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Per chi già non conoscesse i Fatal Fire, il gruppo tedesco fa parte di quei progetti artistici musicali nati nel periodo più buio della pandemia del 2020. Insomma, l’ennesimo slancio creativo sorto dalle ceneri di un’umanità in ginocchio, potremmo quasi scriverci una canzone in effetti, ma probabilmente ci hanno già pensato in molti.
La voce di Svenja Rohmann si appoggia alle sonorità più ruvide delle chitarre che quasi in ogni traccia realizzano convincenti assoli incrociati in stile Helloween, Maiden e altri grandi classici Power Metal. “Destruction”, la canzone che apre il disco è sicuramente un esempio virtuoso in questo senso, mentre già meno convincenti brani come “Ashes Remain” o “Dawn of Fate”.
L’album si riprende con l’ottima “Crossroads” che oltre a proporre sonorità più cupe permette alla voce di espolare un timbro più pieno ed intenso.
Opportuno segnalare anche il buon lavoro della sezione ritmica capitanata dal batterista Till Felden che brilla su brani come “Meteorites”, con ogni probabilità il brano meglio riuscito dell’intera opera da ogni punto di vista. Il quintetto suona qui in estrema armonia ed il risultato è nettamente superiore alle altre tracce.
È poi il momento del singolo “Kingslayer” (forse i più attenti avranno già avuto modo di apprezzare), che ha il pregio di essere diretto e radiofonico, oltre ovviamente a cullare l’ascoltatore fino alla fine.
Fanalino di coda “Ardent Wave”, ci presenta una ballata energica che sicuramente testimonia la volontà del gruppo tedesco di abbracciare ogni tipo di influenza sonora, seppur comunque riconducibile al metal, per espandere i propri orizzonti compositivi.
Il disco tutto sommato funziona, seppur forse senza troppa originalità, i brani suonano coerenti tra loro regalando all’ascoltatore un’esperienza organica ed omogenea, sebbene forse meno sorprendente di altre.
Siamo sicuri che se queste sono le basi, i Fatal Fire troveranno un loro suono riuscendo ad emanciparsi da una scena power metal sicuramente molto satura di prodotti estremamente piatti.
Sapersi distinguere sarà la chiave per la carriera del gruppo tedesco che con Arson realizza un’entrata in scena complessivamente piacevole ma forse ancora incapace di incuriosirci a dovere.