CLASSIX / CLASSIX METAL – Francesco “Fuzz” Pascoletti


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Confesso di aver pensato di intervistare Francesco Pascoletti detto il “Fuzz” da parecchio tempo perché l’ho sempre ritenuto un grande intenditore di metal oltre che un ottimo e preparato giornalista musicale. È anche una continua fucina di idee, sempre originali e innovative, un uomo sincero, schietto, senza peli sulla lingua perché dice quello che pensa senza farsi condizionare dalle mode o dai giudizi altrui. L’occasione è arrivata, finalmente, quando ho saputo del nuovo corso della sua bellissima rivista Classix Metal, ormai uscita dalle edicole e disponibile solo su internet con dei piacevoli extra riservati agli abbonati. Il Fuzz, loquacemente, ha parlato del suo prodotto, qualitativamente migliorato ma anche, inevitabilmente, del suo passato e di quello che pensa su alcuni argomenti. Mi ha fatto aspettare, ma leggendo il risultato finale della nostra chiacchierata e delle curiosità che sono emerse penso ne sia valsa la pena.

 

Buona sera ragazzi, vi ringrazio della pazienza che avete avuto nell’aspettare queste mie risposte. Pazzesco, è una vita che io combatto con una insopportabile tipologia di artista, quello lento, noioso, pedante, che non ti risponde, che si fa attendere, che addirittura dovrebbe stare lì a fare promozione a una sua uscita… e ora mi trovo a macchiarmi della stessa colpa e vi ho fatto attendere settimane! A mia giustificazione, e così entriamo già nel vivo dell’intervista, vi dico che mi avete catturato nell’occhio del ciclone, ed è un gran bel ciclone che si chiama Wantlist, ovvero la nostra rivista gratuita, totalmente gratuita, che abbiamo stampato in 3.500 esemplari e mandato in ormai più di 200 negozi di dischi italiani, letteralmente dalla Valle D’Aosta alla Sicilia. È il quarto volume di questo nostro giornale che è dedicato solo e soltanto alle recensioni. I numeri precedenti li abbiamo spediti agli abbonati gratuitamente, con questo, che ha iniziato la distribuzione alle fine di Dicembre, abbiamo voluto esagerare e fare un bel regalo di Natale o di inizio anno a lettori e soprattutto, spero, non lettori come allo stesso tempo supportare i negozi di dischi. Sono stati giorni pazzeschi, abbiamo avuto un feedback veramente veramente veramente notevole, molti negozi hanno voluto un secondo invio di Wantlist, altri negozi (che non erano nella lista originale di 200 punti vendita) hanno richiesto la rivista, si è fatto vivo un secondo distributore che in futuro affiancherà Audioglobe, che è il nostro partner distributivo principale, e vuole portarci in altri 150/180 negozi. Ovvio, è un prodotto gratis, mi rendo conto che ormai siamo in tempi dove, se anche la cacca è gratis, tutti ne vogliono un pezzo (!!), ma chiunque ha preso Wantlist ne ha apprezzato lo stile, la qualità, l’impaginazione, le foto… Insomma è un giornale vero e proprio, non è un foglietto di carta velina con quattro parole scritte sopra. La cosa divertente è che in redazione all’inizio dell’avventura Wantlist ci siamo detti: “il risultato più bello sarebbe sapere che, chi magari non li frequenta regolarmente, è entrato in un negozio di dischi magari solo con la scusa di prendersi la rivista gratis”. Ebbene, questo è accaduta davvero molte volte, ce lo hanno detto moltissime persone e anche gli stessi negozianti. Quindi, se nel nostro piccolo siamo riusciti a smuovere qualcosina, questo ci rende veramente felici e ci spinge a continuare.

 

Innanzitutto, toglimi una curiosità. Hai un passato e un presente importante nell’ambito editoriale e radiofonico, quindi vorrei sapere come ti consideri attualmente, se più direttore, editore o giornalista?

Bella domanda, interessante perché mi porta a riflettere sul mio stesso lavoro. Forse, con un briciolo di presunzione, io considero il mio e quello di chi fa il mio stesso mestiere, un’attività artistica. Un giornale, che ovviamente è frutto delle capacità di tante persone, è la sintesi di tante idee, di tante proposte, è una specie di orchestra, è una strana forma multiforme che cambia e si evolve, insomma, io la considero una vera e propria opera d’arte. Anche se non siamo sul palco, il nostro è un lavoro creativo: letteralmente creiamo dal nulla un prodotto, un oggetto che la gente comprerà, toccherò, condividerà, farà proprio, conserverà. Poi, nei fatti, oggi sono un po’ meno giornalista e sono più un “regista”, come detto faccio da creatore/motore generale di tutti gli argomenti e gli articoli che poi comporranno uno dei nostri numeri. Negli anni mi sono tolto un po’ tutti i desideri giornalistici che avevo, ad esempio oggi non mi interessa più fare interviste, o se le faccio sono per i nomi anche piccolissimi o tutto sommato marginali della storia del rock o del metal, ma che per me sono eroi o lo sono stati per il Fuzz adolescente. Oggi mi piace soprattutto scrivere delle retrospettive, io le chiamo “storie”, cercando di far entrare il lettore anche nell’epoca, nel momento, negli umori, nel profumo (o nella puzza) di quello di cui sto parlando. Negli ultimissimi tempi mi sono sbizzarrito con circa 20 pagine su Classix eXtra! su una delle mie band preferite di sempre, gli australiani The Angels, e ho esagerato con un articolo su Classix Metal eXtra! dedicato a un’etichetta minore ma per me, così caratterizzata, così particolare della NWOBHM, la Ebony Records: “solo” 29 pagine!

 

Hai pure lavorato in Tv su Rai 2 in un programma chiamato: “My compilation”, idea musicale co-prodotta in collaborazione con gli “specialisti” di Match Music come autore e conduttore. Che ricordi hai e che cosa hai imparato dal mondo della Televisione? Ti sarebbe piaciuto continuare quella carriera o non rimpiangi nulla di quel periodo?

Per un ragazzino come me, nato e cresciuto a Viale Mazzini a Roma, quindi tra la sede della Rai, gli studi di via Teulada, il Teatro Delle Vittorie, dove si registravano tutti gli spettacoli del sabato sera televisivo, il cosiddetto mondo dello spettacolo non è mai apparso come una chimera chissà quanto lontana o un mondo irraggiungibile. Anzi, era raggiungibilissimo, immagina, che davanti alla mia scuola media, c’era (e c’è ancora) un bar celebre, Vanni, dove ogni giorno potevi incontrare ogni tipo di attore, cantante, e musicista. Uscivo da scuola e vedevo la rockstar o la diva del cinema sexy dell’epoca bersi tranquillamente un cappuccino. In più c’erano anche tutti i calciatori, perché nello stesso palazzo c’era la sede della Lazio! Logicamente, visto che ce l’hai dietro l’angolo, ti viene voglia anche a te di fare davvero parte di quel mondo o, non so, fare l’attore, anche perché da ragazzino mi era capitato di fare delle cose per la tv dei ragazzi… Poi però, quando ti ci trovi davvero dentro, in un modo inaspettato (perché il mio ingresso a Match Music e poi alla Rai è stato senza grossi provini, attese, richieste o chissà che altro), vedi le cose da tutta un’altra prospettiva. ‘My Compilation’, che andava in onda su Raidue tutti i giorni per circa 40 minuti, è stata un’esperienza formativa spettacolare, faticosissima, letteralmente sfiancante dal punto di vista non solo del lavoro ma anche psicologico, perché mi trovavo sempre ad affrontare situazioni in cui dovevo dare il meglio, essere sempre positivo o propositivo e sempre con qualcuno che ti voleva (figurativamente) fottere. Anche se l’esperienza è stata breve, credo che mi abbia insegnato non poco di quello che più o meno accade nel mondo soprattutto della televisione, dove hai immediatamente un’esposizione enorme. Ho capito che non sono tutte rose fiori e che non ne ero tagliato o che, con il mio carattere, non ce l’avrei fatta. Poi vabbè, la vita è paradossale, pensa che mia moglie, dopo aver lavorato a lungo in un altro settore, da qualche anno fa l’attrice.

 

Visto che ami le rubriche impertinenti (penso solo a Heroes, su Classix Metal), avrai ormai capito che anche noi ne stiamo aprendo una dal titolo “facciamoci i fatti tuoi”. Come è nato il tuo amore per l’hard rock e il metallo pesante?

Come dire, è il rock che ha scelto me, frase scontata e banale ma nel mio caso vera. Il mio primo approccio è stato letteralmente basato sull’iconografia, sull’immagine del rock, senza avere la minima idea di che fossero quei gruppi, cosa suonassero o a che genere appartenessero. Da bambino avevamo una specie di capanno degli attrezzi in cui mio padre aveva stipato le centinaia di riviste di stereofonia che si era comprato nel brevissimo periodo in cui sta era stato un audiofilo. Probabilmente saprai che la razza bacata degli audiofili prima di comprarsi uno stereo si informa anche su qualunque micro-micro-componente elettrica (non dico elettronica, perché sto parlando della fine degli anni 70) o se le manopole dell’amplificatore sono in zinco cromato o in bronzo pressofuso, poi, dopo che finalmente si sono comprati il loro stereo, gli audiofili prendono tre dischi tre, solo per sentire se i bassi superano non so che megahertz… e poi lo lasciano lì a prendere polvere. Follia a cui mio padre fortunatamente si sottrasse presto. Queste riviste avevano preso umidità e si erano appiccicate l’una con l’altra, erano diventato un unico colossale volume di 800 pagine dove, terminata la parte tecnica, avevano delle eccellenti sezioni musicali con interviste, molte recensioni o articoli ovviamente sugli artisti dell’epoca. Era il periodo della new wave, del post punk, mentre dall’altra parte dell’America ancora sopravviveva l’amore nei nostri giornalisti musicali, anzi, la devozione per tutto quello che fosse legato a Neil Young o CSN&Y, mentre era già obbligatorio affossare qualunque cosa avesse retaggi prog e prendere per il culo l’hard rock, usando sempre le stesse definizioni di “rumore”, “urla”, “musica ignorante” ecc. ecc. Io mi divertivo tantissimo a leggere le recensioni e avevo la curiosità folle di poter un giorno ascoltare tutta questa roba su cui non avevo la minima idea di come potesse suonare.

Quando hai cominciato a scrivere e per chi? Se non erro, Metal Shock. Che ricordi hai? Positivi o negativi?

Impossibile dire che l’esperienza di Metal Shock, che per me è iniziata come collaboratore nel 1990 e come caporedattore nel 1994, non sia stata più che positiva. Una rivista quindicinale, di 96 pagine (o erano 84?), che doveva mantenere degli elevatissimi standard di qualità e che all’epoca vendeva quello che oggi neanche nei sogni erotici (o nelle balle più ridicole) di certi caporedattori ed editori si può vendere, è ovviamente stata la migliore delle scuole, anzi, delle università. Ma anche una fatica della madonna! Come sai, la rivista usciva ogni due settimane e praticamente per i due anni cui sono stato caporedattore credo di non aver avuto un weekend libero, perché nel normale orario di lavoro, diciamo dalle 9 o dalle 10 alle 17 non riuscivamo a terminare il numero… e quindi lo dovevo chiudere io a casa, nel weekend. Tra l’altro questi “straordinari” (senza ovviamente percepire una lira) li facevo in ufficetto che mi ero ricavato in un posto senza riscaldamento, quindi non hai idea delle influenze e dei raffreddori che mi sono beccato pur di chiudere quei cazzo di numeri! Ripeto, fu un’esperienza splendida (raffreddori e weekend rovinati a parte, la mia ragazza dell’epoca, oggi moglie, doveva davvero amarmi…), anche perché nei ‘90 le riviste vendevano tanto, forse sono stati gli anni di maggior successo per MS e gli altri. Le case discografiche capivano l’importanza di queste riviste di settore, perché vedevano che in Italia stava crescendo enormemente l’interesse per il metal. Allo stesso tempo, è stato un periodo molto frustrante, perché, quando ho capito che all’editore in realtà della rivista non importava niente, era un suo modo per tenere in piedi un business proficuo e dargli la possibilità di avere tutta un’altra serie di interessi e vantaggi, mi è sembrato come di lottare contro i mulini a vento. Non sono mai stato il metallaro duro e puro che va a dormire con il pigiama dei Priest o il rockettaro che basta che gli fai ascoltare gli AC/DC e gli va bene tutto, anzi, ho cercato di stare sempre lontano da questa mentalità con i paraocchi, non dovevo essere difensore di nessuna fede, ma vedere che all’editore di ben due riviste musicale, Metal Shock e Flash, non gliene fregava assolutamente niente di queste, anzi diciamolo, sui metallari ci avrebbe anche sputato sopra, mi ha fatto disamorare di quell’esperienza E mi ha portato a cercare la mia strada… Fortunatamente quella è stata anche una lezione: senza Metal Shock oggi probabilmente avrei fatto una noiosissima carriera giornalistica da qualche altra parte oppure lavorerei ancora in pubblicità (dove però guadagnare il triplo di quello che ho mai guadagnato con l’editoria), quindi anche le cose brutte di Metal Shock mi sono servite a crescere. Grazie a quelle ho preso delle decisioni, ho seguito la mia strada e dato vita ai miei progetti, come è stato con Psycho! e poi Classix, :Ritual:, Classix Metal, Rrazörr e oggi Wantlist.

 

Secondo te quale oggi il ruolo del giornalista musicale rispetto al passato?

Domanda interessante, ma posso rispondere soltanto considerando il mio vissuto personale. Se tu fai il giornalista spinto dalla voglia pazza di parlare di qualche cosa che credi di conoscere solo tu, da una curiosità inesauribile, dal desiderio di comunicare e condividere il tuo entusiasmo per un artista, un disco o una canzone o sei sempre alla ricerca di qualcosa che possa dare un granello in più alla musica di oggi rispetto a quella di ieri… beh, se tu sei così, il passato o il presente o il futuro sono un’unica cosa, il tuo lavoro non cambia. Il passato… sappiamo tutti come era il passato dell’informazione giornalistica o musicale, di quando non c’era internet, non c’era possibilità di avere e sapere tutto e subito, di vivere quasi nell’ansia dell’informazione, sempre con un cellulare che ci dà una notifica dietro l’altra, anche se poi parliamo di notizie sempre confuse e filtrate, che si contraddicono, si accavallano, sì mescolano a commenti personali e mezze verità… In passato come lettore avevi una manciata di giornalisti di riferimento, se ti piaceva il loro stile, se condividevi il loro pensiero era ancora meglio, perché era come avere un amico che ti raccontava come stavano le cose. Anche se restiamo nel campo piccolo, piccolissimo del nostro microsettore, diciamo che i giornalisti avevano un potere molto molto grande, oggi inimmaginabile, se non per certi influencer da milioni di contatti. Non voglio esagerare, ma c’era quasi un potere di vita o di morte (oppure semplicemente di un buon numero di copie vendute) su un disco o una band. Ovviamente c’era la tua parola e basta e non c’era nessuno Spotify, nessuno YouTube, nessun mp3 nessun TikTok che ti permettesse di ascoltare tutto e subito. Soprattutto negli anni di Psycho!, mi sono reso perfettamente conto che le nostre parole avevano un valore anche economico! Le etichette chiamavano ogni settimana per sapere se quel disco poteva essere top album o disco del mese, perché significava sicuramente X copie vendute. E allo stesso tempo, il giornalista era intoccabile, al riparo da ogni critica, infallibile! Dicevi la tua grandissima cazzata e confondevi un chitarrista con un altro? Buttavi giù un commento superficiale e sballato? Tutto ok! Al limite c’era chi aveva la pazienza di scriverti la letteraccia via posta… ma tu hai mai visto pubblicata fra le lettere alla redazione qualcuna in cui si criticava l’incompetenza di questo o di quel giornalista? Tieni presente che ci sono fior di giornali e fior di giornalisti della famosa “epoca classica” del rock e metal italiano che si sono inventati delle autentiche panzane su cui la gente ancora oggi ricama e favoleggia… e non sa che sono o scopiazzature vergognose e sbagliate di quanto veniva scritto all’epoca da riviste straniere, oppure vere e proprie illazioni buttate lì! Da queste mie parole spero non emerga una nostalgia per quell’epoca! Ovviamente eri molto più libero dal giudizio e molto più “giornalista”, se vogliamo, ma io vivo benissimo e perfettamente la mia era, anche perché ritengo che quello di Classix e Classix Metal, concedetemelo, sia un giornalismo probabilmente migliore della media di quello degli ’80 e ’90, di quando eravamo lettori noi o abbiamo iniziato questo lavoro.

 

Hai cercato sempre di differenziarti dalle altre riviste di settore e allontanarti da chi pubblica sempre le stesse cose. Penso per esempio a Psycho, Ritual e soprattutto RRAZÖRR di fine 2020, dedicato al metal underground contemporaneo. Alla fine, questo lavoro paga o in un certo senso sei pentito di determinate scelte? Penso in particolare alla visibilità da te data ai gruppi italiani e in particolare quelli del passato che non sembrano tanto entusiasti di essere ricordati (ebbene sì, ci riferiamo proprio ad una tua uscita sui social di qualche tempo fa…).

Partiamo dalla fine: grazie a Dio la visibilità data o non data ai gruppi italiani è solo una parte molto relativa del mio lavoro. Se avessi dovuto fare, appunto, questo lavoro pensando solo ai gruppi italiani o basando la mia attività su questi, credo che avrei smesso (o avrei avuto così pochi lettori da obbligarmi a smettere) da tanti tanti anni. Io non mi sono mai posto all’ascolto di una band o di un disco dicendo a me stesso: “questi sono italiani, questi sono polacchi, questi sono finlandesi e quindi sono fighi a priori”, assolutamente no! Per me, fin dalla prima ondata del nuovo italian metal (quello post-80, post ingenuo, post-lontana periferia del metal, per intenderci), una band italiana era solo una band, poteva essere eccellente o fare schifo come qualunque altra band di qualunque altro posto. Ieri come oggi, ponendomi all’ascolto o dovendo dare un giudizio non parto mai prevenuto o con eccessivi entusiasmi che poi non corrisponderanno alla realtà. So per certo che il mio e nostro lavoro ha continuamente dato, per oltre TRENTA anni, MOLTO spazio alla scena italiana di qualunque tipo. So per certo che ci sono gruppi che con gli articoli di Psycho! hanno avuto un’esposizione fondamentale per l’evoluzione della loro storia e carriera. So anche che potrei fare nomi e cognomi (ma nemmeno se lo meritano) di gente che è stata letteralmente resuscitata dalla loro tomba di sottovalutazione e dimenticatoio grazie ad alcuni grossi articoli retrospettivi del nostro Classix Metal, ma che dopo non ci hanno neanche detto “grazie”, ma uno piccolino, mica un “GRAZZZZIEEEE!!!!”. Chissà, forse certi signore e signori del glorioso, ehm, metal italiano del passato, nel passato ci sono rimasti. Vivono in un mondo totalmente irreale o in una loro sfera un po’ patetica e del tutto personale e forse di questi articoli non se ne sono neanche accorti… anche se dubito. Certo che lavorare su articoli retrospettivi, cercare foto, dettagliare carriere e discografie, ricostruire risposte stupide a domande intelligenti o risposte totalmente sgrammaticate, e poi stampare migliaia di copie delle riviste e non ricevere neanche quel piccolo “grazie”, fa girare i coglioni. O no??? Ecco perché negli ultimi tempi abbiamo deciso di lasciar perdere la scena italiana, di sottrarci a quell’obbligo morale che sentivamo di dover raccontare certe storie dimenticate o di dover recuperare certi nomi per presentarli al pubblico di oggi e bla-bla bla, pensa che fessi che siamo stati! Ora basta, abbiamo deciso di fare di testa nostra ed io, come editore e caporedattore, devo metterci la faccia. Nel senso che, essendo un ascoltatore molto severo anche con me stesso e poco incline a sensazionalismi, emozioni o innamoramenti di cinque minuti, ho deciso di non parlare più di band italiane che magari non ho mai apprezzato, che non ho mai sentito come professionali od originali. O di gente che non mi sta simpatica! D’altronde, non siamo un supermercato! Non possiamo esporre in vetrina tutto o vendere tutto, dobbiamo selezionare, scegliere o valutare in base ai nostri gusti e parlare solo di quello che ci piace. Altrimenti sarebbero solo marchette! E siccome sono marchette che non ci pagherebbe nessuno, che le facciamo a fare? Quindi, sorry band italiane, ma noi oggi scriveremo solo di quelle che ci piacciono davvero, sperando che poi, oltre a ottimi musicisti, siano anche decenti esseri umani.

 

Esiste anche uno zoccolo duro di lettori dall’estero, siano italiani trapiantati o non? E che rapporti hai con le case discografiche italiane e straniere?

Altra domanda curiosa: sì abbiamo lettori all’estero, principalmente in Europa, abbiamo anche abbonati all’estero, non sono degli stranieri, ma ragazzi italiani che si sono trasferiti per lavoro. Naturalmente vediamo oltreconfine numerose copie, spesso anche di arretrati usciti molti anni fa, perché magari si sparge voce e c’è il megafan di Bon Jovi o dei Raven che vuole ogni articolo pubblicato al mondo. Spesso c’è anche qualche band che vuole avere la copia fisica di un numero in cui si parla di loro, anche se noi, a band ed etichette mandiamo in formato pdf i vari giustificativi, le pagine o gli articoli in cui sono citati. Un paio di anni fa mi è capitato una cosa strana… c’è stato infatti un tipo di Sofia che, con una spesa notevole, ha comprato TUTTI gli arretrati, sia di Classix che di Classix Metal, e non era certo un italiano! Mah, con un po’ di malizia ho pensato che, prima o poi, mi capiterà di rivedere i nostri articoli tradotti in cirillico su chissà quale rivista bulgara! Con le case discografiche straniere, grandi e piccole, abbiamo un rapporto quasi giornaliero, anche perché nel rock e nel metal, almeno per il tipo di cose di cui parliamo noi, sono il 95% delle etichette di riferimento. Onestamente, devo dire che all’estero le mie riviste hanno un appeal veramente grosso e il nostro lavoro è apprezzatissimo. Certa gente non è scema e sa cogliere la differenza, anche solo dal punto di vista grafico o dei contenuti. Le label europee hanno apprezzato moltissimo il progetto Rrazörr e si sono entusiasmate per Wantlist, perché all’estero è più comune imbattersi nelle freepress, anche se, ad essere del tutto sincero, la loro qualità è sempre piuttosto mediocre, spesso sono rivistucce di poche pagine, poco testo e sintetico, vedi il caso del francese Metal Obs, oppure hanno una carta estremamente cheap. Tutt’altra cosa che la nostra rivista di ben 80 pagine distribuita gratuitamente in oltre 200 negozi di dischi come Wantlist. Le label straniere hanno subito capito il valore di un progetto dedicato ai dischi, solo e al 100% ai dischi e distribuito nei negozi di dischi, soprattutto ora che i dischi si ricominciano a vendere e in Italia stanno aprendo nuovi negozi. In sintesi: diciamo che le quotazioni all’estero delle nostre riviste sono probabilmente molto più alte di quelle che abbiamo con le etichetta italiane.

 

Che cosa offrite in più rispetto ad altre riviste ma soprattutto rispetto a ciò che si legge su tantissime webzine e blog vari? Perché oggi i ragazzi o le persone di una certa età che amano il metal dovrebbero leggere le tue creature: Classix e Classix Metal?

In una parola potrei dirti: per l’originalità. Fin dall’inizio, in realtà fin dai tempi di Psycho!, abbiamo scelto una strada diversa: se tutti andavano a sinistra noi giravamo a destra, e viceversa (per par condicio politica!). Con questo non voglio dire che eravamo i più fighi del quartiere, ma semplicemente che eravamo gli ultimi arrivati, in edicola già c’erano tante riviste sedimentate, storiche, che però si assomigliavano tutte, parlavano degli stessi argomenti, erano fatte nello stesso modo…. Ripeto, non siamo stati necessariamente più bravi o più furbi, semplicemente non potevamo proporre quello che già proponevano benissimo tutti gli altri, sarebbe stato inutile o un suicidio commerciale. Quindi la nostra storia editoriale è sempre stata improntata alla ricerca di una strada diversa, originale, alternativa e soprattutto sempre in crescita, sempre in divenire. Io sono 34 anni che faccio questo lavoro e tutte le volte che ho visto che stavamo cominciando a ripeterci, a stagnare, a girare intorno, ho imposto uno stop o una sterzata brusca, magari lanciando un nuovo progetto, aprendo una nuova rivista, modificando lo stile o, come negli ultimi tempi, abbandonando l’edicola per realizzare un tipo di rivista che non avesse più nessun compromesso. Con tutto il rispetto per riviste musicali odierne o passate, su Classix e Classix Metal non troverai mai articoli cotti e mangiati, interviste da due pagine, obblighi o favori a case discografiche, il nome di cui tutti parlano oggi perché il disco è uscito ieri. Comprateci invece se volete davvero leggere grandi storie di grandi e piccoli artisti, entrare nel cuore di un suono, un gruppo, un’epoca, se non vi fa paura affrontare un articolo di 20, di 15 o 10 pagine in cui non troverete solamente il nostro sproloquiare, ma ci sono soprattutto le parole dell’artista (spesso rintracciate con una faticosa ricerca sia nei nostri stessi archivi che in quelli del passato), una panoramica fotografica curatissima, ma soprattutto c’è il piacere di raccontare con uno stile, spero, piacevolmente elegante. Non vogliamo travolgere il lettore con una marea di dati, nomi, titoli, anni, etichette, batteristi e produttori (saremmo perfettamente in grado di farlo, i nostri collaboratori hanno una memoria analitica e infallibile!), oggi ci interessa portare chi ci legge nel vivo di una storia. Come ho detto altre volte, se devo parlare di un gruppo della NWOBHM, voglio portare con me il lettore in quella cantina dove la band stava costruendo i suoi primi pezzi, fargli sentire la puzza di birra stantia, di ascella, di palle sudate e di muffa, fargli gustare il sapore acido e metallico dell’energia che si stava sprigionando in quel momento. Ok, forse ho esagerato, ma chi ha letto i nostri ultimi articoli avrà capito a cosa mi riferisco!

 

Secondo te perché l’editoria cartacea, pur in presenza di un così massiccio attacco digitale a costo zero, mantiene comunque un suo fascino e una sua credibilità tra i lettori?

Se mi avessi posto questa domanda anche meno di cinque anni fa, ti avrei risposto in una maniera differente. Oggi ti dico che non sono più tanto sicuro che i lettori subiscono il fascino della carta stampata. Credo che nemmeno i nuovi ”giornalisti” rock o quelli che vorrebbero fare questo mestiere (anche se ormai non si può più chiamare mestiere, i tempi sono cambiati, i soldi non ci sono più e la passione ha sostituito la professionalità) abbiano il mito della pagina stampata. Insomma, credo che scrivere su un giornale non rappresenti più un punto di arrivo. Da una parte, questo è vero perché le nuove generazioni non hanno più un rapporto con la parola stampata, anche a scuola ormai i libri di testo vengono affiancati da lezioni online e da contenuti digitali. La carta è per una nicchia di lettori o per chi è cresciuto insieme ad essa. È ovvio che i nostri lettori storici ancora comprino giornali “veri”, perché per loro quello è oggetto che ha un valore incomprensibile per altre generazioni: è un qualcosa che si ha letteralmente il piacere di tenere fra le mani, è un punto di riferimento costante, a cui tornare nel tempo, qualcosa da collezionare, qualcosa che può anche nostalgicamente rimandare a un altro periodo della propria vita. Immagino che per tutti rileggere un vecchio numero di Metal Shock o Psycho o :Ritual: immediatamente riporti all’adolescenza, a un’altra casa, ad amici perduti, a una ex fidanzata/o… non è solamente leggere la recensione di un vecchio album dei Running Wild. Essendo cresciuti con la carta, anche quando abbiamo deciso di non portare più in edicola Classix e Classix Metal, la carta è stata ancora al centro di tutto. Addirittura abbiamo investito ancora di più sulla carta! Le nostre riviste oggi hanno un formato più grande, più pagine, una carta più lussuosa, un’attenzione ancora più spasmodica alla grafica, alla bellezza estetica dell’oggetto-rivista. La stampa sta cambiando radicalmente e sono certo che la strada di uscire dall’edicola per andare a parlare direttamente con il proprio pubblico attraverso un vendita diretta sarà seguito da molte altre riviste. Tra l’altro noi meditiamo anche un “tour di addio” anche se non sarà domani. Credo di aver detto e scritto quasi tutto quello che avevo da dire o scrivere, probabilmente nell’immediato futuro rallenteremo o diversificheremo il nostro tipo di produzioni. Quindi, se queste devono essere fra e nostre ultime produzioni, beh, almeno ci piace lasciare la scena con dei prodotti di elevatissima qualità!!!!

 

Classix Metal e Classix hanno adesso un nuovo formato e un nuovo suffisso: eXtra! In sostanza che cosa cambia rispetto al passato, per chi vi ha “persi per strada”?

Nell’intervista ho già accennato più volte a quanto messo in atto ormai da quasi un paio di anni. Non c’è stata nessun tipo di crisi economica, redazionale, personale o editoriale, anzi, forse personale sì, nel senso che mi sono reso conto che avremmo potuto continuare a fare un certo tipo di rivista ancora per tanti anni, ma avremmo dovuto farlo seguendo sempre certi schemi, certe regole che stavano diventando strette o comunque non potevano più essere rispettate, diciamo così, da uno che è più di trenta anni che fa ‘sto lavoro! Questo senso di insoddisfazione, questa voglia di fare altro è arrivata nel momento in cui nell’editoria è scoppiata la vera bomba: un aumento paradossale della carta e dei costi di stampa, non del 10 o del 20%, letteralmente del 77%, così da rendere impossibile un lavoro che già sembrava una faticosa scalata in verticale su una parete di ghiaccio. Ogni editore ha risposto a questa situazione a modo suo. Non entro nel merito, basta sfogliare alcuni giornali per rendersi conto della caduta irreversibile di qualità. Noi ci siamo detti “ADESSO O MAI PIU!”: siamo usciti all’edicola, ma abbiamo migliorato moltissimo il nostro prodotto, al punto che, con tutto onestà, devo dire che le riviste che oggi pubblichiamo sono 10 volte migliori in tutto, sia come aspetto esteriore che contenuti, rispetto a quelle che andavano edicola fino all’Aprile 2022. Abbiamo perso dei lettori, quelli che per cui l’edicola è tutto e non considerano altro che l’edicola… anche se poi online magari si comprano le scarpe da ginnastica, i dischi, i film, i libri e il Viagra! Lo sapevamo, fa parte del gioco. Di sicuro da una parte abbiamo ridotto moltissimo le spese, dall’altra abbiamo puntato sugli abbonamenti (e ne sono arrivati moltissimi!) e sulla vendita. Il suffisso eXtra! è solo un giochino che abbiamo aggiunto ai nostri nomi e ai nostri loghi, sta a significare extra-edicola, extra-formato, contenuti-extra e l’arrivo di prodotti extra, ad esempio gadget (abbiamo stampato artprint, borse, magliette, card, toppe…) e libri, infatti abbiamo dato vita anche alla collana dei ClassiXbook (ne sono già usciti sei). Insomma, queste sono operazioni e nuovi modi di realizzare prodotti editoriali a cui avremmo mai potuto dar vita se avessimo continuato a rispettare i tempi, i modi e lo stile di una rivista da edicola.

 

Saremmo disonesti se non ammettessimo che anche le nostre fanzine nascono dalla passione per quel modo di raccontare le storie che abbiamo letto nei vari Classix Metal dal 2008 ad oggi; quattro uscite monotematiche in tiratura più che limitata per quattro band che noi della redazione, chi più chi meno, amiamo (Manilla Road, Broken Glazz, Cirith Ungol e Domine)… abbiamo anche un redattore in comune. Bene, cosa pensi di queste uscite indipendenti ed amatoriali, in tutta onestà?

Cosa ti ho detto prima? Che l’aumento paradossale dei costi di stampa ha portato molte riviste (ma ovviamente non solo musicali, anzi, di riviste musicali ormai ne sono rimaste ben poche) a compromettere molto la qualità, lo stile, la carta, insomma, il prodotto in generale. Improvvisamente molte riviste sono diventate bruttissime, illeggibili, inguardabili! Francamente sono diventate molto più amatoriali che professionali, quindi ben venga un’uscita indipendente e amatoriale che invece cerca di puntare alla qualità! Conosco le vostre uscite, anzi, devo confessarti che a un certo punto ci avete messo addirittura i bastoni fra le ruote, ti faccio questa rivelazione! Infatti, dopo l’uscita di Classix Metal eXtra! – Speciale Death, avevamo pensato a un altro numero non dico monotematico, ma che avesse come argomento principale il suono dell’US Metal degli ’80, una cosa simile a quella fatta in seguito con un Classix Metal eXtra! di 150 dedicato alla NWOBHM minore (in cui non si è neanche citato Iron Maiden o Saxon!). Volevamo concentraci su una serie di band “minori” ma, fra quelle più importanti, c’erano in ballo delle retrospettive importanti e articolate, ricche di interventi di musicisti passati e presenti, proprio su Manilla Road e Cirith Ungol!!! Durante la lavorazione siamo giunti a conoscenza dei vostri prodotti, alcuni di noi li hanno anche comprati e apprezzati (complimenti!), e quindi la cosa è stata messa in frigorifero o decisamente cancellata. Questo è un po’ una mia mania: voglio uscire sempre con degli argomenti originali e che non siano già stati trattati da altri nello stesso arco di tempo. Non c ‘è niente di peggio che lavorare a un articolo, faticare, assemblarlo con tanta passione e impegno e magari arrivare una settimana dopo che un articolo simile, magari brutto, anche raffazzonato e superficiale, sia uscito su un’altra rivista! È inutile come quando aspetti l’autobus e ne arrivano quattro insieme! Nella nostra redazione ci sono sempre tanti progetti che nascono, si accavallano, cambiano direzione e paradossalmente quel numero dedicato al US Metal sta uscendo proprio nei giorni in cui probabilmente questa intervista sarà online, potrete trovarla sul nostro webStore: www.sayyespublishing.bigcartel.com. I progetti indipendenti di chi sa scrivere e sa di cosa scrivere sono sempre interessanti. Sta tornando la mania delle fanzine, e chi siamo noi per poter negare a qualcuno la voglia di esprimersi nero su bianco? Certo, se poi una fanzine, che avrebbe la possibilità di essere alternativa a tutto e tutti, non vuole fare altro che scimmiottare riviste che già esistono o imitarne lo stile, gli argomenti o ricalcare una struttura ormai già stantia, fatta delle solite intervistine, recensioni, biografie di due paginette o della rubrica dedicata ai film horror, beh, francamente non ha proprio senso! Una fanzine ha il lusso della libertà assoluta, quando invece si limita all’ovvio diventa un inutile esercizio di pessimo stile.

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