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Recensione scritta da René Urkus
Basta avviare l’ascolto di A Warrior’s Way, il secondo album degli Evilon, per rendersi conto che i nostri sono scandinavi: la matrice del sound è evidentissima, e per quanto non parlerei di viking metal, i nostri si rifanno certamente a quel filone death/folk/(power) che ha negli Ensiferum e nei primi Wintersun i maggiori termini di riferimento. I nostri citano fra le proprie ascendenze anche gli Amon Amarth, ma sembra che l’unico vero legame sia il cantato profondo di Tor, che rimanda inevitabilmente a Johan Hegg; gli Evilon non hanno quella violenza sonora che si riscontra ancora, nonostante il relativo ‘ammorbidimento’ del sound, nei vichinghi di Stoccolma.
La tracklist allinea undici brani, tutti di durata abbastanza contenuta. “Yggdrasil” è forse il pezzo più ‘leggero’ del lotto, con un godibile tappeto di synth e un refrain relativamente semplice, ma efficace. In ogni caso possiamo dire, come già si accennava, di essere dalle parti degli ultimi Ensiferum, ma con un cantato più profondo e gutturale. Molto bella “Jotunheim”, che esalta la dimensione folk delle sonorità; le tastiere e i synth si ricavano nuovamente ampio spazio in “Walk Of The Damned”, a testimoniare la loro rilevanza e l’amore per i nordeuropei. Struggente la linea portante dell’epica “A Warriors Way”, che potremmo ritenere la ‘semiballad’ del lotto; incalzante ed energica “Foreign Land”, mentre “My Runestone” sfiora il black metal. Con l’epicità di “Valkyria” si chiude un album buono, ma con un difetto: l’estrema omogeneità dei brani. Agli Evilon sembra mancare il coraggio per lanciarsi in una composizione più lunga, variegata e originale.
Il risultato finale è così godibile, ma mancante di quel ‘quid’ che fa la differenza. E con un mercato che definire affollato è un eufemismo, il ‘solito’ rischio è quello di dare qualche ascolto, ritenere la proposta semplicemente piacevole, e passare avanti.