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Recensione scritta da René Urkus
Nati da una costola degli InnerWish, una delle più apprezzate formazioni heavy/power elleniche, i Diviner si sono poi rimodellati attorno alla figura di Yiannis Papanikolaou, singer grintoso e di talento, e danno oggi alle stampe il proprio terzo disco. Ho ascoltato a suo tempo il precedente, Realms Of Time, del 2019: devo dire che mi lasciò una buona impressione complessiva, ma senza nulla che mi colpisse in maniera particolare. Avaton appare nel complesso più incisivo: vediamo perché.
Dopo la intro acustica, “Mountains High” apre bene il disco con un piglio alla Iced Earth, ma qualcosa di palpabilmente ellenico nella struttura, nel cantato e nel modo in cui è concepito il ritornello. C’è più melodia in “Cyberwar”, mentre ci affascinano i cori maideniani della ruvida “Dominator”. “Nemesis” è una canzone tirata e arcigna, ai confini del power/thrash; e fin qui, come dire, il disco è buono anche se non decolla veramente – esattamente come il suo predecessore. Sono gli ultimi due brani, entrambi lunghi (attorno agli otto minuti), ad elevare esponenzialmente il valore dell’album. “Hall Of The Brave” è un brano esteso, oscuro, con parti potentemente evocative, ancora nel solco degli Iced Earth, ma di nuovo con un passaggio strumentale in crescendo con un’anima ellenica. Con “The Battle Of Marathon”, invece, i nostri celebrano la più pura gloria greca con una canzone che non esito a definire epica (per quanto non epic metal), giocata su toni potenti e marziali.
Preso dunque nel suo complesso, “Avaton” ha i numeri per superare le uscite di genere e attirare l’interesse degli appassionati del power, così come di certo heavy metal classico ma non troppo old school, cioè quello che tiene conto delle evoluzioni del genere negli anni ’90.