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Poco meno di un anno fa assistetti alla data bolognese del tour europeo dei miei adorati Revocation, calatisi nel nostro Bel Paese per diffondere il verbo del “paradiso al di sotto” ovvero per presentare dal vivo l’ultimo disco Neaterheaven. Per quell’occasione i compagni di viaggio e di palco furono nell’ordine di apparizione gli Alluvial, i Creeping Death e i GoatWhore. Tralasciando momentaneamente (chissà cosa ci riserverà il futuro…) questi ultimi, mi posso vantare di aver recensito i rimanenti 3/4 di quella serata all’Alchemica Club. Anche se a dire il vero la recensione degli Alluvial è quella che state leggendo. Ci provo sempre a mettere un po’ di metanarrazione di mezzo nelle mie scritture, trovo che sia divertente. Spero che lo stesso valga anche per voi, adorati e affezionati lettori di Heavymetalwebzine.it!
Bene, dopo questi salamelecchi, riannodiamo il filo del discorso e passiamo a presentare la nuova uscita discografica dei deathster in questione, ovvero l’EP Death Is But A Door, tra le primissime novità discografiche del 2024 appena avviatosi. Va detto che in linea generale il suono dei quattro americani rimane nella suo nucleo primigenio immutato ma ne viene esplosa l’originalità che contraddistingueva già i precedenti capitoli The Deep Longing For Annihilation (2017) e soprattutto Sarcoma (2021), espediente che convinse proprio il gruppo di Dave Davidson a contattare gli Alluvial per il tour sopra menzionato.
Ora, si potrebbe discutere a profusione su quali siano gli ingredienti che definiscono un sottogenere ma non è questa la sede, perciò ci limiteremo ad accettare il fatto che gli Alluvial si muovano su coordinate progressive death metal o, per chi volesse osare, contemplando maggiormente l’effettiva contemporaneità dell’approccio compositivo del gruppo, possiamo spingerci a valutarli come djent. Fate vobis.
Io posso dirvi di mia sponte che questo EP di quattro tracce e poco meno di una ventina di minuti di durata è un prodotto non immediato al primo ascolto ma che, come il buon vino, matura con il passare del tempo (o meglio, degli ascolti). Già, poiché è abbastanza condivisibile il fatto che l’apertura affidata a “Bog Dweller”, la cui tematica riguarda qualcosa che gli amanti di John Milton dovrebbero conoscere bene (lascio a voi il piacere della scoperta dell’opera alla quale mi riferisco), risulti ostica per via del susseguirsi di riff ora veloci ed impestati, ora stoppati e sincopati sui quali si staglia l’aggressiva voce in growl di Kevin Muller che ci conduce nel giardino della canzone fino ad un finale convulso, quasi “cacofonico” ma ovviamente ben ideato e calzante con l’atmosfera del brano.
“Fogbelt” prosegue le tematiche “divine” (concedetemi la battuta) e ci presenta subito un graffio alla chitarra di Wes Hauch che unito alla giusta effettistica riesce a diventare elemento fondamentale di un brano teso e variegato nonostante si ripeta soltanto due volte all’interno della struttura di una canzone che sfoggia la possanza tecnica peraltro della sezione ritmica del bassista Tim Walker e del batterista Zach Dean.
“Area Code” potrebbe esser presa come rappresentazione efficace del prodotto in questione, grazie alla commistione efficace di parti veloci basate su giri di chitarra affilatissimi che sfociano più sovente che in altre situazioni nel death metal propriamente detto, anche se alcuni pignoli potrebbero contraddirmi chiamando in causa altri esempi legati al deathcore. Dettagli. Non è un dettaglio però la scelta di reiterare un breakdown potente ma non monolitico che si sposa bene con l’oppressione che il protagonista del testo avverte. Qui si sviluppa il miglior assolo di Hauch per quanto riguarda l’EP stesso.
La conclusiva ed omonima “Death Is But A Door” è la classica cartuccia da sparare quando si vuole dimostrare che si è in grado di cambiare rimanendo sé stessi. Difatti la canzone gira attorno ad una progressione di accordi che si presenta senza distorsioni ed una voce pulita, elementi che poi si andranno ad appesantire nel corso del minutaggio, a mano a mano che il tema del suicidio è sviscerato. Qui il pubblico di gruppi come Fit For An Autopsy e Gojira potrebbe scorgere somiglianze piacevoli e decidere di tentare la via degli Alluvial.
Insomma, preferisco ribadire che, a meno di una certa propensione per le sonorità moderne, non sarete subito affascinati da Deah Is But A Door… ma vi suggerisco di lasciar scorrere più volte l’opera nel vostro stereo per apprezzarne le intenzioni e l’esecuzione, in attesa di scoprire che cosa confezioneranno gli Alluvial nel prossimo futuro.