) – usciva il 15 dicembre
Inutile girarci intorno. A fine anno chiudiamo con un disco dal vivo. L’ultimo concerto dei Children Of Bodom, o di quello che era rimasto del gruppo nel 2019, prima dello scioglimento. Questo e l’EP dei Bodom After Midnight sono il lascito testamentario di Alexi Laiho prima della sua scomparsa. L’artista finlandese è infatti scomparso ormai 3 anni fa, tormentato dai suoi demoni e dalla sua malattia che lo ha portato a spegnersi drasticamente il 29 dicembre del 2020. Purtroppo non posso dire che questo sia il concerto migliore della sua carriera. Li avevo già visti fuori forma sia a livello compositivo che sul palco, ma nonostante questo, la preparazione e lo stile del chitarrista sono sempre state innegabili. Mossa commerciale evidente, sia come celebrazione che per tirare su qualche soldino extra, ma la motivazione non è così importante. E’ bello sentire la voce di Alexi per l’ultima volta, ma per quanto mi riguarda resto legato al primo disco dal vivo in Giappone con un Lahio carichissimo e una discografia perfetta nonostante ancora acerba. Recitava “Good Evening Tokyo! We’re Children Of Bodom and we come from fuckin’ Finland”, proprio subito dopo il primo pezzo “Silent Night, Bodom Night” e in introduzione a “Lake Bodom”. Li vidi per la prima volta a Pinarella di Cervia in un piccolo locale di supporto al disco Follow The Reaper e fu una gran scaletta con una performance semplicemente perfetta. Preferisco ricordarli con quel Tokyo Warhearts che più si avvicina a quello che ho provato quella notte dove i Children Of Bodom erano un fiume in pieno all’apice della loro carriera. Riposa in pace Alexi!
(Ivan Gaudenzi)
e per chiudere altre due pillole dal passato meno prossimo…!
WORM – Bluenothing EP (20 Buck Spin) – Usciva il 28 ottobre 2022
E chi li conosceva questi Worm (nome parecchio utilizzato nel nostro genere)? Personalmente ammetto ignoranza, ma nonostante il tempo ridotto, si trovano sempre spunti interessanti. Gruppo (più duo che altro) dedito ad un’interessante ibridazione tra un black metal ferale e un quasi funeral doom, il tutto con atmosfere molto “grim” e tetre. Proposta intrigante, soprattutto per le capacità chitarristiche che vengono sfoggiate, dove la nera pece che viene versata si mescola alla perfezione con melodie e sprazzi di ariosità convincenti e mai posticci. Non mancano i momenti più “tastierosi” e puramente black, come anche certi passaggi più groove, il tutto amalgamato molto bene e con uno spirito iniettato di lento incedere verso la morte. Scoperta notevole, della quale andrò a recuperare i lavori precedenti e, soprattutto, lo split del 2023 con un’altra fulgida realtà dell’etichetta americana : i Dream Unending. Rivelazione.
(Enkindled)
ATRAMENTUS – Stygian (20 Buck Spin) – usciva il 21 agosto 2020
Qui il ritardo è più consistente, ma di fronte ad una copertina spettacolare come questa e sapendo che i nostri propongono un funeral doom senza compromessi, non ci facciamo prendere dai formalismi. La parte difficile è condensare un lavoro di 45 minuti di fatto suddivisi in due tracce, più una che è facile definire intermezzo, che è innegabile annoverare tra le opere mastodontiche. Ammetterete però che raccontare la permanenza nella palude Stigia, dove scorre appunto il fiume Stige (uno dei cinque che scorrono nell’inferno della mitologia greco-romana), non poteva essere fatto diversamente o meglio. Funeral Doom con le maiuscole, dove la pesantezza sulla schiena e sull’animo di chi ascolta sono quasi sopportabili rispetto alle coltellate che arrivano. Una musica struggente e decisamente pesante, epica e marziale, ferale e sordida, cupa e affliggente. Cocktail perfetto. Mattonazzo (in accezione positiva).
(Enkindled)