THE GRANDMASTER – Black Sun

Titolo: Black Sun
Autore: The Grandmaster
Nazione: Danimarca, Germania
Genere: Hard Rock
Anno: 2024
Etichetta: Frontiers Records

Formazione:

Peer Johansson: voce
Jens Ludwig: chitarra
Alessandro Del Vecchio: basso e tastiera
Brett Jones: tastiera
Mirko De Maio: batteria


Tracce:

01. Black Sun
02. Watching The End
03. While The Sun Goes Down
04. Learn To Forgive
05. Heaven’s Calling
06. Something More
07. Fly, Icarus Fly
08. I’m Alive
09. What We Can Bear
10. Soul Sacrifice
11. Into The Dark


Voto del redattore HMW: 7/10
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Dopo il debutto con Skywards del 2021, i The Grandmaster sostituiscono sorprendentemente, per questa loro seconda fatica, il vocalist brasiliano Nando Fernandes con il danese Peer Johansson (Ureas, Fate, Pentakil). Non che lo scandinavo sia scarso, anzi, ma il frontman carioca ha una voce straordinaria e particolare che ha molto impressionato all’esordio. Probabilmente la Frontiers Records ha bisogno di rispolverare le qualità del singer vichingo, dato che di recente ha ripubblicato alcuni album dei suoi Fate usciti qualche anno fa. Completano il combo il famoso chitarrista tedesco Jens Ludwig (co-fondatore degli Edguy), il batterista Mirko De Maio (Chalice Of Sin), il tastierista, bassista e produttore Alessandro Del Vecchio e il secondo tastierista Brett Jones.

Ludwig è stato comunque entusiasta nel coinvolgere Peer per il seguito: “In realtà sono un fan di Peer da decenni e possiedo tutti gli album dei Fate in cui è stato coinvolto. L’eccitazione è tornata per questo secondo disco ed è stato fantastico vedere le canzoni prendere forma dai demo originali e sentire anche come la voce di Peer si sia sviluppata nel corso degli anni.”

Il sound in Black Sun è sempre un connubio di potenza e melodia dallo stile marcatamente germanico. Insomma, un melodic power metal di stampo europeo, dove Johansson si distingue positivamente per la sua timbrica vocale acutissima e impressionante tanto da essere paragonato a due icone del genere come Rob Halford e Udo Dirkschneider. Evitando paragoni con gli Edguy, che naturalmente e inevitabilmente ci sono, i The Grandmaster suonano un heavy metal melodico dalle venature power in cui, nella maggior parte dei casi, le canzoni sono veloci e massicce, come l’iniziale “Black Sun”, guidata da una martellante sezione ritmica, dai riff agguerriti di Ludwig e dai suoi fenomenali assolo ma anche dalla ruvida e quasi brutale ugola di Johansson. “Watching The End” ha invece un suono più commerciale e dalle linee molto progressive e convincenti, senza mai abbandonare quella matrice di puro metal molto vicina nei riff agli Iron Maiden dei tempi d’oro.

Con “While The Sun Goes Down”, il nostro Alessandro sviluppa, nei primi secondi, un’atmosfera epica, grazie alla sua formidabile e poetica tastiera. Poi subentra violentemente il cantato dirompente e melodioso di Peer che riporta il tutto ad un heavy/power culminante negli assolo prolungati e concisi di Ludwig, ma sempre attenuati dalle note maestose e magiche delle tastiere. Nell’orchestrale “Learn To Forgive” risalta la tenebrosa e roca parte vocale del frontman, che si addolcisce solo nell’orecchiabile e corale ritornello. La letale e infuocata batteria di Mattia introduce il cadenzato brano “Heaven’s Calling”, scaldandolo e infiammandolo, insieme alla frenetica e rapidissima sei corde elettrica, divulgatrice di tantissimi assolo e di continui cambi di tempo. Il ritornello è poi coinvolgente e canticchiabile quanto basta per immergersi nel power metal tradizionale europeo.

L’esibizione del cantante nordico è poi convincente nella ballata melanconica, “Fly, Icarus Fly”, caratterizzata in sottofondo da un soave pianoforte e da un’orchestrazione teatrale accompagnata da cori alternati. Qui il cantante sembra più a proprio agio sciorinando una voce pulita e molto affranta. Dalla vorticosa “I’m Alive”, l’album prende una piega diversa perché i musicisti si lanciano in un duro hard rock dalle tinte moderne ben supportato da tastiere intermittenti e dalla spigolosa chitarra del bravissimo Ludwig. Idem per la più elettronica “What We Can Bear”, un incrocio tra Depeche Mode e Rammstein ma con armonie più dure e con un’atmosfera tenebrosa di contorno, grazie anche ai riff distorti del tedesco e al tono vocale, leggermente più basso, del frontman.

Lo sfoggio delle eccezionali abilità di Ludwig prosegue con una serie di riff ritmici e di assolo accattivanti nella penultima “Soul Sacrifice” e nella conclusiva e power “Into The Dark”. La prima ha uno sviluppo tipicamente epico, arricchito da un ritornello gradevole e molto melodico, mentre la seconda evidenzia ancora una volta le strabilianti qualità vocali di Johansson e la grande empatia degli artisti coinvolti, capaci di sincronizzare alla perfezione la chitarra elettrica, la tastiera e il basso sotto i colpi di una battente batteria. Le note di Jens sono irrefrenabili e micidiali soprattutto durante i prolungati e velocissimi assolo associati ai cori e alle instancabili corde vocali di Peer. Il danese poi, lungo tutto l’album, si esibisce brillantemente con una voce dalle sfumature diverse e con tanta personalità, smontando così le critiche negative di chi lo paragona ad un clone di cantanti famosi. Infine, si può ben dire e scrivere: buona la seconda!

Johansson descrive Black Sun come: “una fantastica collaborazione dall’inizio alla fine. Quando ho sentito per la prima volta i riff di Jens, sono rimasto completamente sbalordito. Il suo modo di suonare la chitarra è assolutamente strabiliante e mi ha lasciato con il collo dolorante per tutto l’headbanging! Suona come una divinità della musica e mi sento onorato di far parte di questo straordinario progetto. Non vedo l’ora di condividere il palco con lui durante i live e dare il massimo.”

 

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