BRUCE DICKINSON – The Mandrake Project

Titolo: The Mandrake Project
Autore: Bruce Dickinson
Nazione: Regno Unito
Genere: Heavy Metal / Hard Rock
Anno: 2024
Etichetta: BGM Records

Formazione:

Bruce Dickinson – voce
Roy Z – chitarra e basso
David Moreno – batteria
Mistheria – tastiere

Tanya O’Callaghan – basso (dal vivo)


Tracce:

Afterglow Of Ragnarok (05.45)
Many Doors To Hell (04.48)
Rain On The Graves (05.05)
Resurrection Men (06.24)
Fingers In The Wounds (03.39)
Eternity Has Failed (06.59)
Mistress Of Mercy (05.08)
Face In The Mirror (04.08)
Shadow Of The Gods (07.02)
Sonata (Immortal Beloved) (09.51)


Voto del redattore HMW: 7/10
Voto dei lettori: 6.4/10
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Abbiamo avuto l’opportunità di poter ascoltare in anteprima il disco di Bruce Dickinson. Come in tutte le uscite di dischi così importanti e attesi, bisogna accontentarsi di qualche ascolto e la prima volta è sempre un’emozione. Alcune sensazioni sicuramente vengono contaminate dall’ascoltare un lavoro per la prima volta e si perdono indubbiamente certi passaggi, inoltre non si può contestualizzare e capire a fondo un disco del genere da così pochi ascolti. E’ il bello e il brutto di poter e dover giudicare un nome come quello del cantante degli Iron Maiden che è rimasto fermo nella sua carriera solista al 2005 con Tiranny Of Souls, un album buono, ma non sicuramente un capolavoro come quelli che, per chi scrive, sono stati l’apice della sua carriera. Parliamo di Accident Of Birth e The Chemical Wedding naturalmente. Però è giusto che voi stessi giudichiate il disco, magari non ascoltandolo solo una volta, ma con calma e con il giusto approccio. E magari potete confrontarvi con i vostri amici e con la nostra recensione a freddo; quando avremo assimilato e capito meglio anche noi questo The Mandrake Project, magari avremo modo di poter giudicare come si deve un album del genere. Il disco si compone di 10 tracce e non manca teatralità e passione. I brani sono fatti per due chitarre e avendo appreso da poco che Roy Z non sarà in tour con il resto del gruppo ci rammarica, ma la sicurezza di avere due chitarre ci porta a capire che la situazione dal vivo potrebbe non destare grosse preoccupazioni nei ri-arrangiamenti. I testi dovrebbero riguardare il fumetto in allegato e dei video con certi contenuti, ma non abbiamo ancora modo di saperne di più. Siamo certi che da qualche intervista futura ne scaturiranno nuove informazioni. Buttiamoci ora in questa recensione traccia per traccia.

AFTERGLOW OF RAGNAROK (05.45)

Il primo singolo in uscita di questo lavoro. Dai non possiamo negarlo; ascoltare la voce di Bruce Dickinson fuori dalla sua zona di comfort con gli Iron Maiden ha emozionato tutti noi. C’è stata una critica al 50/50 tra chi ha reputato il pezzo buono e chi l’ha cassato totalmente. Il ritornello è buono, i riff sono accattivanti. Come presentazione non è male, ma “Afterglow” non fa gridare al miracolo. Sappiamo di non doverci aspettare il disco dell’anno, però poteva anche andare peggio.

MANY DOORS HOTEL (04.48)

Le tastiere in questo pezzo hanno un ruolo chiave, sebbene mai troppo evidenti, niente esagerato o troppo anni 80 per intenderci, ma nemmeno orchestrale. Un elemento che va a rallegrare la sola chitarra di Roy Z, eccelsa in un assolo dotato di grande una vibrazione particolare. Questo brano sembra racchiudere un po’ tutte le varie sfaccettature dei precedenti dischi di Dickinson, soprattutto le parti vocali che mostrano l’estensione della nostra “sirena”. Un Bruce melodico e affabile, mai troppo esagerato o sopra le righe. Promossa!

RAIN ON THE GRAVES (05.05)

Teatrale e mistica. “Rain On The Graves” nasce con 7 minuti e 34 minuti come singolo dotato di un’introduzione piuttosto lunga e un video un po’ discutibile e pittoresco. I musicisti hanno tutti molta personalità, ma sembrano quasi finti e costruiti. Anche questo pezzo per quanto non sia totalmente da buttare, resta forse il più debole di tutto il disco. E’ forse l’unico che mi sento di bocciare. Non mi ha dato troppe emozioni. Mi è sembrato proprio forzato, ma The Mandrake Project è ancora tutto da scoprire.

RESURRECTION MAN (06.24)

Un ritmo tribale e chitarra acustica ed elettrica si inseguono in un intro guidata da un basso molto presente e martellante. Il resto del pezzo si basa su dei riff meno melodici e meno classici del solito. Qualche cambio e un po’ di sperimentazione mi portano a non capire in pieno questa “Resurrection Man” a volte suadente, a volte forse troppo… eccentrica!

FINGERS IN THE WOUNDS (03.39)

Orchestrale all’inverosimile con un Dickinson in primo piano e in grandissima forma. Ancora una volta una chitarra classica attraversa dei ritmi più elettronici, così come il piano sfida le tastiere. Molto pathos e sentimento mi portano a giudicare questo brano tra i più riusciti di tutto il lotto. Ancora una volta tamburi lontani e sonorità arabeggianti fanno di questi progetti qualcosa di molto personale e unico. Ci vorrebbero molti più ascolti per poter capire fino in fondo un lavoro del genere. Comunque abbiamo un’altra promozione.

ETERNITY HAS FAILED (06.59)

In tantissimi aspettavano questa trasposizione di “If Eternity Should Fail” che inizia proprio come la versione Maideniana inserita in The Book Of Souls, costruita sulla voce di Bruce in un’atmosfera decisamente esotica. Il resto del brano lo conosciamo ed è più o meno come l’originale, con un ritmo leggermente rallentato e ovviamente un testo diverso. Un po’ di teatralità extra e riarrangiata, ma la canzone la conosciamo ed è un buon pezzo!

MISTRESS OF MERCY (05.08)

Eccolo finalmente quel piglio irruente di Accident Of Birth, decisamente un pezzo aggressivo, giusta velocità hard rock e chitarra graffiante. Questo è quello che mi aspettavo da un album solista del nostro maideniano beniamino! Ritornello immediato, uno di quei pezzi che mi auguro non mancherà dalla scaletta del prossimo tour. Abbiamo un’altra promozione!

FACE IN THE MIRROR (04.08)

Il pezzo lento. Un immancabile dagli album della voce heavy britannica per eccellenza. Può ricordare alcune ballate precedenti in qualche modo, ma non per questo deve essere etichettato come pezzo non riuscito. “Face In The Mirror” è un brano semplice, studiato per fare il suo lavoro in un disco come questo. Un lento, una ballata, né più né meno. E devo dire ci è piaciuto! Sarà facile che l’ascolterete più volte di sicuro. Ok!

SHADOW OF THE GODS (07.02)

Un’altra ballata!? Una dietro l’altra? Sarà una follia, eppure siamo verso la fine del disco ed alcune sonorità più introspettive non ci stanno affatto male! Bel pezzo in crescendo. Musicalmente si estende in alto, potendo dare spazio alle doti vocali del nostro Dickinson. La dimostrazione che il nostro cantante preferito è ancora in forma più che smagliante. Portare un brano del genere dal vivo potrebbe non essere facile per l’estensione vocale di Bruce Bruce, ma sappiamo già che non resteremo delusi. “Shadow Of The Gods” non è tuttavia una semplice ballata; è come un film dove il primo tempo è lento, mentre il secondo e conclusivo, è più aggressivo e oscuro. Resto stupito positivamente. Il finale è molto sentito – una delle tracce più articolate del disco. C’è ancora un titolo da ascoltare.

SONATA (IMMORTAL BELOVED) (09.51)

I quasi dieci minuti riportati nella durata di questa “Sonata (Immortal Beloved)” e il titolo stesso fanno presagire che ascolteremo un pezzo sicuramente non dei più immediati e facili da valutare. Una chiusura maestosa sicuramente. Ed è così. L’ultima traccia è un tripudio di teatralità e piroette vocali e strumentali dove molto probabilmente tutti si sono messi in gioco, prima di tutto Dickinson e Roy Z nel comporre un pezzo del genere, ma anche i musicisti in tour avranno una bella sfida se dovranno prepararsi per questo brano. Forse qualche azzardo vocale in alto di troppo e una lunghezza forzata soprattutto nella parte finale vi daranno qualche momento di noia, ma vi sarà difficile non canticchiare il ritornello “Save me now…!” alla fine di questa sonata che chiude con grande classe un disco tutto sommato ben riuscito pieno di sorprese e con un Bruce Dickinson in grande spolvero che non può che non farsi voler bene.

In conclusione. Se vi aspettavate un Accident Of Birth o un The Chemical Wedding forse non ci siamo perchè qualche punto un po’ più basso in questo disco c’è. Dei momenti non troppo esaltanti e qualche sbadiglio (perchè non ammetterlo?), ma nel complesso siamo ancora su livelli altissimi. Se state comprando il disco a scatola chiusa non abbiate paura. Posso candidamente scommettere che sarà un album che non ascolterete solo una volta. Non è certo uno di quelli da tenere sigillati o da dover spolverare quella volta che lo tirerete fuori dalla sua scansia. Anzi è un disco non immediato che esige e merita non uno ma più ascolti. Va assaporato, esplorato e capito. Forse non sarà il migliore della sua discografia, ma abbiamo potuto ascoltare dieci brani che sono lontani dalla bocciatura. Composizioni ottime, molta sperimentazione e inutile doverlo negare, un’estensione vocale impressionante, da sempre marchio e garanzia di un Bruce Dickinson magistrale e sorprendente.

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