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Sono l’heavy metal per antonomasia. Hanno influenzato praticamente tutti, dai Metallica ai Cradle Of Filth; cosa potrebbero avere ancora da dire i Judas Priest a cinquant’anni dal primo disco in studio e dopo aver inciso classici imperituri del genere, eppure così diversi tra loro, come Screaming For Vengeance e Painkiller?
La risposta sta in questo ultimo album, Invincible Shield, che segue com’è noto il successo mondiale di Firepower. Ed è completamente affermativa.
Lo stile dei Priest resta inconfondibile, dai giri paradigmatici per il genere alle linee vocali, a volte ricche di sovracuti (come nel singolo “The Serpent And The King”, che però non è un episodio isolato), a volte più basse (per esempio la strofa di “Escape From Reality”), ma sempre uniche di Rob Halford. Tuttavia molto è cambiato: passaggi più complessi e articolati, strutture decisamente variegate e sempre coese, compaiono con frequenza all’interno del disco, senza per questo farlo suonare poco immediato o spontaneo.
A questo si aggiungano un pizzico (davvero solo un pizzico) di sintetizzatore in sporadiche occasioni e perfino chitarre acustiche dal sapore spagnolo (nell’intermezzo della cadenzata “Giants In The Sky”), che si amalgamano alla perfezione con gli elementi più peculiari del quintetto britannico – associando grandi melodie a ritmiche spesso terremotanti (“Invincible Shield” ne è un ottimo esempio) e confermando la sensazione che nulla sia stato lasciato al caso. Dagli intrecci armonici agli assoli più veloci, dalle sovraincisioni vocali alle linee di basso e agli accenti di batteria di Scott Travis, forse la più ricca di sfumature nell’intera discografia de Judas, tutto concorre ad esaltare l’ottima materia prima che costituisce questo Invincible Shield, dettando ancora una volta delle coordinate che probabilmente altri seguiranno in futuro.
Il tutto naturalmente è supportato dalla grande prestazione dietro al mixer di Andy Sneap, che ancora una volta ha saputo tirare fuori il meglio dai metal gods, mettendo in risalto ogni passaggio, ogni strumento nello spazio stereofonico e confezionando un suono corposo, personale, ricco di strati, potente ma nitido e mai eccessivamente saturo.
Forse qualcuno l’avrà già scritto, e probabilmente suonerà un po’ retorico, ma mi piace immaginare che lo scudo invincibile a cui fa riferimento il titolo del disco sia quello che ha permesso ai Judas di restare in piedi, nonostante tutti i colpi subiti, dal Parkinson di Glenn Tipton all’aneurisma aortico di Richie Faulkner passando per il cancro di Rob Halford e – perché no? – anche nonostante la fuoriuscita di K.K. Downing di tredici anni fa. Perché i Judas Priest avranno pure vissuto l’apice della loro carriera negli ormai lontani anni ’80, ma anche a questo giro hanno dimostrato di aver ancora molto da dire nel panorama musicale metallico contemporaneo.
Se non fosse il fatto che metà dei riff sono autoriciclati, a questa loro nuova opera darei 10, ma così com’è merita comunque 9, perchè siamo ad uno dei meglio album heavy mondiali degli ultimi anni, meglio anche di ‘Firepower’. Gli Dei rimangono nell’olimpo: oggi nè Saxon, nè Maiden riescono a stare allo stesso livello. Unico brano non competitivo ‘Vicious Circle’.