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Recensione scritta da René Urkus
Gli svedesi Axenstar hanno una carriera ormai più che ventennale, ma per un motivo o per un altro non hanno mai veramente sfondato, restando fra le seconde leve del power metal. Se penso ai primi dischi della band, e in particolare a quello che ritengo il loro capolavoro, The Inquisition del 2005, talora mi chiedo cosa non sia andato per il verso giusto, perché i nostri hanno un songwriting solido (e, per chi frequenta l’underground, anche abbastanza distinguibile): forse quella che è mancata è solo la scintilla, quel ‘quid’ che permette il salto di categoria, e che solo poche formazioni possono vantare.
La situazione si replica con questo Chapter VIII, che è un disco ben fatto, molto melodico, ben strutturato e appagante per l’ascoltatore: però finisce per attestarsi su un risultato ‘medio’, essendo privo, a mio parere, della canzone che faccia davvero emozionare. Un rapido esame della tracklist ce lo può dimostrare. “Heavenly Symphony” ci dà subito testimonianza di una band in buono stato di forma, che punta come sempre su melodie cristalline, tipicamente nordeuropee, ma non esenti da un certo afflato epico.
Ottimo ritornello per “The Great Deceiver”, arrembante “No Surrender”, ma la migliore linea di chitarra è certamente quella della cavalcata “Holy Land”. Incattivisce le atmosfere “The War Within” prima della chiusura, affidata alla galoppante “Life eternal”.
Tutto in ordine, dunque? Sì, Chapter VIII è quello che definirei – senza false ironie – ‘un buon disco di genere’, che si ascolta un paio di volte con piacere, ma poi finisce per non restare nella memoria.
Consiglio comunque un ascolto a chi segue la scena power, perché parliamo comunque di veterani che, se sono arrivati a un Chapter VIII, qualche merito lo dovranno anche avere!