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Avete visto che copertina?!? Sono irrimediabilmente attratto da questi artwork e, a suo tempo, non appena i miei occhi ci si posarono, scattò un meccanismo automatico che mi spinse ad accaparrarmi “Metalkill The World” nel tempo necessario ad effettuare un paio di click con il mouse. Certo, anche il nome della band ha fatto la sua parte, dato che avevo incrociato per caso gli americani Skullview ai tempi di “Kings Of The Universe” – seconda release datata 1999, l’esordio “Legends Of Valor” uscì l’anno prima – disco che in fondo non mi era dispiaciuto ma che non mi impedì di perdere, abbastanza rapidamente, le tracce della band.
Originari di Portage (Indiana) dove si formarono nel 1995, gli Skullview tornarono alla carica a nove anni di distanza da “Consequences of Failure” pubblicando questo “Metalkill The World”, quarto album che vide il ritorno in formazione di Mike “Earthquake” Quimby Lewis dopo la breve parentesi con Eric “The Power” Flowers, la cui unica testimonianza ufficiale è un demo del 2004. Se nei vostri ascolti c’è spazio solo per le sonorità metalliche incontaminate ed evitate come la peste tutto ciò che è sperimentale, alternativo e/o moderno, gli Skullview hanno quello che fa per voi!
“Metalkill The World” fomenta uno spontaneo headbanging attraverso cinquanta minuti di roccioso e genuino US heavy metal old school dal grande impatto frontale, privo di superflui orpelli sonori ma gremito dai solidi riff delle due chitarre, efficacemente sorretto da una sezione ritmica compatta e completato dalle vocals graffianti e rabbiose di “Earthquake” Quimby Lewis. I cinque americani picchiano duro sin dall’opener “Legions Of The Star Scroll” ma è con i tre pezzi successivi che, a mio parere, arrivano i brani migliori del lotto: la rovente “The Bruise”, pezzo trascinante su cui vi ritroverete a “scapocciare” e di cui è stato girato un video visibile sul Myspace della band, la lunga e possente “Metalkill The World”, epica titletrack che richiama i primi Manowar, e la più classica “Behind The Cell”, brano diretto e terremotante capace di affascinare già al primo ascolto.
Le atmosfere sembrano stemperarsi un poco nelle prime note di “Blind And Unconscious”, ballata che acquisisce vigore durante il suo sviluppo ma che non mi ha particolarmente colpito, prima che la letale “Defiance, Desperation, Defeat” torni a mettere tutto a ferro e fuoco con il suo sapore gustosamente thrash. Poco meno di due minuti di narrazione ci introducono a “Remnants Of The Storm”, pregevole pezzo dai connotati epici su cui gli Skullview rallentano leggermente i ritmi, mentre la bastonata finale ce la assesta la furente “Privilege Of Suffering”, ottimo pezzo sulle infuocate coordinate di inizio album.
Disco molto bello in conclusione, particolarmente indicato per gli incalliti headbanger votati anima e corpo alla causa del più puro ed incorruttibile heavy metal!