Visualizzazioni post:752
Sgàile è un termine in scozzese/gaelico che ha più significati, i cui principali sono “ombra”, “riflesso”, “velo” o anche “spettro, fantasma”.
Dietro al progetto c’è un solo uomo al comando, in tutti i sensi.
Tony Dunn è un polistrumentista che ha già collaborato con Saor e Falloch come chitarrista e con gli Cnoc An Tursa come bassista.
Siamo quindi nel sottobosco black, ma soprattutto folk del genere metal.
Attivo come one-man-band dal 2018 ed oggi alla seconda prova con questo Traverse The Bealach, arriva come un fulmine a ciel sereno a sconquassare le casse dei nostri impianti stereo.
Personalmente non sapevo chi fosse questo carneade e mi ci sono imbattuto qualche mese fa, ascoltando il primo estratto del lavoro in questione.
Ringraziamo i poteri di internet e del fatto che viviamo in un’epoca in cui la diffusione della musica (bella o brutta che sia) è molto più facile di un tempo.
Ebbene, sin dalle prime note in apertura (che trovate qui sotto) e dal divenire del pezzo abbiamo tutti gli elementi per descrivere la musica degli Sgàile.
È progressive metal? Sicuramente.
Però è anche tante altre cose. C’è tanto post metal, c’è tantissima melodia, epicità, c’è una buona dose di rock, una piccola percentuale di folk (che però non esce mai in maniera prepotente) e c’è anche un sentore di gotico, ma molto molto lontano. Quasi a dare un colore in più alle composizioni.
Se i primi quattro minuti fungono da introduzione, strumentale, al pezzo, è quando finalmente entra in gioco il cantato che si aprono definitivamente le porte dell’album.
Ci troviamo di fronte ad una miscela intrigante tra certi Alice In Chains ed un cantato molto acuto, quasi power.
Personalmente ho trovato reminiscenze di due gruppi non particolarmente conosciuti proprio riferendomi alla voce: gli italiani Raintime (di cui adorai Flies & Lies, del 2007) e gli australiani Grey Waters (autori di un incredibile EP dal titolo di Below The Ever Setting Sun).
Vi serva soltanto come indicazione, perché qui la musica è molto diversa.
Il punto forte sono le melodie, soprattutto del cantato, che danno una profondità incredibile alle tracce, mischiando elementi anche epici e ariosi ma riuscendo sempre a catturare l’attenzione in maniera forte, lasciando impresse nella mente di chi ascolta sia la parte musicale sia quella vocale.
Come una delle migliori canzoni del lotto, “The Ptarmigans Cry”, che inizia molto lanciata e subito melodica, per poi calmare le acque in una strofa molto semplice ma altrettanto accattivante. Dopodiché attacca un ritornello con un giro quasi power e una parte vocale molto potente, senza essere il classico ritornello che esplode, e mantenendo quell’equilibrio sottile il sognante e l’epico, senza risultare caciarone. Funziona alla grande.
Poi arriva l’assolo, che non è quasi mai niente di funambolico e sparato a mille, ma sempre funzionale al racconto melodico che si vuole portare avanti.
Già soltanto questo varrebbe il prezzo del biglietto.
Sono tutte tracce tendenzialmente molto lunghe, articolate il giusto, dove fanno capolino sia qualche blast beat, che alcuni tupa-tupa, il pianoforte e pure i momenti di calma e riflessività espressi con delle chitarre acustiche sempre delicate e mai cervellotiche.
Insomma, un disco che è stato in grado di stupirmi come pochi in questi ultimi anni, che inquadrerei nel genere progressive, scevro però da altre inclusioni significative, pur non scendendo nell’avanguardistico. In grado di proporre soluzioni melodiche e compositive di spessore assoluto, arrangiamenti vari e complessi per riempire (ove necessario) il suono e il messaggio musicale da trasmettere, senza mai diventare pesanti né inutilmente intricati.
D’altra parte il nostro racconta un viaggio, quello di un uomo solo, in un mondo distopico, dove le cose non sono più come le conosciamo oggi.
Un viaggio che vi consiglio caldamente di scoprire leggendo i testi mentre ascoltate questa opera.
Una nota di merito a suoni, produzione e mix, complessivamente ottimi, ai quali mi sento di appuntare che avrei preferito delle chitarre un po’ più ficcanti. Ma è puro gusto personale.
Un lavoro di difficile collocazione questo Traverse De Bealach, ma soltanto se intendiamo i generi e le caselle dove codificare qualcosa che, di fatto, è sicuramente una bellissima rappresentazione musicale di un viaggio. Probabilmente non innovativo o rivoluzionario, ma sarà difficile che manchi di colpirvi con il suo fascino.