Visualizzazioni post:824
I King Zebra provengono dalla vicina Svizzera, ma per il sound profuso sembrano arrivare dalla caldissima California. Pochi anni fa si sono fatti conoscere, con l’omonimo EP del 2019, unendo melodia, esuberanza ed esperienza, e affermandosi con un suono tipicamente americano. Il combo d’oltralpe è composto dal frontman statunitense Eric St. Michaels, (ex China) e dagli svizzeri: Roman Lauer alla chitarra solista, Jerry Napitupulu alla chitarra ritmica, Manu Judge al basso e Ben Grimm alla batteria. Il modo di cantare di Eric St. Michaels si sposa perfettamente e naturalmente all’AOR ottantiano di matrice americana della band, data la sua provenienza anagrafica e il suo percorso musicale. I King Zebra non inventano comunque nulla di nuovo ma offrono un AOR, un glam e un hard rock melodico eseguiti piuttosto bene e rispettando tutti i crismi dei generi prima citati. Dopo l’uscita di Survivors nel 2020 pubblicato dall’etichetta Golden Robot, tornano questa volta con il loro secondo album in studio intitolato Between The Shadows, ma con l’etichetta italiana Frontiers Music.
Il platter contiene dieci buoni brani di metal melodico che filano liscio come l’olio già dall’apertura di “Starlight” fino all’ultimo respiro di “Restless Revolution”, che chiude bene l’album. La prima presenta un intermittente riff elettrico delle due chitarre assistite poi da un gran ritmo rock che sfocia in un gradevole e orecchiabile ritornello, infarcito di portentosi cori. La pulita e fluida ugola di Eric insieme all’assolo chitarristico, perfetto ed armonico, sono la vera ciliegina sulla torta. La seconda è invece il tipico e duro rock and roll caratterizzato da spigolosi riff di chitarra e alternati cori che si avvicendano alle allegre corde vocali del singer americano. Se dovessi fare un paragone direi che qui siamo molto vicini in alcune parti ai primi Skid Row e in altre parti ai Poison dei bei tempi anche se un tocco di blues da un pizzico di personalità alla band europea. St. Michaels padrone delle sue chiare e leggere corde vocali è brillantemente accompagnato da splendide e atmosferiche melodie, create dalle acustiche ed elettriche sei corde dei due chitarristi.
Le scintillanti e pulite armonie continuano con la cadenzata, “Children Of The Night”, singolo dagli incisivi riff chitarristici e dalla solita e coinvolgente voce del cantante. Insomma, un vero e proprio omaggio ai mitici agli anni’ 80 che non lascia indifferenti per il coinvolgente ritmo e il canticchiabile ritornello. Le stesse vertiginose melodie si odono nella lenta e pesante, “Wicked”, accompagnata da un fragoroso lavoro di chitarra elettrica culminante in un devastante assolo e in un ritornello abbastanza ripetitivo. Con la seducente, “Dina”, gli elvetici continuano con la stessa formula, ovvero intercambiando la potenza della sezione ritmica ai riff chitarristici e viceversa ma questa volta mescolando anche discretamente il pop al rock and roll di stampo statunitense. Praticamente questi ultimi brani ma in pratica anche quelli successivi hanno tutti una durata inferiore ai quattro minuti. Questo li rende adatti a livello radiofonico e commerciale, come anche nel caso della successiva “Love Lies”, che miscela anche qui l’hard rock melodico, lo sleaze e la leggiadria del puro AOR a stelle strisce. L’energia propulsa dalle due vorticose chitarre elettriche di Napitupulu e di Lauer sfocia poi con il portentoso assolo di quest’ultimo. Il miglior pezzo dell’opera è comunque “Cyanide”, contenente un intro intimidatorio alla Alice Cooper, cori e riff grandiosi e un sound sempre proveniente e omaggiante dalla West Coast. Dopo fa capolino la rilassante e allo stesso tempo dinamica, “With You Forever”, dal ritornello super orecchiabile, che rallenta di molto la potenza del combo svizzero ma non lo spirito e l’attitudine rock dei cinque, come si ode soprattutto nell’epico e raffinato assolo chitarristico e dal battente basso di supporto. “Love Me Tonight” è un’altra canzone ben rifinita e ben arrangiata molto vicina al classico AOR ma sempre supportata da un superbo lavoro di chitarra elettrica. Colpisce in positivo la nitida produzione, che esalta tutti gli strumenti ed in particolare le chitarre e l’ammaliante voce del frontman a stelle e strisce. La penultima e veloce, “Out In The Wild”, introduce nei primi secondi una voce che fuoriesce da una radio della polizia per poi esplodere in possenti ed energici riff chitarristici nel contesto di un refrain che non disdegna la melodia e che strizza sempre l’occhio all’hair metal californiano dei leggendari eighties.
Stranamente, non c’è una classica ballata in tutto il disco e la cosa sinceramente non dispiace. In effetti i King Zebra non ne hanno bisogno perché riescono bene a infarcire mielosamente le loro roboanti armonie in tutte le tracce utilizzando stilisticamente gli schemi già collaudati da importanti band del passato. Between The Shadows da come si è ben capito non è un album innovativo ma suscita allegria, ricordi, spensieratezza e tanta voglia di vivere che in questi tempi bui non guasta affatto.