RAGE – Afterlifelines

Titolo: Afterlifelines
Autore: Rage
Nazione: Germania
Genere: Power Metal
Anno: 2024
Etichetta: Steamhammer/SPV

Formazione:

Peter “Peavy” Wagner – voce e basso
Vassilios “Lucky” Maniatopoulos – batteria
Jean Borman – chitarra


Tracce:

01. In The Beginning 1:31
02. End Of Illusions 3:48
03. Under A Black Crown 4:00
04. Afterlife 3:45
05. Dead Man’s Eyes 3:24
06. Mortal 4:04
07. Toxic Waves 3:36
08. Waterwar 3:42
09. Justice Will be Mine 4:35
10. Shadow World 3:22
11. Life Among The Ruins 4:06


 

01. Cold Desire 3.59
02. Root Of Our Evil 4:02
03. Curse The Night 3:34
04. One World 4:24
05. It’s All Too Much 5:11
06. Dying To Live 4:51
07. The Flood 3:56
08. Lifelines 9:54
09. Interlude 2:43
10. In The End 3:23


Voto del redattore HMW: 8,5/10
Voto dei lettori: 8.3/10
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Quale migliore regalo per tutti i Rageheads se non quello di celebrare i 40 anni della band con la pubblicazione di un doppio album?

Esce oggi questo nuovo Afterlifelines, oltre una ora e mezza di musica che riassume egregiamente, e con ben 21 tracce nuove, il percorso dell’oggi giorno terzetto capitanato dall’inossidabile Peavy Wagner.

Nel primo disco, Afterlife, troviamo le sonorità tipiche della formazione teutonica, un power metal influenzato anche da passaggi più pesanti e stacchi di fortissimo impatto, senza perdere quella melodia e quelle atmosfere che caratterizzano la band da 4 decadi: “Mortal” e “Waterwar” sono un buon esempio, così come la title track del secondo disco, un pezzo che riassume benissimo questo disco, e che amalgama sapientemente epicità, potenza e melodia, durante i quasi 10 minuti della sua durata.

Come sempre, quello che mi appassiona dei Rage, è la capacità di unire delle vere e proprie badilate sonore con delle linee melodiche dei ritornelli che entrano subito in testa, nonostante non propongano nulla di nuovo, rispetto alla loro produzione. Uno dei loro pregi è quello di suonare “uguali” ma sempre freschi, di non alterare la loro ricetta riuscendo a non annoiare l’ascoltatore, anche con un album doppio. Cosa non scontata. Ed è così che ci facciamo prendere dalla frenesia di pezzi come “End Of Illusions” e “Dead Man’s Eye”, e lasciandoci trasportare dalle note iniziamo a cantare a squarciagola i ritornelli di “Under the Black Crown” (fra le mie preferite) e “Justice Will Be Mine”. Questo primo disco si mantiene su alti livelli per tutta la sua durata, senza dar mai tregua all’ascoltare; anche in pezzi più “lineari” (penso ad esempio alla title track, a “Toxic Waves” e alla conclusiva “Life Among The Ruins”) niente è lasciato al caso; interessante poi “Shadow World” dal sapore quasi black and roll.

Il secondo disco Lifelines continua con la stessa intensità e “violenza sonora” del primo, solo che a questo si aggiungono anche le parti orchestrali che rimandano ad un altro periodo della band. Queste aggiunte però non sono invasive o predominanti, non rubano la scena, ma aggiungono quel tocco in più a dei pezzi che funzionerebbero anche autonomamente (“Cold Desire”), apportando un grande valore aggiunto a tutta la composizione (“Root Of Our Evil”, “Curse The Night” e“The Flood” – che bel pezzo!).

Da segnalare la godibilissima “One World” e “It’s All Too Much”, quest’ultima fra le mie preferite di questo disco insieme a quelli che ritengo due veri e propri capolavori, le due ballad “Dying To Live” e “In the End”, due inaspettate carezze, delicate, dolci ma date da mani ruvide. Una perfetta dicotomia rappresentata dalla voce di Peavy. Se la seconda è un regalo inaspettato, posta dopo “Interlude”, perfetta questa per la conclusione del disco, la prima è semplicemente stupenda, unendo sonorità acustiche che da un lato mi hanno richiamato i migliori Blind Guardian, dall’altro – e non so perché – delle atmosfere che mi hanno fatto pensare ad un pezzo quale “Iris” dei Goo Goo Dolls. Ad oggi la mia canzone del 2024.

Peavy, solido bassista, non si risparmia nella prestazione lirica, spingendola spesso fino al limite (e in un paio di volte anche oltre…). Da sempre, un mio sogno, sarebbe un disco dei Rage cantato in growl…

Se da un lato il lavoro di Vassilios conferma la validità e la precisione chirurgica del batterista di origini greche, dall’altro devo dire che sono rimasto piacevolmente sorpreso dalla prestazione di Jean che sforna riff taglienti alternandoli con assoli al fulmicotone e melodici, senza dimenticare le riuscitissime parti acustiche. Tutto questo, devo ammetterlo, non fa per nulla rimpiangere i suoi predecessori. Ben fatto!

Insomma, un grande disco che arriva dopo le ultime pubblicazioni dove la band aveva giocato sul sicuro, andando quasi in automatico. Non brutti album, sia chiaro. Però, ecco, non mi avevano entusiasmato al 100%. Questo, invece, è proprio un bel disco. Lo sto ascoltando da settimane senza annoiarmi e non posso fare altro che consigliarvelo.

Imperdibile!

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